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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
24/05/2018
Radar Festival
L'ennesima occasione sprecata
Il Radar Festival è stato cancellato e la sensazione che il nostro paese abbia, per l’ennesima volta, sprecato un’occasione per crescere di profilo dal punto di vista musicale, è piuttosto forte.

Il Radar Festival è stato cancellato e la sensazione che il nostro paese abbia, per l’ennesima volta, sprecato un’occasione per crescere di profilo dal punto di vista musicale, è piuttosto forte.

Che la decisione degli organizzatori sia stata presa sulla base delle scarse prevendite fin qui registrate pare indubbia: già nelle scorse settimane la decisione di spostare l’evento al Circolo Magnolia, abbandonando così la scommessa di utilizzare la ben più vasta area dell’adiacente Parco dell’Idroscalo, peraltro da molto tempo rimasto in disuso per quanto riguarda gli eventi musicali, aveva destato qualche sospetto. Un sospetto che, tra le altre cose, aveva cominciato a venirci a marzo, in occasione dello showcase di SOHN organizzato come preview del festival. Il concerto, che sfruttava gli spazi e la circostanza temporale del Fuorisalone, era gratuito ma in un primo momento destinato ai soli possessori dell’abbonamento al Radar e a quanti si fossero registrati sull’apposita pagina Facebook. Il giorno stesso, però, le porte erano aperte e non c’è stato nessun controllo nomi. La sala alla fine si è riempita, ma è stata netta la sensazione che si trattasse per la maggior parte di curiosi, piuttosto che di gente accorsa apposta per l’artista in questione.

Pochi giorni fa era nata qualche polemica all’annuncio, per il 9 giugno, secondo giorno del Radar, di un concerto gratuito di Liberato in zona Barona. In tanti, addetti ai lavori e non, si erano infastiditi per quella che, anche senza malizia, poteva apparire come una mossa sleale. Tutt’al più che il concerto è gratuito, anche se la registrazione obbligatoria e la non certo larga capienza del posto difficilmente garantiranno un afflusso da record.

Al di là di questo, non mi pare che la coincidenza tra i due eventi possa aver pesato in modo decisivo, specie se contiamo che annullare un festival del genere non è un qualcosa che si può decidere da un giorno all’altro. Certamente la proposta di Liberato, pur non del tutto allineata col cartellone del Radar, avrebbe potuto portar via una fetta di pubblico, più che altro quelli che, a poche settimane dal via, erano ancora indecisi. Diciamocelo chiaramente, però: le prevendite non sono mai decollate e la sovrapposizione improvvisa potrebbe aver influito più a livello morale piuttosto che come fattore oggettivo, come hanno giustamente osservato alcuni.

Resta il fatto che ancora una volta abbiamo perso una scommessa. L’hanno persa gli organizzatori (a cui va comunque il merito di averci provato) che non sono gli ultimi arrivati e che da anni ci propongono musica di qualità. Ma l’abbiamo un po’ persa tutti noi (che pure al Magnolia ci saremmo andati e anche di corsa) perché in momenti come questi serve a poco scagliarsi contro il solito “pubblico bue”; che pure esiste, mettiamolo in chiaro.

Si è provato, per una volta, a mettere in piedi un festival vero e proprio (non una semplice rassegna, come spesso accade da noi) pieno di artisti validissimi e perfettamente in linea con le nuove tendenze della musica Pop, Hip Pop ed RnB. Si era provato a combinare hype e qualità della proposta, unendo nomi già piuttosto celebri (Sampha, Charlotte Gainbourg, Kelly Lee Owens, Young Fathers) ad altri meno noti ma in decisa ascesa (Mavi Phoenix, Superorganism, Pale Waves, Abra e tanti altri); da ultimo, era pure stato chiamato qualche nome italico di sicuro interesse e forse di maggior appeal per i giovanissimi, come Sequoyah Tiger o Young Signorino.

Il pubblico, purtroppo, non ha raccolto. E non servirebbe, come ho letto in queste ultime ore, scandalizzarsi per il fatto che, in fin dei conti, si tratta di musica immediata, appetibile, “Pop” nel vero senso della parola, artisti che, conosciuti o meno che siano, non avrebbero problemi a raccogliere consensi, se solo la gente si fermasse ad ascoltarli.

Tutto vero, per carità. La Line Up del Radar era dinamica, moderna, variegata e fortemente appetibile. Uno qualsiasi di questi act, passato su una qualunque radio generalista del nostro paese, non avrebbe stonato, non avrebbe provocato disagio. In pochi, immagino, avrebbero cambiato stazione.

Il problema non è questo. Il problema è che in Italia questi nomi non sono conosciuti, non sono “famosi”, come si dice. E da noi, quello che non è “famoso”, non viene preso in considerazione. Siamo un paese poco curioso e molto abitudinario. Da sempre. Siamo il paese delle cover band, quello dove la maggior parte si rifugia nei dischi che amava ascoltare da giovane e che quando guida mette su solo cose che conosce a memoria, “altrimenti mi annoio”.

E soprattutto, siamo il paese dove “io ascolto solo cose italiane perché così capisco il testo!”. Leggi anche: siamo il paese dove nessuno ha ancora imparato l’inglese come si deve e dove si pensa ancora che il testo di una canzone sia più importante della canzone stessa (come se poi i parolieri fossero tutti Bob Dylan e Leonard Cohen). Ogni anno, all’uscita delle classifiche dei dischi più venduti, i risultati sono gli stessi: 9/10 sono titoli italiani. I nomi stranieri sono sempre quelli: U2, Coldplay, Bruce Springsteen… ultimamente Ed Sheeran, Rhyanna o Beyoncé. Persino gente come Kendrick Lamar o Kanye West, la quintessenza di quel Rap che spopola ormai dovunque, “Il Rock and Roll del nuovo millennio”, come dicono alcuni, da noi non passano neanche per sbaglio. La motivazione è chiara: troppo alti i cachet, a fronte di un ritorno economico che sarebbe ridicolo.

E il problema del Radar è stato proprio questo, secondo noi: ha chiamato nomi già parecchio affermati in giro per il mondo, e dunque con un certo tipo di pretese. I costi di gestione sono lievitati e si è capito abbastanza presto che non si sarebbe riusciti a coprirli. È pura speculazione, non abbiamo i dati alla mano, ma è improbabile pensare che ci sia un’altra spiegazione.

Semmai, si potrebbe forse cercare il pelo nell’uovo, rimproverando Radar di aver voluto strafare: si sarebbe potuto magari fare un giorno solo, oppure chiamare meno nomi, o chiamarne uno o due di sicuro impatto, più “mainstream”, per dire, assicurandosi così da subito una certa fetta di pubblico. Si sarebbe potuto fare come il c2c (Club To Club) di Torino, che è forse cresciuto più lentamente ma che oggi si sta confermando come una delle più belle realtà a livello europeo per la musica elettronica. Bisogna essere cauti, lavorare con quel che si ha: Festival Moderno, che sempre al Magnolia mise assieme gente come Grimes e Blood Orange, andò piuttosto bene ma non secondo le aspettative e l’anno successivo non venne più organizzato.

E sappiamo bene che tutte le volte che passa da noi qualche artista di culto, i risultati non sono mai soddisfacenti (gli American Football, portati a Milano proprio da Radar, Fever Ray a febbraio, o ancora lo stesso Sampha, visto all’opera in un Fabrique discretamente affollato ma lontano dalla capienza massima). Oltre ai mega eventi, funzionano un po’ meglio il Post Punk (una band come i Protomartyr è già passata diverse volte dalle nostre parti) e la nostalgia degli indimenticati act degli anni ‘90 (gli Slowdive hanno fatto bene e c’è grande eccitazione per il prossimo ritorno dei My Bloody Valentine). Tutto il resto è una scommessa aperta e persino i The National, programmati in un posto troppo capiente per loro, hanno dovuto essere affiancati dai Franz Ferdinand per non rischiare un fiasco che avrebbe del clamoroso (in questo caso però, la miopia di Indipendente, succursale di Livenation, potrebbe centrare qualcosa).

Quindi? Cosa dovremmo fare? Come dovremmo reagire? Per una volta, non credo che lamentarsi serva a molto. Questo è il paese in cui viviamo e le cose non cambieranno a breve. Si può solo continuare ad ascoltare musica, passare dischi e playlist agli amici, anche a quelli più ignoranti, senza farsi scoraggiare dalla loro noncuranza. Si può continuare ad andare ai concerti, nel limite delle possibilità economiche e degli orari d’inizio. Si potrebbe anche smettere di stigmatizzare quelli che ascoltano la Trap o l’It Pop più becero, sulla base di un presuntuoso quanto sterile distinguo tra ciò che è musica e ciò che non lo è. Perché chi investe tempo, energie ed affezione in Ghali, Sferaebbasta o Gazzelle, ha curiosità e passione a sufficienza per poter allargare lo spettro degli ascolti, se gliene verrà data la possibilità.

Da ultimo, si potrebbe guardare a quello che già c’è: il Beaches Brew di Ravenna, L’Ypsig Rock di Castelbuono, il Siren di Vasto, il già citato c2c, solo per fare i primi nomi che mi vengono in mente. Non avremo mai il nostro Primavera (sempre che resista anche lui: coi grandi marchi che avanzano inesorabili nulla è più certo ormai) ma di sicuro l’Italia è un posto dove la musica di qualità non è bandita, se si sa dove andarla a cercare.

Per cui grazie ancora al Radar per averci provato, teniamo duro e, chissà, potrebbe darsi che l’anno prossimo vada meglio…