Lo ha ribadito con chiarezza anche all’interno di questa piacevole chiacchierata telefonica: “Alone”, per Gianni Maroccolo, ha rappresentato soprattutto l’occasione per esprimere appieno la propria creatività, dopo un’intera carriera musicale dedicata alla militanza in altre band, alle produzioni e alle collaborazioni con altri artisti. Ho seguito con piacere ed entusiasmo il “disco perpetuo” del bassista toscano, che ha preso il via due anni fa e si è articolato in quattro uscite semestrali; ne ho scritto ogni volta e ogni volta sono rimasto stupito dalle soluzioni espresse, frutto di una visione d’insieme ma anche di un tentativo di ricerca sonora ed espressiva che si faceva ogni volta più evidente.
Nel frattempo c’è stato il lockdown e l’amicizia con Stefano “Edda” Rampoldi, ex Ritmo Tribale, che da una decina d’anni porta avanti una solida carriera solista, è sfociata nell’idea di scrivere un disco, registrarlo e distribuirlo gratuitamente a tutti quanti ne avessero fatto richiesta. Una decisione particolare, apprezzata dai più ma anche criticata da alcuni e che, come Gianni mi ha esaustivamente spiegato, è stato il modo per condividere questo regalo che, innanzitutto, loro due si sono fatti. E così abbiamo parlato anche di “Noio; volevam suonar”, disco molto diverso da “Alone” ma altrettanto ispirato e consapevole. Non resta che lasciare a lui la parola.
Direi che per prima cosa sarebbe interessante fare un piccolo bilancio su quello che è stato il progetto “Alone”, ora che si è finalmente concluso…
In realtà non si è concluso. Siamo semplicemente giunti al termine di questo percorso di quattro volumi, dove si trattava di capire se quello che ci eravamo prefissati avrebbe avuto o meno un senso. La promessa, o la minaccia magari (ride NDA) era una sorta di “finché morte non ci separi”: non c’è mai stata una data di scadenza. Insieme a Contempo si decise, più che altro allo scopo di avere un piccolo supporto economico iniziale per poter partire, di lanciare una campagna di sottoscrizioni in quattro volumi dove chi avesse partecipato ne avrebbe ricevuti cinque: il numero 0 infatti è stato fatto solo per loro e solo in vinile, mentre gli altri li abbiamo poi messi in vendita anche in distribuzione standard, sia in versione fisica che sulle piattaforme streaming. Ci serviva capire, alla fine di questo piccolo anche se impegnativo percorso, se si potesse continuare l’idea originaria, quella di una collana ad uscita semestrale che andasse avanti finché ci fossero idee da comunicare.
Quindi mi pare di capire che l’esperienza è stata positiva…
Allo stato attuale sono molto felice perché, oltre ad aver avuto il piacere di collaborare con altri musicisti, questo è a tutti gli effetti il mio primo viaggio in solitaria, dopo 40 anni in cui mi sono dedicato solo ai progetti di gruppo. Sono andato a scoprire cose che tenevo da tempo chiuse in un cassetto: quando lavori in un gruppo non si può tirar fuori tutto ciò che si vorrebbe fare perché un gruppo funziona solo se ciascuno fa un passo indietro e cerca una sintesi con gli altri. Mi ha sorpreso il fatto che nel mio piccolo sono riuscito, volume dopo volume, ad aggiungere sempre qualcosa in più che fosse sorprendente per me, a livello di composizione, di suoni, di qualità del lavoro. Se arrivato al quarto capitolo mi fossi reso conto di essere in una fase in cui mi ripetevo, laddove avessi fatto delle cose inferiori, insoddisfacenti, avrei deciso di sospendere. Invece ho capito che, per quanto possa valere un progetto del genere, abbastanza particolare e di nicchia, ha senso continuare, visto che c’è sicuramente un margine di crescita ulteriore. Pur con molta umiltà, mi pare ci sia ancora qualcosa da dire, quindi andremo avanti: faremo un quinto volume, poi un sesto, almeno fino a quando ci sarà un flusso creativo di livello costante…
Non posso che concordare con te: si tratta di un lavoro davvero ispirato…
Tieni presente che non ho ancora voluto ascoltare tutti i volumi uno dopo l’altro, penso che lo farò nei prossimi giorni. Siccome è un disco che vive di un flusso compositivo quasi puro, non è molto arrangiato, non è smussato, non è sovra prodotto e dunque può andare avanti finché questo flusso rimarrà vivo. Non avrebbe senso continuare solo per mestiere, anche se sarei senza dubbio in grado di farlo…
Un altro dato che colpisce è che, nonostante si sia parlato di “disco perpetuo”, alla fine questi quattro capitoli sono piuttosto diversi l’uno dall’altro…
L’unica cosa che era decisa sin dall’inizio erano le tematiche a cui mi sarei ispirato. Non c’era un concept preciso ma un tema di riferimento a cui si sono ispirati anche gli altri ospiti e collaboratori che ho coinvolto. È stato quindi un work in progress, non era già stato composto tutto dall’inizio; inoltre la varietà di cui tu parli è stata senza dubbio influenzata dai temi perché ognuno di essi aveva bisogno di un linguaggio specifico con cui essere trattato. Un po’ come guardare un qualche sceneggiato degli anni ’70 o anche certe fiction attuali, dove si va avanti ad episodi ma c’è una storia che prosegue: gli episodi narrano cose diverse ma la storia è lunga e finché non si ferma, non hai modo di capire come finisca. Quindi diciamo che non è una collana a puntate ma è una collana ad episodi, con una sua trama legata al principio dell’ispirazione. C’è continuità ma allo stesso tempo c’è un’esplorazione di diversi linguaggi e questo è bello perché, pur essendo un bassista non mi sono limitato solo ad usare quello strumento.
Puoi dettagliare meglio, spiegando il lavoro che hai fatto per quest’ultimo disco?
Il tema di fondo è quello della malattia mentale, di come la società tenda a categorizzare tutto, di come si arroghi anche il diritto di decidere chi è normale e chi non lo è. Ho deciso di trattare l’argomento utilizzando una serie di episodi più brevi, più asciutti, al posto di lunghe suite come era accaduto in precedenza. Il brano più lungo infatti è quello iniziale che dura otto minuti ma poi gli altri sono tutti tra i tre e i cinque. Poi piano piano, andando avanti, a seconda di quello che veniva fuori, pensavo ai musicisti da coinvolgere. Ad esempio, sotto questa prima traccia mi sono reso conto che ci sarebbe stata bene una batteria vera e ho chiamato Luca Martelli…
Anche il contributo di Giorgio Canali è assolutamente centrato…
Assolutamente, non ho avuto dubbi a coinvolgerlo. Sono dinamiche che hanno dentro sempre molto di casuale, uno magari sta lì a dire: “Non farò mai questo, non farò mai quest’altro” e poi succede diversamente. Quando sono partito con “Alone” ho pensato che non avesse senso contattare i miei vecchi compagni di viaggio, visto che al di là dell’aver lavorato assieme dentro i Litfiba e i CSI, abbiamo fatto anche diverse altre cose assieme. Mi sembrava fosse più giusto, siccome stavo ripartendo, andare a cercare collaborazioni che non avevo mai fatto. In questo caso invece è stato diverso ma perché sono questi flussi che ti portano, in maniera naturale, a capire chi ti può dare un valore aggiunto, uno spunto musicale che possa valorizzare ancora di più quello che stai facendo. Ragion per cui non ho avuto problemi a chiamare Giorgio e a dirgli: “Guarda, qui saresti perfetto”.
E difatti lo è stato. Quindi dai, il primo bilancio è senza dubbio positivo…
Ci sono delle cose che sicuramente avrei potuto far meglio, altre che non sono riuscito a mettere a fuoco, altre ancora che sono uscite meglio di quanto pensassi… sarebbe bello adesso fare un concerto dove sviluppare una sintesi di tutti e quattro i volumi che in qualche modo rappresenti la prima parte del viaggio!
Potresti approfondire un attimo quella cosa che hai detto prima sul tuo ruolo di bassista? Perché in effetti anch’io penso che se c’è una cosa che “Alone” ha dimostrato, è che tu sia soprattutto un compositore…
Sono profondamente grato a tutto ciò che mi è successo, agli incontri bellissimi che ho avuto in passato, ai gruppi in cui ho suonato, composto, arrangiato ma al di là di tutto, è vero che mi sono sempre sentito un musicista in generale, piuttosto che un bassista. D’altronde, non posso certo dire di aver iniziato a suonare questo strumento per scelta...
Cioè?
Alle medie frequentavo un dopo scuola dove studiavo un pò di tutto: chitarra, batteria, organo ecc… verso la fine dell’anno dovevamo fare un piccolo saggio/concertino e venne a mancare il bassista… così mi proposi di sostituirlo e me la cavai abbastanza bene. Da allora continuai a suonarlo ma non da bassista. In realtà per me il basso (così come qualsiasi altro strumento) rappresenta un “mezzo” per trasformare in suono, note e ritmo ogni idea che mi venga in mente. Anche quando suono insieme ad altri raramente penso da strumentista: mi viene naturale, ascoltando gli altri, aggiungere ciò che mi pare che manchi e poco importa se sia un fraseggio adatto o meno per un basso. Forse proprio per questo, ho finito per sviluppare un modo tutto mio di suonare questo strumento: a volte mi piacerebbe essere un po’ più “capace” dal punto di vista tecnico ma poi sono contento ugualmente perché se non avessi fatto questo percorso, non avrei mai sviluppato questo stile, che è poi la cosa che vale di più…
Passiamo a “Noio…”: mi è piaciuto davvero molto, l’ho trovato molto ispirato e, allo stesso tempo, molto più “diretto” di “Alone”, sicuramente più vicino ad un rock tradizionale…
“Noio” è un disco speciale per me, una meraviglia inaspettata e sorprendente. Un disco che celebra il bel rapporto umano nato tra me e Stefano, artista davvero unico, che ho avuto modo di incontrare qualche anno fa e con cui è nata una sintonia profonda. I pezzi sono la conseguenza naturale di questo legame: non si è parlato di musica, non si è pianificato nulla… è stato uno scambio continuo di flussi e di idee (a volte prendendo spunto da canzoni sue che aveva già in giro, altre volte da spunti miei) che abbiamo fermato quando ci siamo accorti che avevamo undici canzoni quasi finite. A quel punto Stefano si è inventato il titolo del disco e l’idea per la copertina. Non saprei se “Noio” sia più diretto o meno di “Alone”, anche perché poi bisognerebbe capire cosa vuol dire “diretto”. E’ sicuramente diverso perché diverso è stato il processo creativo. “Noio” è un disco di canzoni; “Alone” è un disco di “flussi” condiviso con altri artisti.
Di sicuro c’è che la voce di Edda, oltre che le sue chitarre, danno un’impronta molto solida al disco…
Oltre ad essere un gran cantante, è anche un bravissimo chitarrista. Lui ha la tendenza a buttarsi giù, a ritenere che le sue idee non siano mai buone abbastanza ma la verità è che ha davvero talento. Le prime volte mi mandava delle tracce di chitarre un po’ buttate lì, come se non ci credesse davvero ma poi, se lo sollecitavo a fare meglio, se ne usciva con delle cose davvero bellissime. Ecco perché secondo me ha dato un contributo fondamentale al disco.
È una domanda scontata, ma della partecipazione di Don Backy ti devo per forza chiedere…
Per questo volume di “Alone” l’idea era quella di fare una cover e quando ho pensato a quale brano avrebbe potuto legarsi al tema della malattia mentale, la scelta di “Sognando” è stata perfettamente naturale. L’ho fatta cantare a Edda e la sua versione mi è piaciuta tantissimo, mi ha fatto venire la pelle d’oca, l’ho fatta sentire a quelli di Contempo e anche loro sono rimasti entusiasti. Così ho buttato lì che forse non sarebbe stata proprio un’idea assurda provare a coinvolgere Don Backy: ho sempre ammirato tanto il suo lavoro, anche per la tenacia con cui ha combattuto per rivendicare quello che era suo all’interno del lavoro del Clan e anche se ha 80 anni è ancora molto arzillo. Lo abbiamo raggiunto e gli abbiamo fatto sentire il pezzo. Lui ci ha risposto: “Bellissimo! Chi è quella ragazza che canta (risate NDA)?”. Quello che lo ha colpito di più è stato l’arrangiamento: negli anni, oltre che da Mina, questo brano è stato rifatto molte altre volte ma noi, a suo dire, siamo stati gli unici che ci siamo presi il rischio di discostarci parecchio dalla versione originale. Per questo motivo ha accettato di coinvolgersi. Solo che poi c’è stato il lockdown e lui non ha potuto ovviamente andare in studio a registrare le sue parti. Quando infine ha avuto il via libera i tempi erano strettissimi, lui ci ha provato un po’ di volte ma non era mai soddisfatto del risultato. A quel punto gli abbiamo detto: “Guarda che mancano davvero pochi giorni, poi dobbiamo consegnare il tutto, va bene anche se ci mandi una nota vocale, poi facciamo noi”. Così ha preso il suo IPhone, si è messo in cuffia la base e ha cantato quella versione magnifica che puoi sentire sul disco…
Avete deciso di regalare il disco a tutti quelli che ne avessero fatto richiesta, chiedendo solo il pagamento delle spese di spedizione. È stata una scelta molto discussa, io credo anche provocatoria, in un momento storico in cui i dischi non si vendono praticamente più, non avete forse corso il rischio di svilire un po’ il vostro lavoro?
Non è stata una scelta provocatoria. In un momento molto complesso, dove ognuno di noi ha perso qualcosa o, purtroppo, qualcuno, abbiamo pensato di condividere con gli altri il regalo che ci stavamo facendo, è stato un modo come un altro di fare la nostra parte. In quel momento c’erano delle urla molto più dolorose delle nostre e mi sono quindi chiesto che cosa si sarebbe potuto fare da parte nostra, invece che chiedere semplicemente aiuto (con questo non sto dicendo che avessero torto quelli che hanno chiesto aiuto, anzi!): ci è quindi venuta in mente questa cosa che però, attenzione, non ci rende né migliori né peggiori di altri. Più che altro siamo rimasti sconvolti dal fatto che ci sono arrivati una marea di ordini, almeno 1500, quando ne avevamo pianificati non più di 400… quindi direi che non è poi così vero che i dischi non si vendono più…
Caspita!
Infatti tutti i parenti, zii e nipoti sono stati messi lì assieme a quelli di Contempo a confezionare dischi e piano piano inizieremo a spedirli! Stiamo diventando una piccola impresa famigliare, può darsi che anch’io nei prossimi giorni andrò ad aiutarli (ride NDA) perché è tutta roba confezionata a mano, ci vuole tempo per preparare il tutto! Né io né Stefano eravamo nelle condizioni economiche di poter fare i gradassi ma comunque sia ci abbiamo messo la musica, grazie a Dio Contempo ci ha dato una mano sulla produzione dei manufatti, per cui per il momento va bene così. Poi non è escluso che, fra qualche mese, se il disco vendesse ancora e ci fossero delle richieste, si faccia una piccola ristampa e a quel punto la metteremo in vendita a prezzo politico, più che altro per far recuperare qualcosa all’etichetta…
Vi vedremo dal vivo in questi mesi? Sembra che le cose piccole stiano lentamente riprendendo…
Con Edda si era detto che qualche concerto lo avremmo fatto perché ci siamo divertiti tanto a fare questo disco e sarebbe proprio bello suonarlo dal vivo: aggiungendo magari qualche classico suo, qualche pezzo mio, penso possa venire fuori veramente bene. Non credo che riusciremo ad organizzare un tour vero e proprio, credo sia più semplice mettere insieme qualche data non appena sarà possibile, più facilmente però a partire dall’anno nuovo. Per quanto riguarda me, invece, avevamo deciso di debuttare a giugno a Firenze, a Fabbrica Europa anche se ovviamente è saltato tutto. Adesso lo abbiamo rimesso in calendario il 12 settembre. Sarà un concerto secco, una sorta di anteprima, di prova aperta di quello che potrebbe poi diventare il concerto di “Alone”. Qui in Toscana comunque qualcosa si sta muovendo, vedremo in futuro cosa succederà…
Per concludere, mi piacerebbe chiederti questo: tu sei sempre stato molto attento ai musicisti della generazione più giovane, col Consorzio Suonatori Indipendenti avete lanciato diversi artisti, di cui i Marlene Kuntz sono forse quelli più importanti. Come vedi oggi la scena musicale italiana? C’è qualcosa che ti colpisce oppure ti senti estraneo?
Estraneo direi di no, però è un linguaggio, un modo di comunicare generazionale che non può assolutamente intercettarmi. E mi rendo conto che questo vale per un sacco di musica, non solo per la Trap: avendo sessant’anni ne ho sentita tanta, ho vissuto tante mutazioni, tanti cambiamenti, alcuni anche epocali, che hanno coinciso anche con vere e proprie mutazioni sociali. Sinceramente, non sento in questo momento quel guizzo di genialità tipico di quando vengono fuori certe avanguardie, ma probabilmente è un problema mio. Detto questo, io non vedo in negativo niente, accetto le mutazioni perché portano sempre anche un sacco di opportunità e se oggi, almeno in Italia, il linguaggio prevalente è quello della Trap e dell’Hip Pop, va benissimo, penso che ci siano delle cose che valga la pena di ascoltare. Non è il mio pane ma semplicemente perché non ho vent’anni, non ho trent’anni, non ho sedici anni e non credo proprio che questi ragazzi facciano musica per rivolgersi a me e a quelli della mia generazione (ride NDA)! Io cerco di comprenderli, non mi sento di giudicare negativamente nulla, non mi è mai piaciuto fare il borbottone sulla panchina col cane e il giornale (ride NDA)!
È interessante quello che dici sul comprendere i cambiamenti…
Guarda, riuscire a farlo serve, soprattutto nel caso mio, a vivere veramente il presente, ad essere radicati nel presente. Io faccio musica “giurassica” ma lo faccio per scelta, non perché sono un nostalgico. È quello che so fare e lo faccio senza la minima presunzione di insegnare qualcosa a qualcuno, né tantomeno di voler essere avanguardia. Faccio le mie cose ma guardo quello che succede e sono in attesa di una nuova rivoluzione, sono curioso…
In effetti mi verrebbe da dire che un progetto come quello di “Alone” sarebbe impossibile da portare avanti, se non dentro questa visione della contemporaneità di cui parli…
È un qualcosa che serve per riuscire a trovare quei meccanismi che permettono di andare avanti anche in un contesto dove tutto è cambiato, rispetto ai tempi in cui facevo musica coi CSI o ancora prima coi Litfiba. E a quei tempi eravamo noi a portare la novità! Quando ho fatto “Vdb23” con Claudio Rocchi (nel 2013 NDA) nessuno in Italia faceva crowdfunding, e farlo è stato meraviglioso perché siamo riusciti a dar vita ad un progetto senza pretendere di utilizzare i canoni che avevamo utilizzato fino ad ora. Abbiamo tagliato le filiere e siamo andati direttamente verso chi era interessato alla nostra musica. “Alone”, in questo senso, ha rappresentato una continuazione ed un approfondimento di quell’esperienza, anche se poi lo abbiamo reso disponibile anche coi canali classici. Per cui, se si capiscono le mutazioni, si ha una possibilità in più per porsi all’interno della realtà, ma se non si accetta quello che sta succedendo, si rimane giustamente tagliati fuori.
Hai nominato Claudio Rocchi: in “Noio” avete costruito un ideale ponte con la sua figura, visto che avete ripreso la sua “Castelli di sabbia”…
Sì ma c’è un ponte anche perché Claudio è stato per 15 anni un monaco induista, Stefano è un devoto Hare Krishna che da giovane ascoltava entusiasticamente le trasmissioni di Claudio quindi anche questo ha rappresentato un bel punto di unione tra noi.