Loudness. Un nome che agli appassionati con un po' di anni sul groppone, evoca quell’infuocata stagione degli anni ’80 che porta il nome di New Wave Of British Heavy Metal (NWOBHM). Di britannico, però, nei Loudness non c’era nulla, visto che la band arrivava da Oriente, e per la precisione, dalla terra del Sol Levante. Inseritisi per affinità di suono nell’onda lunga di band come Saxon, Iron Maiden, Motorhead, etc., il combo nipponico, pur suonando incredibilmente occidentale, appariva come una sorta di variabile impazzita, un’anomalia del sistema che lasciava noi giovani adepti al verbo del rock un po' perplessi e un po' stupiti.
In un’epoca in cui la globalizzazione e internet erano solo il miraggio di qualche visionario, era davvero difficile credere che dal Giappone potesse arrivare nei nostri stereo un heavy metal tanto cazzuto e ben suonato, solitamente prerogativa del mondo di lingua anglosassone; e ancora di più stupiva che certi dischi potessero giungere a noi dall’altro capo del mondo, in una terra di cui si conoscevano solo gli stereotipi, che nulla avevano a che fare con borchie e suoni estremi.
Invece, i Loudness, ebbero parecchi anni di gloria, diventando autentiche leggende in terra natia, creandosi un discreto seguito di fan sia in Italia che in Europa, e conquistando a suon di vendite anche il difficile mercato americano (a cui sacrificarono, per motivi di pronuncia, il cantante Minoru Niihara, oggi di nuovo nella line up, con Mike Vescera).
Oggi, la band capitanata dal chitarrista Akira Takasaki, è giunta quasi alla soglia del quarantennale di carriera, e può vantare una discografia ponderosa, composta da più di quaranta titoli, tra dischi in studio e album live. Questo nuovo lavoro, registrato durante il tour promozionale del precedente Rise To Glory (2018), aggiunge un nuovo tassello a una carriera solidissima, che tra alti e bassi, successi e fiaschi, decessi e cambi di formazione, conferma l’ottimo stato di forma di un combo ancora agguerrito, che non sembra aver perso la lucidità e lo smalto dei vecchi tempi.
La band fa il suo e continua a farlo egregiamente, con molto mestiere, certo, ma anche con un entusiasmo che a distanza di così tanti anni risulta davvero invidiabile. In scaletta brani dell’ultimo disco, che non era certo un capolavoro ma suonava comunque più che dignitoso, e i cavalli di battaglia di un repertorio pressoché infinito. Se la voce di Niihara ha perso un po' lo smalto del tempo, la chitarra di Takasaki tira ancora alla grande, dispensando riff e assoli con graffiante incisività e sapienza tecnica.
Niente di negativo da dire, insomma, se non, che questa musica, resta molto ancorata al suono classico di una stagione, e che nel corso degli anni, salvo qualche pessima svolta melodica ed elettronica, ha mantenuta intatta la propria essenza, i cui orizzonti, a dire il vero, erano, e restano, piuttosto limitati. Disco per nostalgici e fan.
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