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REVIEWSLE RECENSIONI
22/02/2020
Purr
Like New
Ora, probabilmente i Purr hanno esagerato ma d’altronde, pensateci bene, siamo nell’epoca in cui ci si accoltella per stabilire se i Greta Van Fleet valgano davvero qualcosa, pensate che ci si debba stupire se una coppia di ragazzi americani decide di saccheggiare il sound della West Coast?

Credo sia del tutto superfluo far notare l’ironia che si nasconde dietro un titolo come “Like New”, esordio discografico dei newyorchesi Purr. Perché certo, se anche il materiale qui contenuto è nuovo (non proprio tutto, in realtà, visto che un singolo come “Gates of Cool” era in giro da un po’), le influenze, le sonorità, il modo stesso di declinare queste canzoni, suona totalmente retro. Talmente tanto che ci viene davvero il sospetto che abbiano fatto apposta, ad intitolarlo così. “Vedete – sembrerebbero dire – noi facciamo musica vecchia ma la suoniamo come se fosse nuova!”. Già, è proprio quel come a fare la differenza. Che poi è quello che continuiamo a ripetere fino alla nausea: mentre aspettiamo di capire se davvero ci sia ancora qualche cosa di mai sentito da scoprire nella musica contemporanea, la ricetta migliore rimane quella di reinventare il passato, suonandolo con una produzione moderna o riproducendolo in modo filologicamente impeccabile. Scontentando per forza di cose i soloni, che esclameranno piccati: “Grazie tante, allora andavo a sentirmi gli originali!” ma convincendo forse le generazioni più giovani, che giustamente hanno voglia di scoprire roba loro e non per forza di scartabellare nella collezione di dischi del padre.

Ora, probabilmente i Purr hanno esagerato ma d’altronde, pensateci bene, siamo nell’epoca in cui ci si accoltella per stabilire se i Greta Van Fleet valgano davvero qualcosa, pensate che ci si debba stupire se una coppia di ragazzi americani decide di saccheggiare il sound della West Coast?

Ma andiamo con ordine. Eliza Barry Callahan e Jack Staffen sono amici d’infanzia ed avevano già realizzato un progetto musicale insieme: “Gentle Warnings”, pubblicato nel 2015 sotto il monicker di Jack and Eliza, esprimeva un Folk scarno, dalle sfumature ipnotiche e, nonostante i numeri discreti, non aveva lasciato una traccia concreta.

Ci riprovano ora, scegliendo un altro nome (per fortuna, mi verrebbe da dire) e svoltando completamente dal punto di vista delle sonorità. Per questo, si sono affidati a Jonathan Rado, uno che di suoni retro se ne intende, visto quello che ha combinato con i Foxygen. Al momento, però, sembra avere molta più fortuna come produttore e se sentiamo gli ultimi lavori di Father John Misty, Whitney, Weyes Blood e Lemon Twigs possiamo anche capire perché. E possiamo avere anche lumi sul motivo per cui è stato scelto, visto che gli artisti con cui ha lavorato sono tutti, in un modo o nell’altro, campioni nella rievocazione di mondi passati.

Detto fatto, Jack ed Eliza scrivono il disco a Manhattan, in un seminterrato dove la ragazza viveva da bambina e volano sull’altra costa, a Los Angeles, a lasciare che Rado plasmi il tutto con quel tocco che gli è proverbiale.

Naturale che l’atmosfera generale ne risulti influenzata, con tutta una serie di aneddoti curiosi tra cui l’utilizzo delle stesse campane tubolari che nel 1933 presero parte alla colonna sonora di “King Kong”.

Prima abbiamo parlato dei Lemon Twigs, un act interessante che tuttavia, almeno per il momento, non ha raccolto quel che ha seminato: ecco, il mood generale di “Like New” assomiglia un po’ a quanto realizzato finora dai fratelli D’Addario. È musica radicalmente retroattiva, citazionista, che va ad evocare tutto uno spettro di sonorità che vanno dai Beatles ai Beach Boys (più i secondi che i primi, forse), passando per Mamas & the Papas, tutti nomi che il duo ha peraltro esplicitamente indicato come punti di riferimento.

Ci sono due voci che cantano in falsetto, armonizzate ed amalgamate fino al punto da sembrare una cosa sola e c’è una band di supporto che avvolge e accompagna, rendendo il suono morbido e pieno anche se mai eccessivamente ridondante. Tutta un’altra cosa rispetto al loro primo progetto, dunque, sia per quanto riguarda l’uso delle voci, oggi molto più impostato e raffinato, sia per quanto attiene agli arrangiamenti. Il lavoro di produzione di Rado è come sempre magnifico e valorizza ogni componente, rendendo il tutto ancora più godibile.

Anche la scrittura funziona: a partire dall’opener “Hard To Realize”, che appartiene a quelle già sentite come singolo, continuando con “Giant Night” e la beatlesiana “Avenue Bliss”, fino al ritmo irresistibile di “Boy”, alle armonie corali di “Wind” e alla malinconia agrodolce di “Take You Back”, Callahan e Staffen dimostrano di avere parecchie frecce al loro arco e di avere imparato bene la lezione dei maestri.

Non dura molto ma non è certo per questo che non ci si annoia: tutto il disco è piacevole e non ci sono giri a vuoto. Il punto è che, arrivati alla fine, ci si rende conto che non si è ascoltato nulla di straordinario. Per correre in questo campionato, per cimentarsi con certi mostri sacri, occorre avere canzoni che siano davvero esplosive, che riescano ad entrare in testa al primo ascolto e sappiano rimanere a lungo nella memoria collettiva. Non è semplice. Il Pop è leggero nella sostanza ma complesso nel suo processo creativo.

Probabilmente è proprio per questo che certi gruppi li ricordiamo meglio di altri: molto banalmente, hanno saputo scrivere canzoni migliori. I Purr sono bravi, sanno come si gioca con le melodie e due o tre pezzi sopra la media sono riusciti a scriverli. È però ancora troppo poco perché possano sperare di uscire dal calderone e divenire i protagonisti di una nuova ondata retromaniaca. Resta che “Like New” è un buon esordio. Vedremo in seguito.


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