Ci sarà tempo per capire se l’ondata di Folk Revival che ci ha investito più o meno all’inizio degli anni Zero e che adesso sembra in qualche modo essere rientrata, abbia rappresentato un bene o un male nel vasto mondo dei generi musicali. Gente armata di banjo, mandolino e quant’altro, a scrivere canzoni in cassa dritta, solari e senza troppe pretese. Ci sono state diverse declinazioni, alcune band avevano e hanno più spessore di altre, ma fondamentalmente si trattava e si tratta di Pop travestito, nulla a che vedere con la proposta che la parola “Folk” identificava alle origini.
Gli Strumbellas, di tutta questa allegra comitiva, sono tra gli ultimi arrivati e non se la cavano poi così male. Canadesi, per la precisione di Toronto, si sono fatti conoscere dal mondo col singolo “Spirits”, che era sul loro terzo lavoro, “Hope”. Oggi, a due anni di distanza da quell’improvviso e imprevedibile successo, sono in procinto di capire se è stato tutto un fuoco di paglia o se ci sono invece le condizioni per rimanere sulla breccia. Se dovessi decidere io, direi che di buono c’è parecchio: “Rattlesnake” è un disco ancora più ammiccante del precedente, ancora più solare e ancora più irresistibile. Un guilty pleasure perfetto, che il lavoro di Tim Pagnotta e Brian Phillips dietro la consolle ha reso ancora più frizzante e quadrato. Avremmo dovuto incontrarli a Milano per farci due chiacchiere ma il ritardo cronico del Frecciarossa con cui viaggiavano da Roma, ha fatto sì che potessimo parlarci solo per telefono. È stato dunque il tastierista David Ritter a rispondere alla mia chiamata. Nonostante le circostanze sfavorevoli, qualcosa ce lo siamo fatti raccontare lo stesso. Date un ascolto al disco, se ne avete voglia. Alla fine, molto meglio questo che l’ultimo, pretenziosissimo “Delta” dei fratelli Mumford…
Ciao David! Mi dispiace molto per il vostro ritardo ma d’altronde questa è l’Italia…
Non c’è problema! Mi piacciono i treni!
Vi faccio innanzitutto i complimenti per il disco: l’ho trovato molto divertente e soprattutto di grande impatto. Mi pare che, rispetto al passato, queste nuove canzoni siano più potenti e che contengano maggiori elementi Pop, avete anche fatto un certo utilizzo dell’elettronica… un brano come “Salvation”, ad esempio, è esemplificativo di questo nuovo corso…
Ti ringrazio, è molto gentile da parte tua! Credo che in fondo siamo una Folk band che sogna la musica Pop: artiste come Taylor Swift e Robyn, con le loro mega produzioni, sono sempre state una grande influenza per noi. Di conseguenza, per questo disco, abbiamo cercato di avvicinarci il più possibile vicini a loro, per potere realizzare questo sogno.
È un disco in effetti molto prodotto: mi verrebbe da chiedervi cosa cambia, effettivamente, tra il processo di scrittura e quello di registrazione, in che modo muta (se muta) l’immagine del disco così come l’avete concepito…
Lo studio è il luogo in cui le canzoni nascono davvero. Tutti i nostri pezzi sono scritti da Simon, che ne butta giù la struttura principale con la chitarra acustica o col piano. Dopodiché ci manda queste demo via telefono, per cui direi che la prima parte del processo ha un carattere molto artigianale. Poi andiamo tutti insieme in studio ed è lì che decidiamo il suono delle batterie, che aggiungiamo i Synth e tutti i vari strati che rendono la canzone sempre più rifinita.
Cosa puoi dirmi invece del titolo? “Rattlesnake” ha una connotazione piuttosto dura, quasi minacciosa. Non certo quello che ci si aspetterebbe in prima battuta da un gruppo come il vostro…
I serpenti sono la più grande paura di Simon e in questo caso abbiamo scelto “Rattlesnake” come metafora che descrive perfettamente il modo in cui ci sentivamo nel momento di affrontare questo disco: spaventati ma anche molto decisi a dare un seguito a “Hope”. Allo stesso tempo, il serpente è un animale che cambia pelle e dopo questo processo è un essere completamente nuovo. Ci piaceva questa idea di rinnovarci completamente, attraverso la realizzazione del disco.
Come ti dicevo prima, credo che “Salvation” sia la canzone più veloce, potente e catchy che abbiate mai scritto ed è davvero un modo fantastico per iniziare l’album…
Alcune parti di questo brano sono state scritte addirittura prima che uscisse il nostro primo disco…
Ma dai?
Sì, Simon è un vero e proprio archeologo e collezionista, in questo senso: ha centinaia di note salvate sul suo telefono, con melodie vocali e altre parti di canzoni. Per cui, ogni volta che c’è da scrivere un disco, si diverte a scartabellare nel suo archivio, in cerca di buone idee da poter utilizzare. “Salvation” l’avevamo già recuperata e sistemata qualche anno fa ma solamente adesso abbiamo trovato il momento buono per poterla pubblicare.
È molto interessante quello che mi dici perché il pezzo suona davvero fresco, vuol dire che l’avete rimesso a nuovo molto bene! Mi pare anche la canzone ideale per iniziare un live set, che ne dici? I vostri nuovi concerti me li immagino proprio così, con l’apertura affidata a questo brano…
Sono d’accordo, penso che sarebbe davvero divertente iniziare così!
Un altro episodio che mi ha molto colpito è “Running Scared (Desert Song”): è una traccia piuttosto atipica per voi, così scura e “seriosa” in certi frangenti, eppure avete scelto di pubblicarla come primo singolo…
Effettivamente è stato il brano più divertente da realizzare in studio perché abbiamo sperimentato parecchio, è un pezzo che non segue necessariamente i canoni del Pop e dunque ci siamo sentiti liberi di fare un po’ quello che volevamo. L’abbiamo fatta uscire proprio per questo, per mostrare un altro lato del nostro sound, per far vedere che non scriviamo solo divertenti Uptempo ma che c’è come un lato più scuro, nella nostra musica.
Una delle mie preferite è “The Party”, di cui mi piace soprattutto il ritornello, che ha davvero una bella melodia. Non ho letto il testo ma ho avvertito un certo contrasto tra il titolo ed il mood generale della canzone: voglio dire, non è certo un brano così caciarone e spensierato, ci sento dentro una certa riflessività…
Parla di una festa a cui non puoi andare perché non ti ci hanno invitato ed è un po’ una metafora per tutte quelle cose che vogliamo fare nella vita e che invece non riusciamo a fare perché si invecchia e le occasioni, man mano svaniscono. Direi quindi che più che essere una canzone che parla di un party, è una canzone che ha a che fare col perdersi qualcosa…
Eppure voi siete ancora una band relativamente giovane, non dovreste parlare così! Non siete mica dei vecchi dinosauri del rock…
(Risate NDA) Beh, diciamo che siamo più vecchi di certe band, dopotutto alcuni di noi hanno già più di un figlio… però dall’altra parte la cosa curiosa è che con i nostri primi due album abbiamo suonato solo in Canada, ci conoscevano praticamente solo lì. Solamente col terzo album abbiamo iniziato ad essere seguiti anche negli Stati Uniti e in Europa per cui, da questo punto di vista, siamo ancora una band giovane: tieni conto che per molte persone “Rattlesnake” sarà solo il nostro secondo disco!
In effetti siete diventati piuttosto grossi solamente dopo l’esplosione del vostro singolo “Spirits”. Ma come si fa a sopravvivere ad una hit?
(Scoppia a ridere NDA)
È una battuta ma fino ad un certo punto: il mondo è pieno di storie di band che hanno scritto un grande successo e poi sono sparite…
Credo che nel nostro caso abbia aiutato molto il fatto che era già da parecchio tempo che suonavamo insieme. Sai, non è facile quando scrivi un brano del genere: improvvisamente ci siamo ritrovati al centro dell’attenzione, abbiamo girato il mondo per due anni, siamo rimasti tanto tempo lontano dalle nostre famiglie… ci siamo sentiti molta pressione addosso e abbiamo lavorato molto duramente. Se non fossimo stati già così tanto affiatati, probabilmente le cose sarebbero state più difficili.
A proposito di tour, sono curioso di sapere che differenza vedete voi tra suonare a casa vostra, in Canada e farlo negli Stati Uniti…
Guarda, potrà essere strano ma negli Stati Uniti la cosa più sorprendente è di quanto siano vicine tra loro le città! In Canada le distanze sono incredibili! Per darti un’idea: da Toronto a Winnipeg, che è la prima grande città andando verso Ovest, ci sono circa 24 ore di macchina. Logisticamente è difficile andare in tour in Canada: richiede tanti soldi per la benzina, bisogna stare in giro per tanto tempo, ti rende molto più stanco. Girare gli Stati Uniti, al confronto, è molto più pratico. Inoltre, gli americani in generale sono molto più aperti, più diretti, laddove i canadesi, pur molto gentili, tendono ad essere un po’ timidi. Questo è interessante perché poi si ripercuote nei concerti: il pubblico americano è sempre molto caldo… senza nulla togliere al nostro, comunque! Anche perché lì ci suoniamo da più tempo e ci conoscono molto bene…
Avete intenzione di passare dalle nostre parti? L’ultima volta che avete suonato a Milano (nel contesto di Unaltrofestival organizzato dal Circolo Magnolia, nel settembre del 2016 NDA) ero lì ma mi sono perso la vostra esibizione, non ricordo assolutamente per che motivo! Probabilmente ero andato a mangiare (risate NDA) …
Al momento non abbiamo ancora una schedule ben definita ma mi stupirei davvero se venissimo in Europa e non facessimo concerti in Italia! Penso che verremo quest’estate e probabilmente ci sarà più di una data…
L’ultima domanda è piuttosto una curiosità mia: leggo di tanta gente, soprattutto qui, che vi associa spesso a band dell’ondata New Folk come Mumford And Sons e Lumineers… cosa ne pensate? È una cosa che vi dà fastidio o non ci fate caso?
Personalmente non mi dà fastidio. Oltre che si tratta di paragoni appropriati: siamo più o meno allo stesso livello e anche la proposta è simile. Band come Mumford and Sons e Lumineers hanno iniziato una nuova ondata Folk nel quale siamo stati presi dentro anche noi e la cosa sicuramente ha aiutato la nostra carriera, molti dei loro fan vengono a vedere anche noi e questo indubbiamente ci rende felici. E poi i Mumford sono una grande band per cui essere paragonati a loro non può che essere positivo!