“The Queen Of Death Gospel” è la definizione che viene data a Louise Lemon, songwriter svedese, giunta con questo Lifetime Of Tears al suo terzo album in studio. Una definizione non del tutto inappropriata, anche se, a dire il vero, c’è meno gospel in queste dieci canzoni di quanto si potrebbe immaginare. Invece, quel riferimento alla morte, che evoca oscurità e dolore, ben si adatta alla musica della ragazza svedese, che, anche nelle sue declinazioni più ariose, mostra comunque un retrogusto malinconico e un’inclinazione alla cupezza e alla sofferenza, richiamata anche dall’esplicito titolo dell’album.
Attenzione, però, perché Lifetime Of Tears non è un disco notturno né si muove nella penombra di suoni inquieti e angosciati. Si parla di un amore andato, perduto per sempre, del dolore del lutto affettivo, del tentativo di rinascita, della speranza di uscire dal baratro della depressione. Quel verso con cui il disco inizia, "Pensavo di aver trovato una pozione d'amore, ho appena scoperto che era veleno", è in tal senso indicativo. Eppure, le turbolenze amorose della Lemon vengono mediate da una scrittura capace spesso di tradursi in mainstream di qualità, di flirtare con melodie pop soul languide e affascinanti, di evocare, in certi casi, un certo retrogusto seventies, in un gioco di rimandi che chiama in causa artiste più note quali Cat Power, Adele, le Lucius, l’ultima Margo Price, la Lana Del Rey meno vaporosa, solo per citarne alcune.
Ogni cosa funziona dannatamente bene in una scaletta breve ma centratissima: gli arrangiamenti, mai sopra le righe, ma egualmente brillanti, la voce della Lemon, a tratti, eterea, spesso, intensamente soul, e, ovviamente, le canzoni, tutte splendide, nessuna esclusa. Ci sono alcuni momenti in Lifetime Of Tears in cui i brani sono molto più grandi di quanto ci si potrebbe aspettare da una musicista non ancora affermata, che sta costruendo lentamente, ma inesorabilmente, un percorso destinato a diventare importante. C’è tutto quello che serve, in una scaletta che si affaccia sul mainstream senza paura di banalizzazioni, e al contempo, sa sondare gli struggimenti dell’anima con una scrittura più colta, più profonda, stratificata, ma comunque accessibile.
Gli accordi minori con cui si apre l’iniziale "Shattered Heart" ne sono una dimostrazione lampante: c’è pathos, c’è un ristagno di profonda tristezza, ma il brano, che prima, sembra essere quasi sospeso a mezz’aria, grazie alla voce splendida della Lemon, carezzevole come un malinconico riverbero in lontananza, e che poi, s’impenna, in un crescendo di vibrante elettricità, in cui la songwriter spinge i suoi acuti fino alla sommità del cielo, resta perfettamente equilibrato. E’ dolore, è estasi, è un incipit stratosferico.
"Tears As Fuel" cambia leggermente lo stile, resta soffusamente malinconica, dirigendosi, però, verso una dimensione più blues rock, declinata con grande equilibrio espressivo, mentre "Midsummer Night" si muove su un retroterra soul, è più cupa, nonostante un ritornello immediato, che decolla grazie all’elettricità di chitarre poste in retrovia, ma urticanti.
La title track è una ballata soul pop dall’appeal radiofonico, evoca la miglior Adele possibile, e tiene incollati all’ascolto grazie a un mood dolce amaro e a uno splendido solo di chitarra di Johan Kvastegard, il cui contributo al suono del disco è più che determinante.
Si viaggia così, ondivaghi fra momenti più raccolti e dolenti, ed altri che spingono verso il mainstream con irresistibile ganci melodici. E’ il caso, ad esempio, di "Feel So Good", dalla trascinante ossatura r’n’b, e dalla sublime "Northern Lights", che, per quanto stratificata sotto il profilo strumentale, trova slancio immediato in un ritornello sfacciatissimo.
Per converso, l’album è anche punteggiato di momenti più introspettivi, declinati attraverso un visione soul pop in chiaro scuro, i cui sentori miele e liquerizia si diffondono nell’aria attraverso le languide melodie di "Pure Love" e "All I Get", uno degli highlight del disco.
Chiude la scaletta "Topanga Canyon", un brano dagli sfumati contorni ipnagogici, un fluttuare etereo in una dimensione parallela, in cui tutto il dolore evapora in un invocazione ripetuta come un mantra: “cuore tormentato che non dorme mai, per favore, guariscimi, amami e abbracciami”.
Lifetime Of Tears è l’opera di un’artista che conosce il dolore e la sofferenza, che ne affronta le conseguenze attraverso l’ampio spettro delle emozioni, ma che è anche tanto consapevole da saper mediare con una scrittura brillante, mai ripiegata su se stessa, una scrittura che evita il ricatto della lacrima e fa vibrare di autentica passione. Un connubio unico, fascinoso, ammaliante.