“Viviamo in tempi difficili ma non ce ne frega niente, siamo qui a suonare la nostra musica, se ci concentriamo bene riusciremo a connetterci tutti insieme, non importa se siamo seduti o in piedi!”. La chiave di lettura del concerto di Venerus sta tutta in queste frasi che il musicista pronuncia in vari momenti nel corso del set. Con una raccomandazione, alla fine, di “andare a diffondere il verbo, ma dove il verbo – precisa poi – non è la mia musica ma condividere le cose belle.
La gioia e il senso di liberazione provocati dalla ripresa (parziale e provvisoria ma pur sempre una ripresa) della socialità dopo le restrizioni degli ultimi due autunni e primavere sono a tutti gli effetti gli ingredienti di partenza di questo tour ed è più che comprensibile, per uno che ha intitolato il suo ultimo disco “Magica musica”: cosa c’è di più potente e di più terapeutico, se vogliamo, delle tue canzoni suonate dal vivo, davanti a gente che non vede l’ora di sentirle?
Ecco perché il live di ieri sera è stata una festa. Ed ecco perché, dopo l’annullamento della data di Ferrara del 4 luglio, valeva la pena farsi un po’ di chilometri per vedere questo tour. Soprattutto dopo le parole con cui il diretto interessato me lo aveva introdotto durante l’ultima intervista, a inizio mese. Era evidente che sarebbe stato qualcosa di imperdibile.
Partiamo dalla location. Non me ne voglia il Ferrara sotto le stelle ma la piazza Matteotti di Sarzana, spaziosa ed elegante, con il suo palco dalle dimensioni adeguate alle grandi occasioni, si presenta decisamente migliore e funzionale rispetto al piccolo stage del contesto non proprio ordinatissimo di Parco Bassetti, con tutti i suoi problemi di volumi annessi.
Il tour sta andando molto bene, ha registrato già diversi sold out e nonostante questa sera ci siano dei buchi qua e là, il colpo d’occhio è piuttosto buono. Il pubblico è vario: in prevalenza giovani (pochi i giovanissimi) ma anche diversi adulti, in generale non è il quadro d’insieme che si vede ai concerti It Pop o in generale a quelli degli artisti dell’ultima generazione; testimonianza importante che avvalora il fatto che Venerus si sta ponendo su un territorio differente, sia per il genere proposto che per il modo con cui ha scelto di renderlo dal vivo.
Il punto, a ben vedere, è proprio questo. Sul palco sono in sette: Danny Bronzini alla chitarra, Andrea Colicchia al basso e al contrabbasso, Danilo Menna alla batteria, Vittorio Gervasi al sax, Filippo Cimatti ad occuparsi di tutta la parte elettronica e l’aggiunta di Arya ai cori (in passato l’avevamo vista anche con Ghemon), a dare un tocco di profondità in più a livello vocale. E la “mission”, diciamo così, di questa formazione allargata (sono bene o male tutti musicisti che hanno lavorato con lui anche nei precedenti tour ma è la prima volta che sono presenti tutti assieme) è proprio quella di far vedere che cosa succede quando una band suona dal vivo, quale tipo di magia può sprigionarsi da musicisti appassionati ed affiatati. Può sembrare scontato ma per un pubblico cresciuto nella maggior parte dei casi con artisti che utilizzano largamente sequenze e basi registrate, e dove l’aspetto “plastico” e scenografico di uno spettacolo balza in primo piano rispetto a quello meramente esecutivo, vedere gente che crea con i propri strumenti qualcosa di autenticamente bello e che fino ad un istante prima non esisteva, è senza dubbio un’esperienza che non si dimentica facilmente.
Già l’inizio dà un’idea di quello che accadrà, con la band che sale sul palco e comincia una lunga sequenza preparatoria, dando voce agli strumenti e facendo montare una progressiva marea sonora, come quella di un’orchestra che si accorda. Quando poi appare Venerus, che si divide a metà tra una tastiera ed uno splendido pianoforte a coda di colore azzurro, partono le prime note di “Ogni pensiero vola” e si comincia davvero. “Forse è che appartengo a un mondo un po’ magico/Vorrei volare via lontano da qui/E a volte sento tutto attorno un po’ strano/Chissà se qualcun altro è fatto così” sono versi che dicono molto anche di quello che succederà dopo: è un viaggio, quello che pubblico e band faranno in queste due ore abbondanti (anche la durata non è nella media dei live italiani che vanno per la maggiore), segue l’idea che la musica è un linguaggio, un ponte per nuove esperienze, che può trasportare in luoghi che altrimenti rimarrebbero inaccessibili.
Subito dopo arriva “Brazil” e poi “Appartamento”, unico brano proposto tra quelli con dei featuring al loro interno, probabilmente per una certa affinità di intenzioni con Frah Quintale, la cui parte è stata riletta in scioltezza. Qui Venerus imbraccia la chitarra ed è una versione carica, che sprigiona groove a piena potenza. Diventa difficile stare seduti, le prime persone cominciano ad alzarsi per ballare, è l’anticipazione di un trend che diverrà prevalente nel prosieguo della serata. La successiva “Fuori” viene presentata con una coda pazzesca, fatta di un lungo assolo di chitarra (la prova di Danny Bronzini in generale è stata assolutamente fantastica) con Arya che, come in altre occasioni, improvvisa sugli accordi portanti della melodia. La vecchia “Forse ancora dorme” è invece proposta in trio, basso, elettronica, pianoforte, si carica di una forte intimità notturna. “Eden” è preceduta da un lunghissimo interludio col sax ad improvvisare su leggeri accordi di pianoforte, in una sorta di mood pinkfloydiano che sentiremo a più riprese, per una certa propensione del gruppo a lasciarsi andare negli assoli e a prolungare la durata dei vari pezzi.
Questo, dicevamo, è il punto: si tratta di uno spettacolo preparato, studiato fin nei minimi dettagli, ma che allo stesso tempo lascia ai musicisti lo spazio di muoversi a proprio piacimento, seguendo pattern che non sono per forza di cose quelli del disco. I brani sono quelli, non vengono stravolti nelle loro linee guida ma le soluzioni di produzione di Mace non ci sono, l’elettronica compie altre scelte e in generale gli arrangiamenti sono diversi, tutti esclusivamente pensati per il concerto. Lo ripeto, sarà scontato, sarà banale, ma ad osservare le reazioni del pubblico pare che si sia recuperato (o scoperto per la prima volta, decidete voi) un’esperienza essenziale: il live non come l’ascoltare un insieme di canzoni, ma come l’andare a sentire della gente che suona.
È la band intesa come collettivo, l’autentico protagonista: Venerus dà spazio tantissimo a loro, sia nelle lunghe parti strumentali (bellissimo il finale accelerato di “Sei acqua”, tra Jazz ed elettronica, col sax di Vittorio Gervasi in grande spolvero) sia nella sua scelta di rimanere nel complesso defilato, quasi sempre al pianoforte, raramente a centro stage. Ogni tanto scende tra il pubblico, come durante “Una certa solitudine”, quando corre tra le fila di sedie imbracciando la chitarra e con un gran sorriso stampato in faccia. Poi risale, attacca “Love Anthem” e fa alzare tutti in piedi a ballare, a quel punto è impossibile rimettersi a sedere.
Seguono episodi importanti di “Magica musica” come “Lucy” e “Canzone per un amico” (su quest’ultima tira fuori un’armonica a bocca per un suggestivo assolo finale), oltre ad una “Solo dove vai tu” da dieci minuti, decostruita nel suo break centrale, con una seconda parte dove è la batteria a prendersi la ribalta, e poi ancora un lungo solo chitarristico in chiusura).
C’è anche un pezzo inedito, una ballata languida dall’usuale tocco Soul, che al primo ascolto ci è piaciuta molto, poi arrivano gli inevitabili classici della prima ora: “Altrove”, “Il fu Venerus”, “IoxTe”, prima della chiusura del cerchio affidata ad una dolcissima “Luci”, ultimo brano di “Magica musica”, di cui nei giorni scorsi è uscito anche un video.
Doveste guardare anche un solo concerto quest’estate, guardate questo, ci sono ancora tante date in giro e passerà senz’altro dalle vostre parti: Venerus e Iosonouncane al momento sono gli artisti da guardare, se si vuole sapere qualcosa sullo stato della scena musicale italiana.
[Pics by Alessandro Bosio]