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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
20/11/2023
Gary Brooker
Lead Me to the Water
"Lead Me to the Water" è una gemma nascosta nella discografia solista del leader dei Procol Harum. Proviamo a riscoprirla a oltre quarant’anni dalla sua pubblicazione.

Quanto pesa nella psicologia di un artista essere ricordato solo per una grande canzone, per un brano che rimarrà eternamente nell’immaginario collettivo? Ma soprattutto quanto risulta gravoso essere sempre associati al gruppo con il quale si è divenuti celebri per merito di questa hit indimenticabile?

Gary Brooker ci ha lasciato un paio di anni fa, in una gelida notte di febbraio, dopo una carriera incredibile, il cui fiore all’occhiello rimane la militanza nei mitici Procol Harum, alfieri del rock progressivo e in verità famosi non solo per “A Whiter Shade of Pale”, in Italia conosciuta anche nella versione intitolata “Senza luce”, dei Dik Dik.

 

“A Salty Dog”, “Homburg”, “Conquistador”, “Repent Walpurgis” e “Grand Hotel”, concepiti tra il 1967 e il 1973, sono altri pezzi da novanta; tuttavia quell’incipit d’organo ispirato a Bach, il groove dell’inciso reminiscente di “When a Man Loves a Woman” di Percy Sledge e quel canto appassionato, potente e allo stesso modo rilassato hanno fatto innamorare generazioni su generazioni. Sì, perché Brooker, oltre a essere il principale compositore del gruppo inglese formatosi a Southend-on Sea, era pianista e tastierista insieme al compagno organista Matthew Fisher, ma, soprattutto, era il cantante.

Si può sicuramente definire, quindi, l’uomo simbolo, il leader dei Procol Harum, e quando nel 1977 la band si scioglie (si riformerà nel 1991 e continuerà in modo discontinuo e con vari cambi di line-up fino alla sua morte) il buon Gary intraprende la carriera solista. Esce così No More Fear of Flying (1979), anche se, in verità, non rappresenta un notevole cambiamento della direzione musicale. Gli anni Ottanta si rivelano invece più proficui in tale ottica: le frequentazioni degli amici e colleghi George Harrison, Eric Clapton, Albert Lee e Phil Collins, peraltro pure special guests nel disco di cui parleremo, danno linfa alla vena compositiva del songwriter britannico classe 1945, il quale ora si cimenta anche nei testi e con buoni risultati, dopo aver lasciato il peso di quest’importante ruolo al paroliere Keith Reid nell’epoca PH.

 

Lead Me to the Water nasce in tali circostanze, nove tracce solide con diverse influenze e tanta originalità, un lavoro da riscoprire che probabilmente incarna l’apice dell’artista, ora disposto ad abbracciare il suo passato e a superarlo, senza rinnegarlo. Il rock di “Mineral Man”, una sorta di autoritratto introspettivo insaporito da un pizzico di humour, apre le danze magnificamente con la slide dell’ex Beatle citato sopra istantaneamente riconoscibile, mentre la frizzante “Another Way” si giova del lavoro prolungato al sax di un altro grande ospite, Mel Collins, purtuttavia perdendo un poco in qualità per l’arrangiamento troppo in stile eighties, che la fa suonare vecchia. Poco male. L’album riparte infatti alla grande con “Hang On Rose”, ove Brooker leva ogni dubbio sul fatto di poter uscire dalla cella della prigione musicale e stilistica dei Procol Harum: ecco una ballata bellissima, struggente e originale, marcata da una voce più limpida e meno graffiante, e dalla comparsa del vocoder, proprio a dimostrare la volontà di distacco, quando serve.

 

«Ho sempre avuto l'idea di scrivere un intero album con canzoni completamente omogenee, non quel miscuglio di stili che risulta sempre essere, ma non ci sono mai riuscito. Credo che dipenda da come mi sento. E dai testi, naturalmente. Certe liriche richiedono una particolare musica». Estratto da un’intervista per Sweden’s Musilermagasinet, 2003.

Il discorso di Gary vale specificamente per l’intero Lead Me to the Water, ed è proprio una questione di feeling, con una vita in saliscendi emotivo, divisa tra affetti, lavoro e incessanti tour in tutti i continenti. L’inizio degli eighties vede il nostro in giro per il mondo insieme a Eric Clapton, il quale sta promuovendo una delle sue perle sottovalutate, altrettanto da riscoprire. Another Ticket vede il notevole contributo del tastierista, pure nel ruolo di autore (Catch Me If You Can” viene scritta a quattro mani con il chitarrista) e Slowhand ricambia prestando i suoi servigi nella graziosa pop ballad “Home Loving”, chiaramente autobiografica e dedicata alle gioie di avere una famiglia forte e sempre vicina. Il ritornello è orecchiabile e in odor di rock puro, comunque è tutto il pezzo a girare bene, con organi elettrici e synth ben calibrati, e una sezione ritmica all’avanguardia con Henry Spinetti e Dave Markee rispettivamente alla batteria e al basso.

 

“The Cycle” e “The Angler” affrontano temi personali e privati come la sua passione per la pesca e la vita di campagna. In particolare la seconda nasce da un piccolo riff di tastiera e narra dell’inconsueta battaglia tra un pescatore e un pesce. Tuttavia la palma del brano migliore è da assegnare alla title track, un midtempo con piacevoli infiltrazioni reggae. Immediato e comunicativo, “Lead Me to the Water” ha liriche introspettive e profonde; l’acqua viene vista come metafora di purezza e simbolo di un nuovo inizio, “Voleremo su da questa terra, andremo più in alto. È qui che inizia la fine, la separazione delle strade. Qualcuno mi sta chiamando lassù, lo sento nelle onde. Prendimi per mano, conducimi all'acqua.”

Mescolare il rock a melodie dolci è la sintesi perfetta di “Low Flying Birds”, e improvvisamente ci si accorge di essere già arrivati all’ultima traccia, un altro highlight di notevole fattura, la suite in più parti “Symphathy for the Hard of Hearing”, già peculiare per il titolo, in cui Brooker unisce le parole sympathy e symphony. Si tratta del pezzo più epico e commovente, ispirato dall'esperienza vissuta da un suo vicino di casa durante la Seconda Guerra Mondiale, catturato all'inizio della guerra e costretto a sopportare quattro anni in un campo di prigionia tedesco.

Dal punto di vista prettamente musicale, questa canzone conclusiva è molto varia, con numerosi cambi di ritmo e tonalità. Piacciono i momenti “sospesi”, con un'atmosfera rarefatta creata ad arte per mezzo di diverse tastiere nello stesso tempo, soddisfa pienamente il lungo intermezzo strumentale, ed è indovinata la sezione basso/batteria dal groove incalzante. Un esperimento prog ben riuscito, che dimostra nuovamente come l’autore abbia intrapreso un proprio percorso.

 

Una prova soddisfacente, purtroppo sottovalutata all’epoca, e non confermata appieno qualitativamente dal successivo Echoes in the Night (1985), ultimo album solista in studio di uno straordinario compositore, pianista e cantante. Di lui rimangono da ricordare con tanta nostalgia e commozione anche un suggestivo lavoro live, Within Our House (1996), gli indimenticabili contributi nei Procol Harum e alcune interessanti comparsate in dischi memorabili, su tutti All Things Must Pass di George Harrison e The Red Shoes di Kate Bush.

Le esibizioni dal vivo sono sempre state il suo piatto forte, fossero con il suo storico gruppo, oppure con la All-Starr Band di Ringo Starr o gli epici Rhythm Kings di Bill Wyman, senza dimenticare i numerosissimi show benefici di cui è stato promotore.

Un Gigante della Musica dal cuore d’oro, che verrà ricordato a Dicembre con un “charity concert” a Guildford nel Surrey, terra in cui ha sempre vissuto, ove tutti i suoi amici musicisti, fra cui Paul Carrack, Eric Clapton, Mike Rutherford, Roger Taylor, John Illsley, Andy Fairweather Low e Mike Sanchez, si riuniranno per celebrarlo.