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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
21/08/2023
Stuff
Live at Montreux 1976
Una serie di vicissitudini tra il comico e il drammatico contribuisce a unire un gruppo di turnisti dalle spiccate doti artistiche e da subito scocca la scintilla. Siamo a metà anni Settanta, e gli Stuff regnano ovunque in quell’epoca di gloria: nei club, in tournée, registrando a proprio nome e supportando artisti come Paul Simon, Phoebe Snow, Daryl Hall & John Oates, Leon Thomas, Joe Cocker, Carla Bley, Donny Hathaway e Aretha Franklin, tra i tanti.

A volte una band, per essere ricordata come davvero incredibile, deve avere avuto una storia davvero incredibile e il caso degli Stuff conferma tale affermazione. Tutto comincia dal cuore del ritmo per un gruppo, il bassista. Ebbene Gordon Edwards, un uomo così imponente da far sembrare il suo strumento un mandolino, è uno dei turnisti “prezzemolo” che contribuisce a forgiare la colonna sonora della Grande Mela negli anni Settanta, dove jazz, funk, punk, rock, disco e reggae creano una magica miscela musicale. Edwards viene scelto per Mind Games (1973) direttamente da John Lennon, che gradisce il suo stile disadorno dal groove funky, e continua nell’oscuro, ma apprezzato lavoro di session man, alternando alle incisioni in studio un’intensa attività live.

Proprio durante le esibizioni dal vivo vengono gettati i germogli del progetto Stuff: il bassista ingaggia, dopo una lunga trattativa che sposta la paga serale da 25 a 30 dollari, il portentoso chitarrista Cornell Dupree, un vero talento naturale in grado di suonare accordi e melodia allo stesso tempo. Nato in Texas, in seguito Dupree si trasferisce a New York e partecipa agli album di alcune star dell’Atlantic Records, da Aretha Franklin a King Curtis. Il terzo personaggio che si aggrega all’ensemble è il leggendario pianista Richard Tee, il quale accetta l’ingaggio direttamente dall’artista per cui in quel momento si esibiscono, la celebre cantante soul e gospel Queen Esther Marrow. Rimane tra il comico e il drammatico il tipo di pagamento, come raccontato da Edwards:

«Non avevamo abbastanza soldi per pagargli le date, così Richard fece un patto direttamente con Esther: sarebbe venuto a suonare se lei  avesse saldato il suo conto di whiskey al bar, garantendogli almeno una bottiglia per show. Così cominciò a lavorare con noi ogni sera, da lunedì a giovedì, e il Mikell’s (noto jazz club di New York, ndr) era strapieno, impacchettato da muro a muro».

 

Ironia della sorte proprio Gordon Edwards una notte viene licenziato a causa di un’esagerata ubriachezza da Esther, scatenando la “rivolta” di Tee, pronto ad abbandonare il palco per solidarietà con il compagno. Tuttavia, parafrasando il titolo di un noto scrittore, A volte ritornano: il proprietario del locale Pat Mikell un paio di settimane dopo rivuole i tre a suonare, conscio dell’estro dei ragazzi, fenomenali nel rendere ballabile l’R&B mescolandolo con il funk e, concerto dopo concerto, a essi si aggiungono Steve Gadd, probabilmente il miglior batterista jazz rock blues su questa Terra, all’epoca già in contatto con Gap Mangione, Mike Mainieri, Tony Levin e Chet Baker, e l’istrionico chitarrista Eric Gale, veterano della sei corde ai servigi di Freddie Hubbard, Quincy Jones, Roberta Flack e George Benson.

A quel punto comincia la storia. I cinque (in verità sarebbero sei, vi è anche Chris Parker, presente in alcuni concerti prima di Gadd e poi chiamato a volte a sostituirlo quando era impegnato in altre sessioni) vengono messi sotto contratto e cambiano il nome iniziale da Encyclopedia of Soul a Stuff, adoperando la parola più utilizzata da Edwards per chiamare chiunque. Nel 1976 esce il primo disco a loro nome e ne seguono un altro paio, accoppiati ad altrettanti dal vivo fino all’inizio della nuova decade, quando le strade si separano e ogni componente prosegue una brillante carriera individuale. Ma è proprio la dimensione live il loro campo di battaglia, con performance sgargianti, colme di estro e sorprese.

 

Live at Montreux li cattura nel luglio 1976, in un momento di massimo fulgore: ci sono voluti trentadue anni, però, finalmente, nel 2008 la Eagle Records ripropone su CD e DVD quell’inebriante esibizione in una splendida e storica location. Quella che ne emerge è una performance con un’atmosfera di grande fascino: semplice, eppure intensa e, vista con gli occhi di adesso, tanti anni dopo, densa di uno struggente senso del ricordo. Gli Stuff sfruttano una gamma di suoni, colori e dinamiche in grado di disegnare un mondo musicale complesso e allo stesso tempo accogliente per coloro che li ascoltano. Viene scelto un repertorio di brani originali affiancati ad alcune personali versioni di standard rock, gospel, funk, jazz e ciò consente al pubblico di assistere a un dialogo spontaneo, frutto di un’innata abilità improvvisativa, ma sempre lineare e profondo.

Scorrono così scintillanti pezzi autografi come "Foots", "Stuff’s Stuff", "Ode To Stuff", "How Long Will It Last" e "Do It Again" con un’anima soul e R&B da favola, un groove accattivante e sensuale con assoli da brividi – vedasi in tal caso pure la tonitruante "The Gadd Solo" ? accanto a riletture da lasciare senza fiato: ecco così fluire senza freni composizioni del calibro di "Signed, Sealed, Delivered I’m Yours" e "Boogie On Reggae Woman", dallo strepitoso repertorio di Stevie Wonder e di "Feelin’Alright" di Dave Mason, qui arrangiata più vicino alle sonorità di Joe Cocker (che accompagneranno come band lungo tutto il sottovalutato Stingray, uscito proprio quell’anno) rispetto a quelle originarie dei Traffic. C’è spazio pure per una veloce rovente citazione da "It’s Your Thing" dei magnifici Isley Brothers, prima di una sentita "You Are So Beautiful", capolavoro di Billy Preston resa celebre sempre dal loro beniamino Cocker.

 

Un gruppo eccezionale a livello strumentale non può non avere, per almeno una canzone, un’ospite vocale, solo anche per ricordare tutti i cantanti accompagnati nei club e quale migliore partner se non Odetta, la Regina del folk blues americano, attrice, liricista e attivista dei diritti civili, adorata da Rosa Parks e Martin Luther King? La rilettura del classico "Oh Happy Day" di Edwin Hawkins è da pelle d’oca, rappresenta qualcosa di evocativo e spirituale, e sfrutta la grande capacità empatica di questi incredibili musicisti per comporre arte e comunicare vita.

Si tratta di un connubio perfetto tra delicatezza e forza espressiva, che risplende pure in brani come "That’s the Way of the World" degli Earth, Wind & Fire e nel breve accenno al traditional "Lift Every Voice and Sing", altro inno declamante la profonda anima black della maggior parte dei membri della formazione, di origine afroamericana.

 

Live at Montreux è un’occasione storica per rivivere i bei momenti di una band leggendaria. Rappresenta la purezza di un collettivo che, nonostante la stanchezza e le traversie vissute per arrivare dagli Stati Uniti appena in tempo per suonare, ha incantato chiunque, grazie alla magia della sua musica, in quel ridente paesino svizzero adagiato su un magnifico lago. E quando giungono la bellezza e la solennità delle note, quando scaturiscono gioia e stupore nell’ascoltare cinque ragazzi che mettono tutto quello ciò che hanno dentro per creare arte, tutto è possibile, anche far piangere come un bambino Chris Rea, artista legatissimo al Festival e al mai troppo compianto direttore Claude Nobs.

«Scoprii gli Stuff in un jazz bar a Montreux, tanto tempo fa, credo a inizio anni Ottanta. Era uno dei pochi posti a quell’epoca in cui potevi entrare, leggere il video menu, comprare un drink e fare una richiesta musicale. Capitai per caso con lo sguardo su un titolo, “Stuff 1976”, e incuriosito feci proprio tale scelta. Vederli suonare insieme fu un’epifania, adorai ogni istante della loro performance, rimasi colpito pure dall’umiltà di questi straordinari personaggi, una band davvero incredibile. Era tutto così puro, reale, complesso, sofisticato: blues, gospel, rock, swing convivevano senza pudore sotto lo stesso tetto. Perfetto come ci fosse Duke Ellington. Mi commossi fino alle lacrime e riuscii a diventare l’unico proprietario al mondo di quella VHS. E dopo tutti quegli anni continuo a piangere quando la vedo».

E ora, da un po’ di tempo, grazie a questa preziosa pubblicazione possiamo commuoverci anche noi. Mitici STUFF!