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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
14/12/2020
Gianluca De Rubertis
Live Report
Alla fine era la cosa più logica che si facesse così, tanto che viene da chiedersi perché non ci abbiano pensato prima. Con l’ultimo dpcm che, chiudendo locali, teatri e luoghi da concerto, lascia invece aperte le chiese, qualcuno aveva in effetti suggerito scherzando: “Perché non facciamo un concerto in una chiesa?”.

Detto fatto. Gianluca De Rubertis ci aveva scommesso e aveva promesso che prima della fine dell’anno una chiesa l’avrebbe trovata. Grazie alla disponibilità di don Antonello, parroco in San Vittore e 40 martiri, vicino a piazzale Corvetto, Milano ha finalmente visto un flebile ritorno dei live in presenza, dopo la scorpacciata di streaming degli ultimi mesi.

“La violenza della luce” è stato un disco importante per l’artista salentino, ne ha evidenziato il lato più squisitamente Pop e ne ha mostrato la crescita come autore, per cui è bello riuscire a sentire dal vivo alcuni di questi episodi, anche se per una sera soltanto e in un contesto inusuale.

Non è neanche così assurdo per lui suonare in chiesa: da ragazzo, spiega durante lo spettacolo, suonava l’organo in una corale e la title track del disco nasce dalla rielaborazione di un pezzo scritto negli anni ’80 da un prete, Padre Bruno Facciotti, che lui ha ricontattato dopo così tanto tempo perché ne aveva in testa solo dei frammenti e avrebbe voluto recuperarla per inserirla nel disco. È una riflessione sull’uomo, diviso tra la dimensione prettamente biologica e quella esistenziale, con un desiderio di infinito che non si può spegnere. Risulta particolarmente adatta a questo momento, coi pochi presenti che si ritrovano in una serata di pioggia, certamente per ascoltare un concerto ma anche e soprattutto nella speranza che questa “violenza della luce” alla fine riesca a spazzare via le tenebre dell’incertezza nelle quali stiamo sprofondando. È la stessa attesa espressa da “Nel cuore nel cuore”, il primo brano suonato, che sembra quasi alludere ad un luogo intimo, al riparo dalle intemperie, dove chiunque possa recuperare una dimensione vera di sé per poter stare di fronte alle avversità.

L’allestimento è ovviamente semplice, c’è un pianoforte elettrico Roland ai piedi dell’altare e niente altro. Le sedie, disposte a garantire un rigoroso distanziamento, sono solamente ottanta e dispiace constatare che questa soglia così bassa non verrà raggiunta, dato che i presenti alla fine non saranno più della metà.

L’acustica non è il massimo e la povertà dell’impianto di amplificazione fa il resto: il pianoforte esce bene ma il microfono distorce parecchio la voce e l’insieme, anche a causa del riverbero, non è del tutto all’unisono.

A parte questo, Gianluca è bravo e ha in repertorio degli ottimi brani, per cui il concerto, pur nella brevità, è assolutamente di buon livello. Non ci sono ripescaggi dal passato, dei tre dischi in catalogo (quattro, se contiamo anche quello realizzato nel 2017 con Roberto Dellera) è solamente l’ultimo ad essere preso in considerazione: riletti piano e voce questi episodi non perdono una goccia del loro fascino, a dimostrazione del fatto che il loro punto forte sta innanzitutto nella scrittura. Ci sono casi, come “Pantelleria” e “Solo una bocca”, dove l’elemento melodico viene enfatizzato; altri, è il caso ad esempio di “Dimmi se lo sai” e di “Voi mica io”, caratterizzati da un arrangiamento più ricco, vengono scarnificate e trasformate in ballate ma funzionano allo stesso modo.

In chiusura viene evocato il suono dell’organo, per una versione suggestiva di “Povera patria”, quanto mai adatta all’occasione (del resto è una canzone che funziona in qualunque contesto, considerato che poco o nulla è cambiato da quando Battiato la scrisse originalmente) e poi, di fronte alle insistenze dei presenti, concede ancora una splendida “Confessioni di un malandrino”, che stupisce soprattutto per l’interpretazione vocale.

È durato pochissimo ma di questi tempi è comunque un regalo prezioso. Torneremo in presenza, ne sono convinto ma bisogna ringraziare questi momenti, che ci ricordano il motivo vero per cui ascoltiamo musica e andiamo ai concerti. È una passione, certo. Ma ha anche tremendamente a che fare con l’essere vivi, liberi e coscienti che la vita chiede un significato profondo.

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