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Live in Italia dal 27/10 al 06/11
Califone
2024  (Fiverosespress)
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09/10/2024
Califone
Live in Italia dal 27/10 al 06/11
I Califone (USA), progetto guidato dall'artista Tim Rutili, fatto di un mix di elementi di pop radiofonico classico e sperimentazione elettronica, con il loro primo tour in Europa e nel Regno Unito con una band al completo dopo 10 anni, arriveranno anche in Italia per ben 7 date dal 27/10 al 06/11. Venite a scoprire se ne avete una vicino casa.
di La Redazione

I Califone intraprendono il loro primo tour in Europa e nel Regno Unito con una band al completo dopo 10 anni. Dopo il successo dell'ultimo album Villagers, uscito nella primavera del 2023 per Jealous Butcher Records, la band si esibirà in autunno in Italia, Francia, Spagna, Regno Unito e Irlanda.

Queste la date italiane:

Oct 27 — Rome, IT — Monk Club
Oct 30 — Osimo, IT — Loop Live Club
Oct 31 — Venice, IT — Teatro del Parco
Nov 1 — Pisa, IT — Caracol
Nov 2 — Bologna, IT — Locomotiv Club
Nov 5 — Savona, IT — Rain Dogs
Nov 6 — Milano, IT — Spazio Teatro 89
 
Il link per comprare i biglietti: https://pocp.co/califone-eu-24
 
 
Con 25 anni di Califone in catalogo (per non parlare di una serie di altri progetti, tra cui gli eroi dell'alt rock Red Red Meat), Tim Rutili sa bene come trovare un momento di stupore e beatitudine anche quando le cose stanno andando a rotoli. La fine del mondo potrebbe non arrivare con un grande e inevitabile segno, una luce furiosa e un rumore impenetrabile. La fine delle cose potrebbe essere solo lenta, mistica, avvolgente, con l'entropia che si sfilaccia costantemente ai bordi. Invece di una grande esplosione, tu, io, un fiore, un cane, una vecchia casa ammuffita, una cassetta logora: tutto si rivela composto dalle stesse particelle che si allontanano e si mescolano.
L'ultimo disco dei Califone, Villagers, è come se ci si sedesse sull'altalena del portico e si guardasse quel tramonto entropico.
 
Per il primo disco del gruppo dopo Echo Mine del 2020, Califone si concentra su quel punto di forza con un cast immacolato di collaboratori (tra cui i compagni di lunga data Ben Massarella, Michael Krassner, Rachel Blumberg, Max Knouse e Brian Deck) distribuiti in sessioni di registrazione in quattro città diverse. Le nove composizioni del disco si estendono altrettanto, incorporando nel mix elementi di pop radiofonico classico e sperimentazione elettronica. E poi ci sono brani come l'agghiacciante e increspata “Eyelash”, costruita con le ossa di un drone improvvisato, registrazioni sul campo della pioggia passate attraverso un sintetizzatore modulare e una sezione ritmica serrata.
Volevo che sembrasse come se i Voodoo dell'era D'Angelo incontrassero i The Long Goodbye dell'era Robert Altman”, ricorda Rutili a proposito del brano, che è tanto una scultura quanto una canzone.
 
Come musicista, Rutili si è sempre sentito in parte poeta, in parte compositore di colonne sonore, in parte pittore astratto, attirando gli ascoltatori attraverso testi sfuggenti, lampi di ombre e immagini che si fondono in un'unità disarmante. Questa forza è raddoppiata in Villagers, un album ricco di giri di frase oscillanti e sorprendenti - una caratteristica esemplificata dal pezzo forte dell'album, “Ox-Eye”. Lì, su un pianoforte ondeggiante, una chitarra elettrica ragnatela e una percussione elettronica simile agli ultimi cubetti di ghiaccio che tintinnano intorno a un bicchiere di ghiaccio, Rutili esamina cosa significhi perdersi mentre si è circondati dalla tecnologia moderna.
I fantasmi sono solo macchine del tempo/ Hanno paura di te quanto te”, propone Rutili, la cui voce bassa è inseguita poco dopo da un'esplosione di clarinetto, sassofono e cori per gentile concessione di Nora O'Connor e Macie Stewart dei Finom. “Questa canzone è un pesce gatto. Non come il pesce. È più simile a una persona che finge di essere qualcun altro online per possederlo”, spiega Rutili, in qualche modo criptico e intimo. “Questo non riesce a smettere di guardare il telefono ed è dipendente dai reality show”.
 
È significativo che Rutili si riferisca alle sue canzoni come se fossero umane, anche i pensieri più astratti sono portatori di un'anima profonda. Sia che si tratti di goth invecchiati che conservano la loro identità attraverso decorazioni spettrali che durano tutto l'anno (“Halloween”) o di una conversazione immaginaria con un monarca consanguineo (“Habsburg Jaw”), i Califone eccellono quando rimbalzano tra uno sperimentalismo ruvido e un groove pop teso.
Confidando nel fatto che i musicisti avrebbero trovato la strada per tornare l'uno all'altro nelle loro avventure riffate, Rutili ha raggiunto un nuovo senso di sé. “Ne sono uscito giudicandomi un po' meno duramente e fidandomi un po' di più di me stesso”, sorride, sicuro della sua empatia. Questo è più chiaro di quanto non lo sia in “Sweetly”, una nuvola acustica che ondeggia dolcemente, suonata dal vivo nella stanza.
 
Mi sento a mio agio a combinare elementi di Captain Beefheart, soft rock degli anni '70 e suoni digitali spezzati”, dice Rutili. “Ci sono parole che non dovrebbero andare insieme e immagini che sono frantumate insieme che forse non dovrebbero esserlo, ma ci si sente a posto”.
 
Nel corso di Villagers, i momenti di inquietante distorsione o di sorpresa emergono con la stessa rapidità con cui scompaiono dietro di sé, pennellate magistrali lanciate in una musica mercuriale.
Anche se il mondo si estende in forme sempre più strane, i Califone continuano a raggiungere nuove vette di armonia e unità al di là della loro chimica già mitica.
Le canzoni di Villagers sono piene di persone che fanno i conti con il divario tra percezione e realtà, con il concetto stesso di realtà, con il tempo che scivola costantemente verso un precipizio invisibile - un album in cui anche le canzoni di devozione si concentrano sull'amore per le imperfezioni e i cuori infranti dell'altro.
Passi incauti/ Al primo accenno di uragano/ Tutti i lieti fini di cocaina/ Il mio amore rimane”, sussurra Rutili, la quintessenziale e surreale ballata pop acustica che si protende verso il tramonto, con tutti i presagi del caso.