Probabilmente è vero che It Pop, Trap e derivati hanno monopolizzato il mercato, portandosi via la fetta più grossa degli ascoltatori e monetizzando quasi tutto quello che c’è da monetizzare. Da un certo punto di vista è sempre stato così: siamo esterofili quando si tratta di fare paragoni e di puntare il dito sulle cose che non vanno ma poi in campo musicale ci teniamo stretti i nostri artisti e guardiamo raramente oltre confine, se non proprio per quei nomi enormi, impossibili da ignorare. Da che ricordo è sempre stato così e non è un caso se un fenomeno come Vasco Rossi, con quei numeri spaventosi limitati però ai soli confini nazionali, esiste solamente da noi. A saperle guardare, comunque, le cose sono un po’ più complesse. Ci sono un sacco di band che cantano in inglese, che sviluppano proposte più in linea con quello che succede negli altri paesi e che avrebbero tutte le carte in regola per farsi conoscere e apprezzare. Ma appunto, è roba per così dire “di nicchia”: bisogna essere minimamente curiosi e sufficientemente spregiudicati a voler uscire dalle solite playlist proposte da Spotify.
I Cactus? vengono da Vicenza, sono in tre ed hanno una spiccata propensione all’elettronica, che incanalano in composizioni pesantemente debitrici alla scena New Rave e Disco, dove la forma canzone è però presente e le melodie, pur se in secondo piano rispetto al ritmo, sono comunque sempre presenti. “No People No Party”, il loro primo disco vero e proprio, dopo l’esordio in formato Ep di “Sorry For My Accent”, del 2016, li ha fatti conoscere anche all’estero, dove hanno partecipato, tra le altre cose, all’importante Liveurope Open Air di Varsavia. Sarebbero dovuti volare anche ad Austin, per partecipare all’happening annuale del SXSW ma il Coronavirus ha bloccato tutto. Non si è fermata l’attività discografica: i singoli “Shitdisco” e “Blue Lips/Cold Heart”, usciti rispettivamente il 13 marzo e il 9 giugno, oltre a mostrare una mai sopita ispirazione artistica, hanno rivelato nuove suggestioni sonore e dischiuso possibilità di future evoluzioni stilistiche. Abbiamo parlato di questo ed altro con Francesco, Simone ed Andrea.
Intanto complimenti per tutto quello che avete fatto finora! Partirei da questo ultimo singolo: l’ho effettivamente trovato un’apertura verso sonorità se vogliamo più accessibili, più incentrato sulla forma canzone ma allo stesso tempo la vostra impronta rimane…
Francesco: È sicuramente un brano più Pop, più accessibile, normalmente facciamo canzoni maggiormente incentrate sulla Dance, cose molto più spinte, per cui può darsi che questa invece riusciranno ad ascoltarla più persone. Diciamo che non è una direzione che abbiamo preso con questo scopo. Semplicemente, ci piaceva sperimentare con Synth più morbidi, sonorità meno forti, più dolci ma non è escluso che in futuro usciranno cose ben più pesanti rispetto a quelle che abbiamo già pubblicato! Ci piace mescolare un po’ tutto, infatti.
Dobbiamo quindi aspettarci un nuovo disco a breve oppure è presto?
Francesco: Stiamo scrivendo altre canzoni ma non ci siamo mai posti un obiettivo a lunga scadenza, di fare un album o cose così. Lo stesso “No People No Party” non era stato pianificato dall’inizio: abbiamo semplicemente buttato dentro tutto quello che avevamo scritto quell’anno, alla fine suona come un lavoro coerente perché le canzoni sono state scritte una vicino all’altra, in un periodo dove avevamo influenze e sentimenti comuni. Poi vedremo, di sicuro in autunno, in tempi che si spera saranno migliori, o un Ep o un album lo faremo uscire, adesso è un po’ prematuro, visto che non possiamo suonare.
Andando a prendere “Shitdisco”, il vostro singolo precedente a questo, si potrebbe dire che queste ultime due canzoni, fotografano in maniera fedele quello che siete adesso, essendo due facce della stessa medaglia?
Francesco: Direi di sì! Al momento ci stiamo muovendo verso suoni ancora diversi per cui vedremo cosa succederà da qui in avanti. C’è da dire che “Shitdisco” era stata scritta nello stesso periodo in cui abbiamo fatto “No People No Party”, forse addirittura prima, ed è stata completata solo in seguito, quindi per forza di cose era ancora legata a quelle sonorità. Quando abbiamo scritto “Blue Lips/Cold Heart” avevamo già altre influenze, ascoltavamo altre cose.
Il titolo “Shitdisco” da dove viene? Ho letto il testo ma non mi pare che c’entri molto…
Andrea: È un omaggio al primo decennio degli anni Duemila, gli Shitdisco sono un gruppo scozzese che ascoltavamo molto anni fa. Ci è sempre piaciuta la scena New Rave…
Confesso la mia totale ignoranza, non li avevo mai sentiti nominare…
Simone: Non sono molto famosi, non credo siano in molti a conoscerli in effetti, però all’epoca avevano fatto un po’ di rumore…
Invece i vostri ascolti ai tempi dell’ultimo singolo? In generale, in che modo quello che ascoltate vi influenza nella scrittura?
Francesco: Gran parte degli spunti li prendiamo da quello che ascoltiamo ma non nel senso di prendere idee a livello melodico. A noi piace molto lavorare sui suoni, di Synth o sulla voce, anche solo vedere i live, per vedere che strumenti usano per ottenere un certo tipo di suono e cercare di adeguarci. Per noi è un grande stimolo ascoltare altri gruppi, ci piace vedere come lavorano, leggiamo anche le loro interviste per capire come fanno a fare certe cose e ci proviamo anche noi. In questo modo impariamo molto perché, registrando sempre a casa, abbiamo parecchio tempo per sperimentare.
Simone: Come ispirazione dell’ultimo singolo abbiamo preso artisti come Metronomy, Blood Orange, queste cose qui.
Andrea: Ora invece siamo più sul versante Pc Music, artisti come 100 gecs e SOPHIE, roba molto di nicchia, eh!
Tranquillo, in questo caso so di cosa parlate (risate NDA)
Simone: Sì, poi può darsi che da qui a qualche mese ci saremo spostati su cose ancora diverse…
Mi piacerebbe capire un po’ come componete: fate un genere dove l’elettronica ha un grosso peso per cui mi chiedo se per voi è più importante trovare una linea melodica oppure concentrarsi sulla produzione…
Francesco: Quando partiamo con una canzone abbiamo una bozza di giro melodico, mai arrangiato, grezzo e spesso anche incompleto. Il grosso del lavoro sta nella produzione. Non componiamo in sala prove, ci troviamo nello studio che abbiamo qui a casa nostra e boh, diciamo che spesso le varie fasi del lavoro vanno in parallelo…
Simone: Ad esempio cercare dei suoni sui sintetizzatori o sulle chitarre…
Andrea: Poi magari trovare un suono ci dà la possibilità di riarrangiare una parte o magari anche di riscriverla.
Francesco: L’ultima cosa è sempre la voce, prima facciamo tutta la base e poi inseriamo la voce, magari anche sbagliando perché non è sempre facile inserirla su una base già finita.
Andrea: In studio proviamo tutte le idee che abbiamo e pian piano costruiamo ogni piccola parte della canzone e quando più o meno è fatta tutta, bisogna mettersi lì a tavolino e decidere cosa eliminare e cosa tenere perché c’è sempre davvero tanta roba!
Che cosa comporta portare tutto questo dal vivo? Nonostante tutti i pregiudizi che ci possono essere sulla scena elettronica, ho avuto l’impressione, vedendovi, che voi sul palco suoniate davvero e abbiate anche una marcia in più, rispetto alla versione in studio…
Francesco: Portare live quello che facciamo è un casino! Spesso dobbiamo metterci lì a tavolino a decidere le varie parti. Finora abbiamo cercato di suonare tutto quanto dal vivo, i campionatori sono suonati da Simone e Andrea, abbiamo una nota su ogni tasto e non abbiamo nessuna base pre registrata. Finora abbiamo fatto così ma andando avanti ci rendiamo conto che è dura perché le nostre canzoni hanno dentro diversi Synth e per forza di cose siamo costretti ad usare campionatori, ci portiamo dietro tre o quattro tastiere. Per il momento teniamo così, poi vedremo con le canzoni nuove!
Andrea: Sì, la produzione diventa sempre più stratificata, c’è da trovare il giusto compromesso su cosa suonare e cosa sacrificare, cercando sempre di mantenere un impatto figo!
L’impatto sicuramente c’è! Avete una componente Disco molto forte e la vostra è sicuramente musica per ballare…
Francesco: Ci piace far ballare, far casino, siamo contenti quando la gente balla. Cantare le nostre canzoni è difficile, vuoi perché i testi sono in inglese, vuoi perché di solito nemmeno li pubblichiamo.
Simone: Anche perché poi, essendoci la cassa dritta su quasi tutti i pezzi, ci auguriamo che il pubblico si muova!
Tornando al nuovo singolo, mi piace molto che abbiate tirato in ballo Pirandello, per mettere l’accento su un certo tipo di società dell’apparenza che stiamo vivendo. Che poi colpisce, perché Pirandello un secolo fa diceva le stesse cose quindi forse cambia la forma ma in fin dei conti il tema di fondo rimane lo stesso, no? Ciascuno tende a dare un’immagine di sé che non per forza corrisponde a quello che è veramente…
Francesco: Il testo è uscito di getto, solo quando lo abbiamo finito ci siamo resi conto di che cosa parlasse davvero. Al momento di comporre avevamo solo in mente l’immagine, vista mille volte, di una ragazza che si mette in mostra e ci abbiamo fatto un testo sopra. Solo in seguito ci siamo resi conto che poteva essere più profondo di quello che pensavamo. Da un certo punto di vista, non è nemmeno una critica, è più che altro un riportare una certa situazione attraverso una descrizione, in quei momenti di lucidità in cui vedi che la gente si mette in mostra, in cui capisci che quello che vedi è semplicemente fatto di apparenze che non hanno sostanza.
Simone: Non è una critica e non proponiamo neppure una soluzione, visto che probabilmente anche noi facciamo lo stesso, in certe situazioni. Siamo arrivati ad un punto in cui c’è davvero un tale mischione tra quello che sei e quello che mostri, che non è neanche più possibile distinguere tra le due cose. Nessuno sa bene capire se sta facendo una cosa perché si sta mettendo in mostra oppure perché lo vuole davvero. Oppure uno può volere mettersi in mostra perché quello è il suo carattere e non ci sarebbe nulla di male. Ce l’abbiamo dentro tutti, poi magari ad alcuni viene meglio, altri invece risultano più falsi. Ma non c’è un significato preciso in questo testo, sta ad ognuno trovarne uno, se proprio vuole.
Siete abbastanza anomali all’interno della scena italiana, considerando anche il fatto che nel nostro paese non c’è mai stata una grande fantasia, si suona di solito solo quello che va di moda. Anche solo che veniate definiti come un progetto “internazionale” fa un po’ ridere, come se l’Italia esprimesse di solito progetti che possono funzionare solo in Italia…
Francesco: Non abbiamo mai ascoltato musica italiana se non di sfuggita, quando passa alla radio…
Andrea: Non riusciamo davvero a collocarci nella scena che c’è ora in Italia…
Francesco: Abbiamo sempre ascoltato roba di qualsiasi tipo ma non italiana, abbiamo sempre fatto quello che ci veniva, senza pensarci troppo. Poi in realtà qualche artista nostro connazionale che fa roba “strana” c’è: ultimamente, ad esempio, stiamo ascoltando molto Lorenzo Senni. Anche qui abbiamo artisti che hanno la fantasia di fare cose particolari, diverse da quello che va per la maggiore, probabilmente non si trova uno sbocco, non c’è pubblico e quindi o finiscono oppure vanno all’estero…
Infatti credo che Lorenzo, al di là che incide per la Warp, abbia la sua attività principale fuori dai nostri confini, così come Caterina Barbieri, che vive a Berlino…
Francesco: Sì certo, anche lei. Non conosco la loro storia ma credo che abbiano faticato non poco per emergere da noi e alla fine sono più noti in altri paesi. In Italia ci sono gruppi che fanno cose fighe ma poi, inevitabilmente, molti si spostano su proposte che danno maggiore visibilità. Non so, forse non è colpa degli artisti ma del pubblico, della cultura musicale che c’è da noi…
Oltretutto voi siete di Vicenza, che non è esattamente in posizione favorevole, all’interno di un paese dove il grosso della scena si muove attorno alle solite tre-quattro città…
Francesco: Principalmente suoniamo fuori regione, soprattutto in Lombardia. In Veneto ci sono dei bei festival estivi ma non ci sono poi così tanti posti dove suonare. Per quanto riguarda i gruppi, devo dire che ultimamente ho un po’ perso i contatti, non me ne viene in mente nessuno…
Simone: i Post Nedia?
Sì loro! Sono padovani, molto bravi! Ma in generale a Padova c’è una bella scena, spingono molto.
Dovevate andare al SXSW di Austin ma poi è stato cancellato come tutto il resto… siete invece poi stati a Varsavia?
Sì, l’anno scorso, al Liveurope Open Air! È stato molto divertente! C’era un main stage enorme e poi un palco piccolo dove facevano suonare tutti i gruppetti europei. Una gran bella iniziativa devo dire, bello che, pur avendo un contesto così grande, dessero spazio a così tanti gruppi sconosciuti da tutta Europa…
Come la vedete questa ripresa? Qualche concerto è già in programma nei prossimi mesi: formula ridotta ma è già qualcosa…
Francesco: Non saprei. Ovviamente se ci chiamassero, noi suoneremmo! Penso però che dovrà passare ancora qualche mese prima che si possa iniziare veramente, probabilmente solo l’anno prossimo si potrà tornare a lavorare ai ritmi di prima. Speriamo comunque si risolva il tutto il prima possibile anche perché fare concerti con pubblico dimezzato o ancora più ridotto, la trovo una cosa molto triste…