Quando nel settembre 2013 Robert Fripp annunciò che i King Crimson sarebbero tornati in attività, a cinque anni dall’ultima serie di concerti e a dieci dall’ultimo album in studio, la notizia fu accolta con un misto di scetticismo e curiosità. Troppi erano gli elementi che apparentemente sembravano fuori posto una volta letti i nomi dei musicisti coinvolti: che fine aveva fatto Adrian Belew? Perché al suo posto era stato chiamato Jakko Jakszyk? Perché recuperare Mel Collins? A cosa servono tre batteristi?
Quando la settima incarnazione dei King Crimson ha iniziato a esibirsi, il disegno musicale di Fripp si è rivelato in tutta la sua completezza. Costruiti attorno al nucleo di musicisti che ha preso parte al ProjeKt Jakszyk, Fripp & Collins che nel 2011 ha pubblicato A Scarcity of Miracles, i King Crimson 7.0 potenzialmente possono attingere dal materiale di ogni era della band, cosa che in passato non era mai stato possibile fare. E se la presenza di tre senatori come Mel Collins, Tony Levin e Pat Mastelotto è una patente di autenticità che permette di coprire il repertorio che va dagli anni Settanta fino ai primi anni Duemila, la versatilità di Gavin Harrison, Jeremy Stacey e Jakko Jakszyk è la carta in più che consente a Fripp di poter far eseguire ai suoi Crimson ogni tipo di canzone. E se tutti e sei i musicisti arruolati da Fripp sono dei riconosciuti virtuosi del proprio strumento, va detto che la vera sorpresa è proprio Jakko Jakszyk, il quale, grazie alla sua versatilità vocale e alla sua ottima tecnica chitarristica, riesce sia a eseguire alla perfezione il repertorio “storico” degli anni Sessanta e Settanta originariamente interpretato da due grandi cantanti come Greg Lake e John Wetton (cosa che Adrian Belew non poteva fare) sia a fare da spalla a Fripp nei complessi intrecci di chitarra che sono il marchio di fabbrica dei Crimson a cavallo tra gli anni Ottanta e Duemila.
Registrato al Museumsquartier di Vienna il 1 dicembre 2016, uscito lo scorso autunno in Giappone e finalmente disponibile anche in Europa e negli Stati Uniti, Live in Vienna è la dimostrazione che la visione di Robert Fripp per questi King Crimson degli anni Dieci non è incentrata sulla nostalgia bensì sulla ricerca della novità, confermando la filosofia di base che ha da sempre animato la formazione inglese. Per cui ogni concerto non è una semplice celebrazione dei fasti passati oppure una pedissequa riproduzione nota per nota delle canzoni più famose del repertorio, bensì è il momento in cui il materiale prende nuovamente vita, magari imboccando strade inaspettate, reinventandosi costantemente.
È possibile che canzoni di oltre quarant’anni fa abbinano ancora qualcosa da dire? Evidentemente sì, secondo Robert Fripp, e il Live in Vienna è qui a dimostrarcelo. I King Crimson ora come ora non sono più un gruppo Rock (se mai lo sono stati) e forse nemmeno Progressive, bensì un’agguerrita orchestra Jazz. Iniziato in uno scantinato di Londra nel novembre di cinquant’anni fa, il viaggio del Re Cremisi pare non voler finire. Anzi, più il tempo passa, più la compagnia di musicisti guidata da Robert Fripp sembra avere ancora molto da dire.