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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
19/11/2020
Miglio
Le interviste di Loudd
A pochi giorni di distanza da “Erasmusplus”, il nuovo singolo che riflette sulla solitudine e sulla difficoltà di comunicazione che sembra un po’ tipica dei tempi che stiamo vivendo (e non solo della pandemia) abbiamo raggiunto MIGLIO per telefono per capire qualcosa di più su di lei, sul suo passato ma anche sul futuro.

Si chiama Alessia Zappamiglio, viene da Brescia ma da tempo gravita su Bologna, dove si è ormai trasferita stabilmente. Il suo primo singolo è uscito esattamente due anni fa ma da allora diverse cose sono cambiate: l’ingresso nel roster di Matilde Dischi ha portato una manciata di altri brani ed un cambiamento sonoro che è avvenuto tuttavia in perfetta continuità, senza snaturare ma piuttosto mettendo in mostra potenzialità ancora inespresse. Il succo è che, tra gli autori raggruppabili nel calderone dell’It Pop, la sua è senza dubbio una delle voci più intense e interessanti, almeno tra quelli che non hanno ancora un disco in uscita. A pochi giorni di distanza da “Erasmusplus”, il nuovo singolo che riflette sulla solitudine e sulla difficoltà di comunicazione che sembra un po’ tipica dei tempi che stiamo vivendo (e non solo della pandemia) l’abbiamo raggiunta per telefono per capire qualcosa di più su di lei, sul suo passato ma anche sul futuro.

Confrontando i tuoi primi due brani con quello che è venuto fuori dopo il tuo ingresso nel roster di Matilde Dischi, ho notato che c’è stato un cambio di direzione non indifferente: se in un pezzo come “Gli uomini elettronici”, per dire, eri ancora concentrata su un Rock che guardava molto agli anni ’90, a partire da “Pianura Padana” ma soprattutto con “Pornomania”, ti sei spostata su un terreno più vicino all’Indie Pop, per usare un’etichetta generica. In particolare, sono aumentati i pattern elettronici, le melodie si sono fatte più accattivanti e l’aggressività degli inizi è stata in qualche modo smorzata…

È un’analisi corretta, sono perfettamente d’accordo. “Gli uomini elettronici” l’ho scritta nel 2017 ed era effettivamente legata a quell’immaginario Alternative Rock con cui ero in fissa all’epoca. È un pezzo che descrive in pieno quello che io sono ad un livello più spontaneo, che fotografa meglio il mio stato di natura: ho ascoltato tanto cantautorato, per cui la parte testuale è importantissima però a 18-19 anni ho scoperto Afterhours e C.C.C.P. poi mi sono spostata sulla scena internazionale, con Jeff Buckley, Nick Drake, Nirvana, tutta quella roba lì. “Gli uomini elettronici” e tutte le cose che scrivevo in quel periodo riportano perfettamente il mio gusto di allora. Oggi sono cresciuta, sono passati tre anni e mi sono accorta di non avere più paura del Pop come prima…

Cioè?

Lo so che fa ridere a dirlo così, però io avevo proprio paura del Pop (risate NDA)! Sai, frequentavo già Bologna, e quando sei in un certo giro c’è tutto un discorso di conformismo, ero davvero convinta che il Pop fosse il demonio! Poi quando cresci, diventi un po’ più grande e capisci che se fatto bene può essere bellissimo! In questo, l’incontro con Matilde Dischi, con Davide Maggioni, che è la persona al centro dell’etichetta, anche se poi c’è Giulia Perna che è il mio ufficio stampa ma anche la mia manager… tutto lo staff insomma, mi ha aiutato molto: hanno capito che oltre quella roba grintosa che veniva fuori dai miei primi pezzi, c’era anche una componente Pop che sarebbe stato bello tirare fuori. Adesso sto imparando, mi piace far confluire le due cose senza far pesare questo divario tra mainstream e underground che, sinceramente, se anche c’è, ha francamente bisogno di essere superato!

In effetti è da tempo che sono convinto che un artista debba essere valorizzato solo per come scrive. E mi pare che tu scriva molto bene! “Erasmusplus”, il tuo ultimo singolo, mi è piaciuto davvero molto. E mi pare si leghi in qualche modo con quella “Gli uomini elettronici” di cui abbiamo parlato e che, guarda caso, è il tuo primo pezzo. Si parla sempre di questa condizione di essere dietro uno schermo, che è anche in qualche modo attuale, viste le circostanze. Però è un discorso più ampio, che va avanti da tempo ma che è tipicamente generazionale… insomma, mi pare che dopo tre anni tu abbia fatto un bel giro e sia ritornata su quegli stessi temi…

In tanti mi hanno chiesto quando avessi scritto questo pezzo, proprio perché pare che rappresenti in pieno il periodo che stiamo vivendo. L’ho scritta effettivamente a marzo, durante il lockdown, ma sviluppa un discorso più ampio, anche perché io ho sempre scritto in casa mia e ho sempre scritto tutti i giorni. Credo che avrei potuto scriverla un anno fa e sarebbe stato uguale, per dire. Intanto perché non parto da me ma racconto la storia di altri, di due ragazzi che fanno l’Erasmus, uno in Italia l’altro in Belgio, non si possono incontrare di persona e comunicano in questo modo. È un pezzo che parla di relazioni, delle difficoltà di rapporto che ci sono tra le persone o tra le coppie… è un brano che parla di solitudine ma non credo sia solo generazionale: la solitudine la vedo nei ragazzi di vent’anni ma anche nei cinquantenni…

Ci stiamo disabituando a socializzare e per quello che vedo, questa pandemia non sta facendo altro che enfatizzare il problema. Banalmente, solo per fare un esempio, tutto questo fenomeno dei Rider esiste solo perché ad un certo punto abbiamo deciso che era più comodo farci portare il cibo a casa piuttosto che uscire a cena…

La solitudine la sento, la percepisco anche nei confronti delle persone che conosco, degli amici, è un qualcosa che c’è da tempo. L’altro giorno stavo facendo un’altra intervista, si parlava di questo pezzo e mi hanno fatto delle domande sulla tecnologia. Io penso che sia una cosa buona, ha portato tutta una serie di vantaggi, però dall’altra parte ha accentuato notevolmente il rischio della solitudine. Conosco davvero tante persone che se incontrate al di fuori dello schermo, del mondo digitale, sono tutta un’altra cosa, non parlano, non hanno nessuna capacità di andare oltre, e poi magari ci parli virtualmente e sono brillantissimi! Quindi credo che la tecnologia abbia portato ancora di più all’isolamento, dopotutto io “Gli uomini elettronici” l’ho scritta quando la pandemia non c’era ancora eppure vedevo già tutta questa alienazione…

Immagino che tu scriva alla chitarra però i tuoi pezzi sono anche molto prodotti: com’è il passaggio da una fase all’altra?

Scrivo tutto io, chitarra e voce. La chitarra è il mio strumento principale, la suono da una vita, ogni tanto faccio qualcosa con la tastiera ma poca roba. Dopodiché collaboro con altre persone che mi vestono le canzoni. Le prime tre le ho fatte con DADE e Gentile (Marco Benz Gentile NDA) che sono due ragazzi di Torino (DADE ha fatto anche Levante, Margherita Vicario, cose grosse insomma). Lo avevo conosciuto tramite Inri, quando lavoravo con loro e quindi abbiamo lavorato a dei pezzi insieme. Dopo “Pianura Padana” ho invece lavorato con Simone Laurino, che è tuttora il mio produttore. È successo anche col passaggio da Brescia a Bologna e col mio arrivo a Matilde Dischi, ho voluto iniziare a collaborare con altre figure e qui è arrivato Simone, con cui mi trovo molto bene, sia a livello umano, che è importantissimo, sia da quello musicale. Vado in studio, gli trasmetto le mie vibrazioni, quello che vorrei sentire dentro il pezzo e poi lo vestiamo insieme. Si sta in studio ed è un flusso naturale, nascono tante cose, ci si torna sopra, è un processo molto spontaneo, si passano giornate insieme a lavorare e nascono le idee. Con “Erasmusplus” è andata proprio così: l’arrangiamento è uscito fuori subito ma poi è cambiato molto, ha trovato la forma definitiva solo dopo giornate intere di lavoro!

“Bagno Paradiso” è un altro pezzo che amo molto, mi piace il fatto che sia un up tempo, il ritornello è bellissimo… però, scusa se te lo dico, l’interludio parlato non mi piace tantissimo, lo trovo un po’ fuori posto… come ti è venuta l’idea?

Grande, mi piace la tua sincerità (ride NDA)! Detto semplicemente, è andata così: io ho diversi problemi con gli Special, tutte quelle parti che vanno oltre la strofa e il ritornello mi causano difficoltà, probabilmente perché vengo una scrittura molto “selvaggia”, per così dire. Gli Special? Chi se ne frega! Se arrivano bene, altrimenti pazienza (ride NDA)! E così è stato per “Bagno Paradiso”, che è nata con la sua alternanza di strofa e ritornello. L’ho mandata alle persone che lavorano con me e mi è stato detto che ci avrei dovuto mettere qualcosa verso la fine, in modo tale da far esplodere il ritornello e chiuderla in quel modo. E così ho scritto questo Special. In un primo momento l’ho cantata, però poi ho voluto fare un esperimento, mi sono messa davanti al microfono con un bel riverbero e l’ho fatta parlata. Simone è rimasto contento, ha detto che era molto diversa dalle cose che faccio di solito e così l’abbiamo lasciata!

Invece il video di “Pornomania” in versione acustica come è nato? L’ho trovato veramente molto bello, arriva davvero all’origine della canzone e fa vedere un altro lato di te…

Nasce da Valerio Casanova, che è un ragazzo di Milano, un regista, con cui ero in contatto già da un po’ di tempo, dovevamo fare delle cose insieme ma poi non ci siamo mai incrociati. Sta portando avanti un progetto che si chiama “Cento” che consiste nel fare cento video, con cento artisti diversi, il mio al momento è l’ultimo ed è l’ottavo della serie. L’idea è quella di spogliare gli artisti da tutta quella roba che senti nel digitale, nelle versioni in studio, e tornare all’origine. Poi con ognuno ha fatto cose diverse, è molto centrato con la storia personale dell’artista. Nel mio caso è venuto a Bologna, ha voluto conoscere il mio quotidiano, ci siamo presi un caffè a casa mia e da lì siamo partiti a girare, ha iniziato a riprendermi dal momento in cui sono uscita e l’ho portato al ghetto ebraico, che è una delle zone della città a cui sono più affezionata. Ho deciso di suonare “Pornomania” perché rappresenta la mia storia personale, parla di Bologna. Abbiamo fatto la strada a piedi, siamo arrivati al ghetto ebraico e in modo molto naturale mi sono seduta per terra, ho tirato fuori la chitarra e mi sono messa a suonare. C’erano anche delle persone, lì c’è un locale che si chiama Camera A Sud e la cosa sorprendente è che nel momento in cui ho iniziato si sono zittiti tutti, alcune persone che passavano si sono fermate… si è creata una situazione davvero molto suggestiva. E poi suonare per strada per me è una cosa stupenda: non ho mai fatto la busker ma mi è capitato più volte di farlo, assieme ai miei amici, ed è sempre stato bellissimo…

Tu sei di Brescia ma vivi a Bologna: sono due città molto diverse tra loro ma accomunate dall’avere entrambe una scena musicale piuttosto interessante…

Bologna l’ho proprio scelta. La frequento da quando avevo 19 anni, per tanti anni ho continuato a fare avanti e indietro da Brescia, ci ho iniziato a suonare ancora prima di venire stabilmente a viverci, perché di fatto è solo dall’anno scorso che mi ci sono trasferita definitivamente. Brescia è una città molto bella, rappresenta la mia origine, ci sono i ricordi dell’infanzia, la mia famiglia, però purtroppo è una città grigia. Per come sono io, Bologna la trovo molto più colorata, esci da solo ma non ti senti solo, è una città anche molto libera e poi musicalmente mi ha dato veramente tanto.

Com’è adesso, dal punto di vista artistico? Ho letto da più parti che è cambiata in peggio, negli ultimi anni…

Me l’hanno detto in tanti, è vero. Mi è capitato di essere in Piazza Maggiore e di parlare con i classici signori, veri bolognesi, che hanno visto la città negli anni Settanta, ai tempi di Dalla e Guccini e mi hanno detto che era totalmente diversa ma ci sta, gli anni passano. Però è anche vero che non è nemmeno quella di otto anni fa, quando ho iniziato a frequentarla io. All’epoca c’era tutto un sottobosco alternativo molto più florido rispetto ad oggi: ho suonato in centri sociali, caffè letterari, posti dove ci tenevano tantissimo a darti una data. Adesso gran parte di quella realtà non esiste più per cui è vero che un po’ ha perso. Hanno sgomberato centri sociali molto importanti e direi che in un città così un’operazione del genere è come toglierle l’aria… Sono fiduciosa però, perché è una città talmente piena di possibilità, che se alcune cose non ci sono più, altre ne verranno fuori…

Facciamo che per una volta non parliamo del futuro dei live. Ti chiedo semplicemente cosa succederà nei prossimi mesi a livello discografico. Uscirà un album?

Senz’altro, sì. Ci stiamo lavorando anche se ovviamente oggi come oggi è difficile definire delle tempistiche. Però i pezzi ci sono già, c’è tutto quello che io voglio che esca, devo solo chiuderli in studio. È vero che oggi in tanti insistono sui singoli però io ho tutto un mondo attorno, ho diversi pezzi scritti anche anni fa e che si collegano un po’ al mondo de “Gli uomini elettronici”, fanno parte di me e vorrei farli uscire su disco perché voglio che si veda tutto quello che sono io, vorrei dare un’immagine di me il più possibile completa…


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