Orari precisi, staff discreto e disponibile e buona acustica caratterizzano il locale che, una dopo l’altra, fa salire sul palco le tre band protagoniste della serata.
La prima a rompere il ghiaccio è Lizzy Farrall, una simpatica giovane ragazza di Chester (Regno Unito) e la sua band. Connotazione cromatica dominante? Luci fucsia e outfit rigorosamente bianco candido. Lizzy, con voce cristallina e buona padronanza del palco, si rapporta con entusiasmo ad un pubblico ancora in divenire, sorridendo felice ai ragazzi che iniziano ad avvicinarsi e ancor di più a chi ad un certo punto inizia a intonare con lei i ritornelli.
Con poco più di vent’anni sulle spalle e due EP all’attivo, Lizzy propone melodie dalla grande sensibilità pop, ricche di synth scintillanti e ritmi accattivanti, mixando dolcezza e una lieve venatura di alternative rock, offerta con atteggiamento sfrontato ma mai troppo provocante.
La proposta al pubblico, composto da ragazzi e ragazze della sua età, è quasi esclusivamente di brani del suo ultimo EP, Barbados (2019, Pure Noise). Si inizia con i ritmi vivaci e allegri di “Games” e si affronta subito dopo la malinconica euforia di “Help”, scritta pensando ai problemi di salute mentale che molte persone affrontano e dedicata, in questa serata, all’amico Bennett. Si ricomincia poi con un ottimo giro di basso, che apre ad un brano inedito, “Addict”, che Lizzy ci regala in anteprima, per scoprire cosa ne pensiamo. L’accoglienza è sicuramente positiva e le successive “Baloon” e “Barbados” scaldano ormai il pubblico, che inizia a ballare. Arrivati ormai alla fine del set ci saluta felice e invita tutti al banchetto, per aiutarli comprando una maglietta o anche solo per fermarsi a salutarli, consiglio che alcune ragazze del pubblico seguono soddisfatte. Delle tre proposte della serata, senza nulla togliere alle altre due band e contro ogni aspettativa di chi scrive, è stata probabilmente la sorpresa più interessante.
Dopo un breve cambio palco è la volta dei Microwave, la band più attesa dalla quota di redazione Loudd in trasferta che, dopo aver apprezzato l’ottimo lavoro svolto dal gruppo sul loro ultimo album Death Is A Warm Blanchet (2019, Pure Noise, di cui trovate QUI la recensione) è curiosa di sapere come se la cavano dal vivo.
Si inizia con qualche problema di spie sul palco per il cantante e chitarrista Nathan Hardy, che porta a delle ritmiche e uno scream non perfettamente sincronizzati su “DIAWB”. Peccato, perché il brano di apertura su disco ha un delicato ed elegante equilibrio tra grunge e post hardcore che avrebbe meritato una resa migliore.
Una volta risolti i problemi tecnici, però, i ragazzi di Atlanta (Georgia) iniziano a ingranare e si tuffano sulle migliori tracce dei loro album precedenti: “Lighterless” e “Roaches” da Much Love (2016), “Labor Day” e “Stovall” da Stovall (2014), il pubblico inizia a rispondere molto bene e già dalla seconda canzone in scaletta iniziano i primi salti e il primo pogo della serata, intervallato solo da un piccolo momento “happy birthday to you” dedicato al batterista Timothy Pittard, che compiva gli anni proprio in quel giorno.
Si ritorna a sognare con i nuovi brani verso la fine del loro set, grazie alla magica “Float To The Top” e a “Mirrors”, prima di chiudere in bellezza con “Vomit”.
Molto forti sui brani storici e ancora non perfetti sulla resa live delle canzoni più nuove, i ragazzi hanno ancora qualche piccolo dettaglio da sistemare dal vivo, ma si confermano una proposta interessante ed intensa, che ha saputo conquistare i giovani bolognesi accorsi in numero sempre maggiore sotto palco. Quello del Locomotiv è stato il primo pubblico italiano dei Microwave, ma speriamo caldamente, per noi e per loro, che non sarà l’ultimo.
Dulcis in fundo, la band che tutto il Locomotiv Club stava aspettando arriva sul palco: i Tiny Moving Parts. Dopo un simpaticissimo siparietto in fase di preparazione regalatoci dai fratelli Chevalier, composto dal settaggio batteria fatto da William (che regala un sorriso ai presenti già solo per il fatto di guardarlo in faccia mentre suona, con i suoi folti e soffici baffoni cotonati che fluttuano al vento) e dal tentativo di Matthew (bassista) di appendere sul fondale il cartello con su scritto “Tiny Moving Parts”, tragicomicamente sempre storto ad ogni tentativo, nonostante l’aiuto dal pubblico.
Una volta messo a punto ogni aspetto, i Tiny si guadagnano dirompenti il palco. Il pubblico ormai folto inizia a scatenarsi già dalle prime canzoni e, una dopo l’altra, il pogo diventa quasi perenne, alternato solo ad uno stage diving continuo ed inarrestabile.
Dylan Mattheisen, cantante, chitarrista e cugino dei due fratelli Chevalier, regge quasi da solo le sorti dello show, dotato di uno spiccato carisma e di una competenza tecnica alla sei corde del tutto invidiabile. Il suono è pulito, preciso, pieno e tecnico. A chiudere gli occhi le chitarre sembrano due, soliste, e invece no, Dylan fa tutto da solo, e canta pure, muovendosi, arrivando ogni volta a pochi centimetri dai ragazzi sottopalco e non perdendo nemmeno una nota, sia a livello ritmico sia a livello vocale.
Il math-rock / emo-punk dei Tiny dal vivo è decisamente impeccabile e, una dopo l’altra, fluiscono rapide tutte le canzoni in scaletta, che ripercorrono quasi tutta la loro discografia. Si inizia, si finisce e si impreziosisce il set con i brani del nuovissimo breathe (2019, Hopeless Records): da “Midwest Sky” a “Bloody Nose”, da “Icicles” a “Medicine”, per concludere con “Vertebrae”. Ma non si dimenticano nemmeno i dischi precedenti, regalando al pubblico perle da This Couch Is Long & Full of Friendship (2013) con “Clouds Above My Head” o da Pleasant Living (2014) con “Sundress” e “Always Focused”.
Degli album più recenti si prende invece a piene mani da Swell (2018) con “Applause” e “It’s Too Cold Tonight” e da Celebrate (2016) con “Headache”, “Birdhouse” e “Common Cold”, che per l’occasione è stata cantata assieme a Nathan dei Microwave, che non ha resistito a condividere il palco con i suoi compagni di viaggio.
Ventenni esaltati, sing along a profusione e fotografi che con difficoltà si facevano largo tra un pogo impazzito per i tre beniamini della serata. Che dire, se Bologna regala queste soddisfazioni bisognerà frequentarla più spesso.