“Non sono assolutamente presenti sovraincisioni di alcun tipo”. Questa scritta -rara da trovarsi anche in dischi che hanno fatto la storia della musica registrata dal vivo- campeggia nelle note di copertina appartenenti al live di Elton John ed è un’ulteriore certificazione della bontà e purezza del progetto.
Ora veniamo a contestualizzare l’evento memorabile.
Ultima tappa del tour, il 14 dicembre 1986 fungerà da spartiacque per la carriera del camaleontico pianista.
I motivi sono tanti. Innanzitutto fu praticamente un precursore nello scegliere di esibirsi (per gran parte del lungo show) con un'orchestra di ottantotto elementi, idea concepita proprio per suonare in Australia e che si protrae in quel paese per gli ultimi due mesi di quell’anno. Saranno infatti ben ventisette le date, culminanti appunto al Sidney Entertainment Centre.
Infine non solo si opta di registrare il concerto, ma viene anche trasmesso in diretta riscuotendo un successo incredibile.
A ciò si aggiungono altri particolari importanti. Dopo questo spettacolo Elton abbandonerà definitivamente i leggendari bizzarri costumi di scena (comparirà agghindato da Mozart per il set di cui stiamo parlando!) e ascolteremo proprio qui per la volta finale la sua voce “originale” prima dell’intervento alle sofferenti corde vocali che ne ristabilirà la potenza, ma la modificherà in un timbro più profondo, dando l’inizio a una nuova era da questo punto di vista.
L’operazione era necessaria e probabilmente in seguito canterà anche meglio di prima, ma la performance roca, presente in questo concerto, ben si adatta all’atmosfera studiata in connubio al fantastico repertorio scelto. E riguardo a quest’ultimo discorso dobbiamo sottolineare la decisione, soprattutto per la porzione che viene pubblicata, di evitare l’esecuzione di canzoni recenti e, con tutto il rispetto, la cosa giova. Non erano mancate alcune discrete intuizioni nei precedenti album, ma sinceramente definire spenti Ice On Fire (1985) e soprattutto Leather Jackets (1986) è un eufemismo.
Ben sei dei quattordici pezzi in scaletta arrivano da quel capolavoro del disco omonimo, uscito nel 1970.
Tali premesse vengono suffragate dai fatti. Live In Australia rappresenta la rinascita per l’artista britannico che, ritrovata la vena compositiva verosimilmente grazie anche alla rinuncia dell’estetica ostentata, confezionerà due lavori in crescendo, Reg Strikes Back, tra l’altro molto apprezzato in Italia, e il notevole Sleeping with the Past, che gli garantiranno una nuova generazione di fans, corroborati pure da un azzeccato Greatest Hits inserito fra queste pubblicazioni.
Le dolcissime note prodotte dall’arpa ci introducono a questa meravigliosa rappresentazione che per le prime quattro canzoni prevede il solo Elton con l’orchestra, diretta dal maestro e arrangiatore James Newton Howard. La raffinata Sixty Years On, la romantica I Need You To Turn To sono da pelle d’oca e accompagnano veloci a uno dei più bei testi scritti da Bernie Taupin abbinati all’altrettanta eccellenza compositiva. Stiamo parlando di The Greatest Discovery, che precede quel piacevole tormento in musica che è l’elegiaca Tonight.
La straziante Sorry Seems To Be The Hardest Word è caratterizzata dall’arrivo della band, sono in tutto tredici i membri, che da questo momento assisterà John. Le percussioni di quella forza della natura chiamato Ray Cooper (già presente al vibrafono nella versione originale, su Blue Moves, 1976) tratteggiano questo brano e da ora il concerto si snoda fra le brillanti interazioni delle diverse parti in gioco, snocciolando momenti di rara intensità.
Non si possono non citare la leggiadra Tiny Dancer e la roboante Have Mercy On The Criminal (mai così fluida, con un poderoso solo di chitarra del fido Davey Johnstone) seguita dalla potente Madman Across The Water. Godono tutte e tre, come la maggior parte della selezione d’altronde, dell’arrangiamento originale dello storico conduttore Paul Buckmaster, che aveva collaborato con Elton tra il ’69 e il ’72.
Ci avviciniamo alla parte finale del concerto, dove c’è ancora tempo per togliere la polvere da altri capolavori come la dolce e in futuro nuovamente tristemente famosa Candle In The Wind.
Entriamo in un altro momento da brivido.
Gli undicimila spettatori a Sidney uniti agli altri dieci milioni in diretta assistono a qualcosa di epico, che possiamo anche noi rivedere nel video ufficiale (all’epoca uscì pure una versione in laser disc, ve lo ricordate questo supporto?) che circolano su YouTube.
Solo Elton John, accompagnato dal tastierista Fred Mendel, si cimenta nella canzone e tutti i musicisti dell’orchestra dietro di lui, all’inizio della seconda strofa tengono in mano una candela, che rimane accesa fino al termine dell’esecuzione, fra le ovazioni del pubblico e lo stupore dello stesso artista.
Dopo questa magia possiamo danzare convinti sulle montagne russe dell’imperiosa Burn Down The Mission in attesa di un altro highlight, anche se poi, in verità, trattasi di highlight l’intera opera.
Arriva difatti il turno dell’incantevole Your Song, tenerissima, e l’incessante coinvolgente impeto prodotto fin qui dall’orchestra è in questo caso arginato dalla struggente interpretazione vocale dell’autore inglese.
Come ben sappiamo le sue doti pianistiche sono eccelse, riesce a far pensare che sia semplice qualsiasi parte interpretata. E anche in Don’t Let The Sun Go Down On Me ne dà dimostrazione, fantastica chiusura di un evento che ancora oggi, anzi a maggior ragione oggi, fa battere il cuore.