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THE BOOKSTORECARTA CANTA
Livorno, Londra e quel dolorino in basso a sinistra
Gianluca Del Chicca
2017  (Bibliotheka Edizioni)
LIBRI E ALTRE STORIE
all THE BOOKSTORE
25/03/2019
Gianluca Del Chicca
Livorno, Londra e quel dolorino in basso a sinistra
“Per me scrivere questo libro ha rappresentato uno sfogo, il modo per poter fare i conti con il passato e chiudere certe porte, potrei anche dire quasi una liberazione!” (G. Del Chicca)

Liberarsi scrivendo è qualcosa che conosco molto bene. Ne conosco gli effetti e ne misuro il raccolto ogni volta che mi cimento a fare l’artista. Ogni volta è sempre una liberazione, ha ragione Gianluca De Chicca. Ed ognuno poi ha il suo dolorino, la sua sintomatica allerta che il sistema mette in funzione quando la coscienza prende a gomitate da dietro il cuore o dal fondo dello stomaco perché pretende tempo, spazio, voce e silenzio attorno. Un silenzio di ascolto… altra parola importante. Delle volte, penso io, il solo scopo di sfogarci scrivendo è quello di ricevere ascolto. Pratica, questa, che oggi non è più considerata opportuna e vincente. Oggi è sinonimo di tempo che sfugge inutilmente. Ed è da oggi che Gianluca Del Chicca - che tanto somiglia e tanto si mescola al protagonista di questo romanzo - ridiscende indietro in un passato, lontano ma neanche tanto. Lo fa fare al suo protagonista, che sta seduto a pensarci su, si trova a Londra, in una giornata d’inverno, che in fondo non ha un nome, ma i nomi, in questo romanzo, non sembrano essere tanto importanti. Sono invece importanti le sensazioni che circondano le persone. Sono invece importanti le situazioni che sole scrivono la storia. A quelle dobbiamo saper dare un nome, quantomeno per orientarci e non arrivare a chiederci “Che diavolo ci faccio qui”.

Gianluca Del Chicca pubblica questo piccolo romanzo dal titolo “Quel dolorino in basso a destra” per Biblioteka Edizioni. Uno spaccato di vita che inizia dalla riflessione sul proprio presente, dal prendere coscienza di esserci in quel momento e in quel posto (Londra) e da lì poi provare ad orientarsi. A ritroso dicevamo, flashback e ricordi continui in questa scrittura, quel tornare indietro che poi strada facendo sappiamo come ricollegare i fili. Con quelle Campus rosse ai piedi, alla chiusa del viaggio forse avranno un senso anche loro. Ed è fascinoso e sociale e quotidiano ed è anche un poco di tutti questo rivedere la vita del protagonista, una vita che poi, alla fin della fiera, somiglia a quella di molti di noi. Estetica a parte. Nomi a parte. In questo romanzo i nomi sembrano non avere importanza. Scrivere è come liberarsi ma anche come ricollegarsi a chi eravamo, a chi siamo… e forse anche a quello che saremo. Non è un romanzo di cliché e di luoghi comuni, state tranquilli. Non è un romanzo per intellettuali filosofi, forse più per adolescenti maturi. Di sicuro questo è un romanzo che ha solo l’ambizione di esistere. E non è affatto poca cosa…

 

Vorrei cominciare in questo modo: uno sguardo al futuro, quello immediato. Come farlo? Sfogliando a ritroso quel che siamo stati. Questa è la ricetta che mi arriva da questo libro…

Questo libro vuole essere una sorta di resoconto di personaggi, situazioni, eventi che mi hanno colpito, lasciato qualcosa, magari interdetto e a cui a distanza di tempo ho ripensato e mi hanno dato da pensare. In effetti si potrebbe dire che sfoglio a ritroso quel che sono stato per capirmi, e per capire con occhi differenti e con una mente diversa quello che è successo e in parte chi sono diventato.

Più che storie sono quindi passaggi, frammenti, mattoni che mi hanno formato e hanno influito, seppur in maniere diverse, a farmi vivere in una certa maniera il presente e a proiettarmi quasi inconsapevolmente nel futuro, facendomi domandare ad un certo punto: “Bene, vediamo un po’ adesso, perché sono qui?!”

Il protagonista di questo breve romanzo sembra accogliere il caso della vita. Anche il suo modo di cercare e poi trovare lavoro, il suo istinto che gli fa rivoluzionare città e lingua… tra le righe non mi arriva un messaggio di solitudine o di incoscienza… mi arriva invece quel certo modo leggero con cui si celebra il coraggio di dare alla vita l’occasione di far accadere cose. Scusa se sono stato contorto ma penso che così esposta la domanda contenga tutto. Che ne pensi?

Ritrovo un piuttosto fedele aggancio alla realtà in questa descrizione o comunque modo di fare. Il protagonista del libro, così come ovviamente in una certa misura anche il sottoscritto, lascia che le situazioni prendano spesso la loro naturale piega, quanto meno nella fase iniziale, lascia che il caso influisca sull’incipit e dopo comincia a metterci del suo, comincia a prendere qualche iniziativa e a ballare, essendo stato tirato in ballo, però, come si evince dal testo, non essendo un gran ballerino a volte le cose non vanno per il verso giusto, anche se mi piace pensare che comunque alla fine, al netto di dolorini e delusioni, il protagonista riesce sempre più o meno a cadere in piedi.

No, non parlerei quindi di solitudine, se non in sporadiche circostanze, né di incoscienza, quanto piuttosto di una indolenza cosciente, un farsi trasportare dagli eventi con quella leggerezza di chi crede nel destino...

Un dolorino in basso a sinistra. Lo usi anche per il titolo ed è un leitmotiv che di quando in quando torna a far capolino nel romanzo. Che metafora è? Io ci ho visto la faccetta buffa di un grillo parlante…

In realtà è un dolore fisico vero e proprio che mi prende all’altezza del colon nella sua parte sinistra dove da tantissimo tempo somatizzo ogni tipo di stress, inquietudine, pensiero o problema. Si può dire che ormai questo dolorino è un mio compagno di viaggio inseparabile; seppur ad intermittenza me lo porto latente addosso e quando emerge significa che c’è qualcosa che non va, è un personale campanello di allarme che suona per mettermi in guardia, ed è difficile crederlo ma nella parte destra non mi ha mai preso, solo e sempre in basso a sinistra!

Potrebbe certamente essere raffigurato come la connessione con il grillo parlante, la vocina che è nella mia testa in quei determinati periodi, perché ovviamente non appena il dolorino arriva cominciano tutte le elucubrazioni del caso, la trafila di quesiti, interrogativi sul da farsi, le soluzioni da trovare, fino a quando la situazione migliora, il problema viene risolto e il dolorino tutto insieme sparisce, fino immancabilmente alla volta successiva...

Scrivere un libro oggi. Cosa significa e soprattutto cosa ha rappresentato per te? Sembra una domanda banale, certo, ma lo chiedo sempre agli artisti che oggi si devono misurare con l’attenzione rivolta all’apparire più che al contenuto. 

Per me scrivere questo libro ha rappresentato uno sfogo, il modo per poter fare i conti con il passato e chiudere certe porte, potrei anche dire quasi una liberazione! Ha avuto infatti una genesi molto lunga, figurati che il primissimo racconto che ho scritto, che nel libro tra l’altro rappresenta l’ultimo capitolo, è stato buttato giù più o meno una decina di anni prima della pubblicazione, quando ancora nemmeno avevo pensato alla fisionomia finale. Poi è diventata quasi una sfida, lo prendevo e lo lasciavo, lo riprendevo e poi lo rilasciavo, fino a quando l’esigenza creativa ha finalmente prevalso e nei mesi liberi tra il mio primo e il secondo lavoro a Londra è stato terminato.

Non avendo ovviamente problemi contrattuali o di contenuto ho potuto essere me stesso, mentre come giustamente hai sottolineato te nella domanda, la ricerca dell’apparire, dello stupire, della trasgressione è quasi una costante nell’ambito artistico odierno, soprattutto a certi livelli, a discapito dei contenuti, ma evidentemente è quello che vuole il pubblico, od almeno la cultura di massa che, piaccia o no, indirizza le scelte.

Gianluca Del Chicca oggi vive all’estero, a Londra precisamente… giusto? Non per sembrare invadente, te lo chiedo più per mia necessità. Non so se i tuoi sono motivi professionali o cos’altro, ma potendo fare il confronto - lo chiederei anche al protagonista del romanzo - si stava meglio prima o si sta meglio ora? Insomma, Italia Sì o Italia No (per citare Elio…)?

Ebbene sì, vivo a Londra ormai dall’estate del 2008, e sono pure diventato cittadino britannico da qualche mese. I motivi del mio trasferimento sono stati inizialmente sentimentali, anche se come si evince dal testo, una decina di anni prima ero già stato a Londra per un periodo relativamente lungo rimanendone folgorato.

Restando nel tracciato del lasciare al caso l’occasione di far accadere le cose, mai avrei pensato che sarei rimasto così a lungo, ma alla fine tra un lavoro e l’altro e una storia e l’altra, la città ti avvolge, ti adegui ai ritmi e il tempo scorre senza che uno se ne possa rendere conto. Londra ti prende e chiede molto, soprattutto dal punto di vista dei rapporti umani e dei ritmi stressanti, ma ti ridà anche tanto indietro, sotto forma di opportunità, esperienze e direi anche servizi e burocrazia, quello che in Italia è una coda continua e una battaglia amministrativa qui è snello e lineare.

Al netto della Brexit e di quello che potrà succedere in futuro, ancora poco chiaro, si scontrano due mentalità opposte, un luogo in continuo divenire dove evolversi e cambiare è all’ordine del giorno, e l’Italia che vive nel passato, sempre ancorata all’idea del posto fisso dove rimani tutta una vita e che si culla nel suo gradevole ristagno. Certo che in Italia la qualità della vita è sulla carta migliore, cibo, clima e più tempo libero per rimanere sui soliti cliché, solo che sempre meno persone si possono permettere una qualità di vita discreta.

Mi risulta quindi difficile dire in maniera netta se si stesse meglio prima o meno, certo mancano alcune cose di casa, io sono livornese fino al midollo e di nessun altro posto. Però, dovendo prendere una decisione, direi Italia No...