Il trio di Liverpool non ha fatto nulla di geniale o rivoluzionario, certo ma ha sempre scritto ottimi dischi, pieni di riff che fanno battere il piede e ritornelli che ti si appiccicano addosso in un nanosecondo. Ridurre la loro carriera ai primi due dischi mi pare quanto meno ingeneroso, soprattutto perché l’ultimo “Beautiful People Will Ruin Your Life”, uscito all’inizio dello scorso anno, è a mio parere un lavoro vivace e brillante, molto più maturo e ricercato dei precedenti, fatto ovviamente salvo il genere di appartenenza, che troppe innovazioni non permette. Per tutti quelli che continuano a tirare in ballo Franz Ferdinand e Strokes, sottintendendo che Matthew Murphy e soci ne sarebbero solo una copia sbiadita, rispondo che a me gli originali non hanno mai detto nulla e la liquidiamo così.
Al di là di queste polemiche sterili, però, quel che conta è che tra pochi giorni i Wombats saranno di nuovo dalle nostre parti, dopo il fugace passaggio di quest’estate all’Home Festival di Treviso. Suoneranno al Fabrique di Milano e ad aprire per loro ci saranno i Circa Waves, un’altra band che non ha bisogno di presentazioni e che sta per tornare con un nuovo disco che, a giudicare dai singoli, promette decisamente bene. Dire che si tratta di un appuntamento da non perdere per tutti gli appassionati dei “gruppi con le chitarre” non mi sembra dunque azzardato. Data l’occasione, abbiamo chiamato al telefono il bassista Tord Øverland-Knudsen e ci siamo fatti quattro chiacchiere in completo relax. Quello che è venuto fuori è più o meno questo.
Ciao Tord, piacere di sentirti! Dove vi trovate in questo momento?
Siamo in Inghilterra, abbiamo iniziato il tour da qui e ci staremo ancora per una settimana, prima di muoverci altrove. Stasera suoneremo a Birmingham, dopodiché faremo la nostra prima data da headliner alla Wembley Arena. Siamo davvero eccitati all’idea, sto già iniziando a sentire una morsa allo stomaco adesso (ride NDA)!
Complimenti davvero! In generale, come sta andando il tour?
Sta andando bene! Dopo Wembley usciremo dall’Inghilterra e faremo altre date: credo inizieremo da Parigi e siamo molto entusiasti all’idea di ritornare sulla terra ferma, in Europa (ride NDA)! È sempre bello svegliarsi ogni sera in una nuova città, con una cultura diversa, una lingua diversa, cibo diverso, il pubblico che ogni volta reagisce in maniera differente… una sera suoni in un posto grande, un’altra in un posto piccolo… non sai mai cosa aspettarti ed è questa la cosa bella dell’andare in tour, che ogni giorno puoi sperimentare qualcosa di diverso! Poi tra l’altro è da un bel po’ che non veniamo in Italia a suonare (evidentemente la data di Treviso non ha lasciato un grande impatto su di lui NDA) per cui siamo davvero contenti del fatto che saremo da voi a Milano tra qualche giorno!
So che l’anno scorso avete aperto il tour di Weezer e Pixies: com’è andata? Che differenza c’è per voi tra suonare prima di due band così importanti e andare in giro da soli, portando il vostro show?
Sicuramente sono situazioni diverse: quando fai da supporto hai un tempo limitato (nel nostro caso suonavamo per mezz’ora) e quindi devi cercare immediatamente di conquistarti i fan delle band per cui stai aprendo. Devi cercare di piacere subito ed è molto dura, devi lavorare il doppio, in quei 30 minuti però è anche una bella sfida! Coi Weezer e i Pixies poi ci siamo trovati benissimo, sono davvero dei bei tipi. Ai fan dei Pixies siamo piaciuti molto, mi pare, non abbiamo mai fatto tour grossi in America quindi non ci conoscevano ma dopo i concerti venivano in tanti a complimentarsi con noi. Abbiamo raggiunto tanta gente che non ci conosceva ed anche per questo è stata una bella esperienza. Poi tieni conto che siamo dei grandi fan di entrambi i gruppi, era un sogno che avevamo sin da adolescenti, quello di poter dividere il palco con loro!
Senti, è un po’ che voglio chiedervi questa cosa: perché siete così tanto famosi in Australia? Sarà mica per il fatto che vi chiamate come un loro famoso animale?
È difficile individuare una ragione precisa. Credo che sin dall’inizio gli australiani ci abbiano inquadrato come band, abbiano capito quello che facevamo, hanno reagito alla grande ad ogni singolo che abbiamo fatto uscire. Le radio, i promoter, ci hanno supportato da subito, ci hanno invitato sempre a tornare da loro, ci hanno chiamato nei loro festival, a volte anche da headliner. Quando c’è così tanta domanda, non puoi non accontentarla, no? Indubbiamente anche l’avere scelto come monicker il nome di un loro animale potrebbe aver giocato in qualche modo, soprattutto agli inizi ma più per gli altri, che potevano chiedersi che cosa diavolo fosse un wombat (ride NDA)! Per gli australiani può darsi che all’inizio il nostro nome suonasse un po’ sciocco ma, arrivati a questo punto, credo che la cosa sia divenuta irrilevante.
Parliamo del vostro ultimo disco, “Beautiful People Will Ruin Your Life”: in generale non ho letto recensioni molto positive ma a mio parere si tratta del vostro miglior lavoro. Trovo che abbiate raggiunto una maturità notevole nella scrittura dei pezzi, siete diventati più “adulti”, passami il termine, ma allo stesso tempo non avete perso la capacità di scrivere brani killer…
Ti ringrazio! Abbiamo effettivamente provato a percorrere nuove strade, a disegnare paesaggi sonori diversi, a spingerci un po’ più in là. Come band, abbiamo sempre il nostro marchio di fabbrica, la nostra scrittura bene o male è sempre quella, anche i testi, ma ci è piaciuto giocare un po’ con le strutture, con i suoni, con gli arrangiamenti, abbiamo usato delle tastiere vintage, abbiamo preso le chitarre ma in certi punti le abbiamo fatte suonare come dei Synth… insomma, abbiamo fatto quello che volevamo fare e abbiamo allargato l’aspetto sonico del disco, per così dire. Un’altra differenza è che ci siamo focalizzati su meno aspetti che in passato: prima magari provavamo ad avere sotto controllo anche cinque elementi contemporaneamente per ogni canzone mentre invece adesso preferiamo concentrarci su una cosa alla volta e fare tutto in maniera “minimale”, diciamo. Mi pare che siamo riusciti a gestire di più l’aspetto di scrittura della nostra musica e infatti, quando siamo in tour per troppo tempo, ci viene la nostalgia dello studio e ci viene voglia di tornare a casa per metterci a lavorare a nuove idee. Infatti, a marzo ci troveremo da qualche parte tutti insieme ed inizieremo già a pensare al nuovo album…
Com’è suonare dal vivo i pezzi nuovi?
Penso che le nuove canzoni si siano perfettamente integrate con quelle vecchie, all’interno della setlist. I singoli ma anche le altre canzoni stanno aggiungendo dei nuovi elementi alla scaletta: pezzi come “I Don’t Know Why I Like You But I Do” spezza molto il ritmo, oppure un brano come “Ice Cream”, che ha un riff portante molto potente ed un gran ritornello… oppure “Cheetah Tongue”, con cui apriamo ogni sera, che ha veramente un bel groove. Sono tutte canzoni magari un po’ più lente rispetto alle nostre cose più vecchie ma che hanno un bel tiro, delle atmosfere a tratti un po’ psichedeliche e che sono molto divertenti da suonare, anche al pubblico stanno piacendo, servono molto a bilanciarsi con tutti quegli up tempo e pezzi in stile punk che suoniamo in altre parti della scaletta, globalmente funziona tutto molto bene.
Tra l’altro, penso che “Lemon to a Knife Fight” sia uno dei pezzi più belli che abbiate scritto: non vedo l’ora di ascoltarla dal vivo!
Grazie! In quella non suono il basso, ho la chitarra acustica…
A proposito: sul palco siete sempre solo voi tre, giusto?
Solo noi tre, sì. Abbiamo le tastiere, dei pedali che fanno cose strane, non ci dispiace avere un po’ di aiuto dalla tecnologia però siamo noi tre che facciamo tutto. È una bella sfida, certo, ma sin dall’inizio i Wombats sono stati questo per cui il nostro obiettivo è sempre stato capire come fare per suonare sempre il più potente e “pieno” possibile pur essendo soltanto in tre sul palco. È la ragione per cui abbiamo sempre tante backing vocal, le tastiere, le distorsioni, i pedali… sono tutti accorgimenti che ci aiutano a suonare più “in grande”, diciamo.