La pandemia ha dato una scossa al processo di scrittura di Giorgio Canali, che ha smesso di centellinare le uscite come nell’ultima parte della sua carriera ed ha approfittato del lockdown per lavorare a nuove canzoni, che lui e i Rossofuoco hanno poi registrato a distanza, bloccati com’erano in varie parti d’Italia e col chitarrista Stewie Dal Col addirittura confinato in Florida. Venti, che si riferisce al numero di canzoni in esso contenute, è un disco lungo, ispirato e importante, che descrive in maniera più che efficace il periodo di marzo-aprile, con l’isteria di massa alimentata dai media e l’impreparazione e il dilentattismo della classe politica a peggiorare la situazione. Prese di posizioni scomode, che al netto delle ultime derive simil complottiste, su cui è francamente impossibile seguirlo, lo hanno trovato spesso molto più lucido di diversi sedicenti opinionisti visti fin troppo in televisione in quei mesi difficili. Ma a conti fatti “Venti” è anche uno dei suoi dischi più sinceri e personali, come ho avuto modo di dire in sede di recensione: non capitava spesso che parlasse in maniera così disinvolta di vuoto esistenziale, ricerca della felicità e bisogno viscerale di qualcuno che lo abbracci e che gli voglia bene, nonostante tutto.
È partito, come lui stesso ha detto, da “Cartoline nere”, canzone su un personaggio improbabile e ai margini della società, per superare il blocco e la fatica della scorsa primavera, ritrovare l’ispirazione e dare il via all’album, a soli due anni di distanza dal precedente.
Il Magnolia questa sera non è pieno ma il colpo d’occhio è comunque soddisfacente e va nel complesso meglio di tanti flop a cui ho assistito o che mi hanno riferito. Non è una grande estate, credo che ormai lo si possa dire: al netto della solita manciata di nomi che va avanti a ritmo di sold out, tutto il resto della scena italiana sta viaggiando su numeri bassissimi, tanto da rendere difficile pensare che si possa tirare avanti ancora per molto in queste condizioni. D’altronde lo si sapeva: in Italia si va ai concerti per socializzare, non il contrario; e poi si va a vedere solamente chi è già famoso, per poter raccontare che ci si è andati, per poter vivere un’esperienza grossa; la musica alla maggior parte del pubblico interessa molto poco e con queste restrizioni era abbastanza evidente che sarebbe finita così.
Meglio a questo punto concentrarsi sul concerto. Che è stato un gran concerto, bisogna dirlo. Dopo aver girato da solo la scorsa estate, Canali torna coi Rossofuoco nel loro assetto classico, vale a dire Marco Greco al basso, Stefano Martelli alla batteria e Stewie Dal Col alla chitarra, con lui stesso ovviamente ad occuparsi dell’altra sei corde. Formazione consolidata da tempo, affiatata e unita da grande complicità. Negli ultimi anni sono anche divenuti più precisi, hanno imparato a fare le cose in modo meno raffazzonato e hanno fatto in modo che la potenza che sempre li contraddistingue si unisse ad una maggiore cura dei dettagli.
Un improvement necessario, soprattutto perché a questo giro la setlist è improntata sui brani dell’ultimo disco (ne vengono eseguiti 13 su 20, a memoria il suo tour con la più vasta presenza di materiale nuovo) e questi sono in gran parte ballate e mid tempo, con arrangiamenti e parti strumentali leggermente più impegnativi rispetto al loro standard abituale.
Giorgio è nel complesso in forma, un po’ meno arrabbiato del solito e a tratti quasi ingentilito (spero non legga queste righe altrimenti mi ammazza), ogni tanto si dimentica qualche parola dei testi ma a livello vocale regge bene, queste canzoni non sono semplicissime e sebbene qualcuna non esca bene come nella versione in studio, il risultato è comunque soddisfacente. Si apre con “Vodka per lo spirito santo”, subito seguita da “Tre grammi e qualcosa per litro”, poi ne arrivano parecchie altre, con l’accoglienza più entusiasta riservata al singolo “Morire perché” ma con versioni molto cariche anche di “Wounded Knee”, le rockeggianti “Canzone sdrucciola” e “Dodici”, una potente “Inutile e irrilevante”, che fa il verso ai Clash in maniera fin troppo esplicita ed emozionanti ballate come “Nell’aria” ed “Eravamo noi”.
Nel mezzo arriva qualche episodio vecchio ma rispetto agli altri anni non c’è molto, chi vuole i vecchi classici si deve accontentare dell’imprescindibile “Precipito”, che questa volta non arriva alla fine, e dell’assalto frontale di “Mostri sotto al letto”, probabilmente non prevista in scaletta, vista l’espressione sorpresa di Luca Martelli quando Giorgio si è girato verso di lui attaccando gli accordi iniziali.
C’è spazio anche per due brani amatissimi come “Ci sarà”e “Nuvole senza Messico” e per il ripescaggio di “Tutti gli uomini”, che viene inframmezzata da uno snippet di “Heroes” (“Siccome non siamo abbastanza bravi a rovinare le nostre canzoni, adesso ci mettiamo a rovinare quelle degli altri!”). Del precedente “Undici canzoni di merda con la pioggia dentro” viene invece proposta la cavalcata “Undici”, ormai assurta anch’essa tra i classici del repertorio, la cupa elegia di “Messaggi a nessuno” e la bordata poderosa di “Emilia parallela”.
Chiude una bellissima ed inaspettata versione elettrica e full band di “Rotolacampo”, che assume tutta un’altra connotazione ma che non è per questo meno intensa ed emozionate dell’originale.
Finisce così, con saluti veloci, e “Oggi siamo felici” di Fabio Celenza sparata a palla dalle casse, come fosse una più che probabile presa per il culo. Niente bis, nonostante il pubblico lo richiedesse a gran voce (ma si è mai visto Giorgio Canali accontentare il pubblico?). Anzi, c’è stato ad un certo punto un siparietto divertente quando dopo pochi minuti è effettivamente uscito di nuovo, provocando un boato, ma si è scoperto che era solo per recuperare il suo drink.
Qualunque cosa si possa pensare di lui, Giorgio Canali rimane un artista ed un personaggio autentico, e non è che in Italia ce ne siano poi tanti come lui. Tra una cosa e l’altra, si è fatto sfuggire di aver già scritto altre undici canzoni: ispirato com’è, non sarebbe male avere presto un nuovo disco.