Additato dai pochi che hanno avuto modo di vederlo al tempo della sua prima apparizione (siamo nel 1931) come un vero capolavoro del Cinema, Limite è l'opera prima (e unica) di una sorta di genio della macchina da presa ormai dimenticato, un talento precoce che a soli ventidue anni sigla l'opera che ancora oggi viene considerata la pellicola fondamentale e più importante della storia del Cinema brasiliano nonché passaggio obbligato per una visione più sperimentale e libera della Settima Arte all'epoca del muto. Non è chiaro per quali traversie Limite sopravvisse al suo primo periodo in un'unica copia, ritirata dallo stesso Peixoto che ne impedì per anni la visione a chicchessia, la pellicola andò incontro all'usura e al deterioramento che solo una serie di restauri successivi riuscirono a impedire, uno su tutti quello della World Cinema Foundation di Martin Scorsese. Il film come si presenta oggi, alla luce del rischio corso, appare in ottime condizioni, c'è un unico passaggio lungo il quale la pellicola risulta visibilmente molto rovinata e una didascalia compare a sostituire per pochi secondi alcuni frame irrimediabilmente perduti, quasi un miracolo in relazione alla durata complessiva abbastanza estesa del film. Dopo la realizzazione di quest'opera Peixoto non riuscirà a portare a termine altri lavori, ostacolato forse dalle scelte dell'industria cinematografica dell'epoca e probabilmente dalla sua stessa visione del Cinema, che se pur acclamata da critici e colleghi non incontrò il favore del pubblico poco avvezzo a costruzioni e tecniche così sperimentali. Limite è un film muto dalla durata di due ore lungo le quali le didascalie esplicative si contano sulle dita di una mano (e di dita ne avanzano diverse), la costruzione di una vicenda, in realtà di almeno tre vicende, è lasciata al pubblico che però non può contare su una narrazione lineare né tantomeno esplicativa per raccapezzarsi, Peixoto si affida a immagini evocative, simboliche, nell'uso del montaggio spesso non mostra ma lascia intendere, in un'epoca nella quale il pubblico non era avvezzo a interpretazioni artistiche e voli pindarici, abituato a un Cinema più artigianale e basico, si trova qui di fronte a una serie di immagini, indubbiamente molto belle, dalle quali partire per ricostruire la storia dei tre protagonisti, cosa non semplice da fare nemmeno per lo spettatore odierno, l'azione del ricostruire diventa letterale in quanto il regista si affida moltissimo al flashback e a un montaggio alternato nei tempi del racconto che in qualche modo precorre opere successive reputate rivoluzionarie.
La trama, pur essendo ostica da ricomporre per i motivi sopra citati, in realtà conta di pochi elementi. Su una barca alla deriva ci sono un uomo e due donne (Olga Breno, Tatiana Rey e Raul Schnoor), tutti e tre sembrano sconsolati, sconfitti, apatici; sulla barca non c'è cibo, nessuno si adopera per cercare un approdo, il destino di queste tre persone sembra ormai segnato, il loro animo rassegnato. In flashback scopriamo, interpretiamo, qualcosa su questi personaggi: una delle donne è evasa dal carcere, la seconda ha nel passato una vita misera, un rapporto ormai eroso con un uomo, l'uomo sulla barca invece ha subito una perdita, nella tragedia sconta le sue colpe. La visione di Peixoto è pessimistica, l'esistenza di queste persone non conosce felicità, vi è chiara la difficoltà di trovare un senso in un'esistenza infelice e aspra che porta i protagonisti verso un buio senza uscita né schiarite, ciò che colpisce è la mancanza di reattività dei protagonisti, l'assenza di volontà per superare o ribaltare i momenti duri che con tutta evidenza sono stati troppi e troppo hanno gravato sulle vite di questo uomo e queste donne. Tralasciando la trama che vive di sensazioni più che di fatti, e fatta salva qualche eccezione, ciò che interessa e rende il film prezioso è il lavoro sulle riprese costruito da Peixoto. C'è una scena, e quindi una soluzione creativa, che in particolare colpisce lo spettatore (fermo restando la contestualizzazione di ciò che stiamo guardando al 1931) ed è il momento in cui una delle donne, sull'orlo di un precipizio, viene presa dalle vertigini: per rendere questo stato confusionale Peixoto inventa un movimento di macchina e di immagini che pare avanguardia anche all'interno di un film di per sé già avanguardista, e ancora... il reiterarsi nel seguire i protagonisti con effetti simili a quelli oggi prodotti dalle camere a mano che all'epoca erano ancora di là da venire, l'uso insistito di riprese strette sui particolari, a volte simbolici, come tutto l'armamentario della sarta, le inquadrature su acqua, sabbia, fronde fruscianti che sussurrano significati che sta allo spettatore cogliere.
A contribuire alla riuscita dell'opera una selezione di brani musicali che sembrano scandire le immagini in maniera perfetta, quasi come se le partiture fossero state composte proprio per queste immagini, si avvicendano musiche di Satie, Debussy, Prokofiev, Stravinski, Franck e Borodin. Limite va ovviamente inquadrato in un contesto storiografico, opera importante per accrescere una conoscenza storica del Cinema, passaggio obbligato per gli appassionati di Cinema muto, per cinefili ma anche solo per spettatori attenti, non si tratta di una visione leggera e spensierata, questo va da sé, non di meno la costruzione dell'opera, soprattutto se la si guarda con un minimo di spirito critico, non manca di suscitare ammirazione e interesse, la bellezza delle immagini compensa ritmi ai quali magari molti spettatori non sono abituati. Un invito a ogni spettatore curioso d'intraprendere nuovi sentieri.