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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
28/10/2020
Bonetti
Le interviste di Loudd
“Qui” è finalmente uscito ieri, 27 ottobre, qualche settimana fa è stata anticipata “Camionisti”, opener del lavoro, accompagnata da un video di rara bellezza, che è oltretutto riuscito a cogliere alla perfezione la poetica dell’artista torinese. la seconda parte della nostra chiacchierata: chi non avesse recuperato la prima, si consiglia di partire da quella (trovate il link all'interno dell'articolo).

I tempi che stiamo vivendo ci obbligano a fare scelte un po’ particolari. Per esempio, intervistare un artista due volte a cinque mesi di distanza l’una dall’altra. È successo che “Qui”, il terzo lavoro in studio di Bonetti, sarebbe dovuto uscire in primavera ma poi, complici le circostanze, è slittato tutto in autunno, con l’eccezione di due brani, “Non ci conosciamo più” e “Siamo vivi”, usciti come singoli tra aprile e maggio. Il disco intero ce l’avevo già da tempo ma, per ovvi motivi, nella nostra prima chiacchierata ci siamo concentrati solamente su quelle due canzoni. Adesso è finalmente arrivato il momento di parlare del resto: “Qui” è finalmente uscito ieri, 27 ottobre, qualche settimana fa è stata anticipata “Camionisti”, opener del lavoro, accompagnata da un video di rara bellezza, che è oltretutto riuscito a cogliere alla perfezione la poetica dell’artista torinese.

Il quale, a cinque anni dall’esordio discografico, ha raggiunto un livello decisamente invidiabile. “Qui” è un disco di una bellezza rara, con un livello altissimo nella scrittura (in questo migliora davvero ad ogni uscita) ma anche ricchissimo musicalmente, con un lavoro notevole da parte della solita coppia Fabio Grande/Pietro Paroletti (col primo che si è occupato della produzione e il secondo che ha suonato diversi strumenti in studio) che si è messa al servizio delle idee di Bonetti tirando fuori un suono avvolgente e stratificato, che valorizza la dimensione autoriale di Maurizio aggiungendo allo stesso tempo una componente strumentale unitaria e profonda, tipica dei grandi dischi degli anni ’70. Ne parleremo meglio in sede di recensione ma nel frattempo possiamo dire che sarebbe un vero peccato se questo album non facesse il botto. Intanto qui c’è la seconda parte della nostra chiacchierata: chi non avesse recuperato la prima, si consiglia di partire da quella (la trovate qui).

Partiamo dal video di “Camionisti”: dopo parecchio tempo che la canzone girava nei miei ascolti, ho avuto la possibilità di vedere anche delle immagini di accompagnamento e devo dire che l’effetto è splendido! Si tratta davvero di un mezzo capolavoro, una summa ideale di tutta la tua poetica,

Mi fa molto piacere vedere associata la mia poetica a quel video perché anche secondo me è veramente pazzesco. Edoardo (Rubatto NDA) e Gianluca (Mamino NDA) sono bravissimi ma si sapeva già perché abbiamo lavorato insieme per “Correre forte” e “Gerani”. Ci conosciamo da vent’anni, andavamo al liceo insieme, non ci siamo mai persi di vista e credo che questo abbia aiutato a rendere così compatto il video, così aderente nell’estetica al tema del brano. Del resto avevano ricevuto il pezzo da tempo, sin dalla prima versione demo, gliel’avevo fatto sentire in amicizia, senza parlare per forza del lavoro che avremmo fatto. Hanno quindi avuto modo anche loro di seguire l’evoluzione di tutto il disco, di seguirlo passo passo con me. Dopodiché, hanno fatto un lavoro pazzesco, uno dei rari casi in cui un video prende per mano la canzone e le due parti si completano a vicenda. Sono stati anche bravissimi nella lavorazione in sé: mentre giravamo non mi hanno mai detto nulla, io non sapevo bene che cosa sarebbe successo, che cosa avevano in mente, e poi si sono presentati una settimana dopo con la versione quasi definitiva, segno che invece loro le idee ce le avevano molto chiare! Sta piacendo molto, ho ricevuto tanti complimenti, sono uscite tante belle recensioni. Mi mette in imbarazzo dire così perché è un lavoro fatto su una mia canzone ma ti assicuro che direi le stesse identiche cose se si trattasse del pezzo di un altro perché loro sono stati davvero bravissimi!

C’è anche molta ironia, in questo video e trovo espliciti un aspetto che nel brano c’è ma si vede meno. È un’ironia utile a rendere più umana, più prosaica quella narrazione che tu fai nella canzone: in particolare quel pezzo in cui quello che dici tu nel testo è messo in contrasto coi pensieri della ragazza, riprodotti in sovraimpressione…. E poi c’è questa immagine dei camionisti, che non è propriamente la cosa più epica che si possa associare alla tematica del viaggio e che il video fa risaltare ancora di più…

Sono d’accordo, la cosa bellissima del video è l’ironia e il surrealismo che vengono fuori. Sono contento che si veda perché io l’ironia ce l’ho sempre avuta, sin dalle prime canzoni, ma ascoltando questo disco si potrebbe avere l’impressione che l’abbia persa un po’ per strada (per dire, non c’è un brano come “Tom Petty & The Heartbreakers”). In realtà c’è sempre, la maschero semplicemente di più per renderla meno evidente; anche perché, detto molto sinceramente, questa ostentazione che ne ha fatto la canzone pop degli ultimi anni ha francamente rotto le palle (Ride NDA)! Io ad un certo punto chiamo l’interlocutore del testo “Culona mia”: è un’ironia filtrata e trovo che abbia senso in quel contesto; così come ha senso l’immagine dei camionisti, perché volevo sì fare una riflessione su quella che era la mia vita  nel momento in cui ho scritto il pezzo, però sporcandola con quegli elementi, non dico “della strada” perché fa molto rapper (ride NDA) ma di vita vissuta, di tutti i giorni; in quest’ottica, credo, l’immagine del camionista può essere molto poetica, si sposa con quell’immagine, forse un po’ scontata ma vera, per cui in certi periodi della nostra vita ci dobbiamo mettere sulla strada, dobbiamo vedere che cosa abbiamo nel bagagliaio e soprattutto, che cosa ci manca. Perché andiamo avanti? Cosa ci spinge ad andare avanti? Forse proprio la ricerca di qualcosa che ci manca. E allora davvero siamo come i camionisti, con i camion mezzi carichi, vuoti, o forse fin troppo carichi di merci inutili, che vanno scaricate per far spazio ad altro.

Trovo per altro che sia la canzone che fotografa meglio il disco, quella che mette più di tutte in primo piano la maturazione che hai fatto come autore. C’è una grande cura nei testi, coi dettagli che sono magnifici, molto ben rifiniti e tu sai che per me il grande scrittore non è quello che racconta la grande storia ma quello che sa rendere grandiosa quella normale, quotidiana. E poi a livello musicale è molto piena, molto coraggiosa anche nella durata, nella struttura: riflette in modo ideale un disco che va ascoltato dall’inizio alla fine, dove l’insieme ha più senso delle canzoni prese singolarmente…

Ti ringrazio per i complimenti, innanzitutto! Sono d’accordo con quello che dici su “Camionisti”: nonostante l’azzardo di fare uscire un singolo da sei minuti, abbiamo voluto tenerlo come terzo singolo perché rappresenta proprio la porta del disco e non solo perché è il primo brano in scaletta ma anche perché introduce a livello tematico tutto quello che seguirà. D’altronde, non appena l’ho scritta mi sono reso conto di avere fatto qualcosa di diverso, si è trattato di un piccolo punto di non ritorno, tanto è vero che le canzoni che sono venute dopo ne hanno subito molto l’influenza, dal punto di vista della struttura. Ci sono elementi che ritornano, a livello di frasi ritmiche, di riff, che più o meno esplicitamente si richiamano tra loro…

Sì, mi ha ricordato un po’ i grandi dischi degli anni ’70, più come intenzioni che come sonorità…

Se ti riferisci al Prog è vero, nonostante non sia un genere che ascolto particolarmente. Scrivendo però ho sempre avuto presente che volevo fare un disco con i pezzi che dialogassero tra di loro, per cui sono contento che tu mi dica che ha più senso se ascoltato dall’inizio alla fine. Si è trattato anche di una presa di posizione rispetto a quello che è uscito in questo periodo…

In che senso?

Sono veramente stanco di come viene bistrattato il Pop ultimamente. Oggi “Pop” sembra quasi una parolaccia ma se penso a che cos’è veramente il Pop, mi vengono in mente Phil Spector, Brian Wilson, gente che ha cercato di portare la musica ad un livello alto, cercando allo stesso tempo di essere accessibile a tutti. C’è come un doppio livello di ascolto: c’è chi si ferma ai ritornelli ma se lo esamini da un punto di vista più complesso, “Pet Sounds” dei Beach Boys, per dirne uno, non è più solo un disco di canzoni Pop, è un’opera sinfonica aggiornata ai tempi in cui è uscita. Il Pop degli ultimi anni invece, nella sua quasi totalità è intrattenimento, non è arte. Ora, io non voglio darmi delle medaglie perché il disco verrà giudicato da altri, però è vero che quando mi sono messo a pensare a che cosa volessi fare (fino ad un certo punto, perché poi è uscito tutto piuttosto spontaneamente) mi sono detto che volevo una cosa facile, non complicata artificiosamente ma che non fosse superficiale. Quindi direi che il Prog è stato un riferimento non tanto dal punto di vista artistico, quanto di presa di posizione. Non mi sono posto molti paletti ma mi sono lasciato andare, uscendo dal canonico schema “strofa-ritornello-pezzo da tre minuti”.

Quindi quando sei andato da Fabio Grande e Pietro Paroletti avevi già il disco pronto? Io pensavo che l’idea di mettere così tante parte strumentali fosse stata loro…

No anzi, me ne hanno pure tagliate parecchie (ride NDA)! È giusto così, sono dei maestri nel loro lavoro ed in quello che fanno è richiesto anche sapere quando e dove tagliare. Comunque sì, ho consegnato a Fabio Grande dei provini fatti in casa, con una struttura molto simile a quella che è poi venuta fuori (parlo di struttura, perché poi a livello di suoni e produzione ci ha messo tantissimo di suo), compresi anche i collanti strumentali tra le varie parti.

In effetti la produzione è sontuosa, gli arrangiamenti sono molto stratificati, c’è dentro un sacco di roba… hai indubbiamente fatto il tuo disco migliore ma non è un lavoro semplice, pur durando solo mezz’ora, richiede un certo tipo di ascolto…

Si tratta proprio di quel non voler mettere paletti di cui ti parlavo ora e sono contento di quello che è venuto fuori. Basterebbe dire questo: “Camionisti” è uscita da pochi giorni e nonostante il minutaggio elevato ha raccolto un sacco di pareri positivi, soprattutto di gente che, da quello che ha scritto, sembrerebbe abbia fatto un lavoro attento di ascolto. Diciamo che per trovare la semplicità bisogna faticare un po’, ecco!

Tra l’altro, se guardiamo indietro, hai fatto tre dischi, non solo uno meglio dell’altro ma anche uno diverso dall’altro. Non è una cosa banale…  

Ho cercato ogni volta di fare la cosa più sincera per me, di tirarmi su le maniche, di migliorarmi incessantemente, quindi è naturale che con gli anni, facendo un percorso, si cambi. Il punto è fare le cose per se stessi, senza fare troppi calcoli e senza l’ansia di inseguire quel che va di moda per poter piacere a più gente possibile…

Il disco s’intitola “Qui” e nelle canzoni ripeti più di una volta che quando vai in un posto nuovo, ti domandi come sarebbe passarci tutta la vita. Mi ha colpito perché è una domanda che mi faccio spesso anch’io, che sono attirato più dai luoghi anonimi piuttosto che dalle grandi location dal valore turistico. Inoltre “Qui” mi pare un titolo particolarmente azzeccato per descrivere quello che sta succedendo. Voglio dire, dopotutto siamo chiamati solo a vivere il presente, no?

È il disco in cui mi sono aperto di più, ho scavato dentro me stesso come mai avevo fatto prima. È difficile da spiegare però è vero quello che dico nella canzone: quando vedo un posto nuovo mi faccio sempre quella domanda, probabilmente se venissi a casa tua sarebbe lo stesso (ride NDA)! E questa cosa, che mi sono tenuto da sempre dentro, adesso l’ho esplicitata al punto che non mi sono limitato a dirlo, che so, a mia sorella, ma ci ho addirittura fatto un disco! Poi in realtà, tu lo sai bene, uno scrive delle canzoni e queste escono anni dopo: il lockdown ha permesso di realizzare una sorta di tridimensionalità di questo pensiero perché quei mesi li ho passati con la mia compagnia a Milano in un locale di 27 metri quadrati, direi che più “qui” di così si moriva! Ora, non voglio dire queste cose mancando di rispetto a chi ha vissuto drammi enormi però davvero, nel mio piccolo, il lockdown ha permesso l’incarnarsi di questo pensiero che mi porto dietro sin da piccolo. Al di là di questo, il titolo è venuto fuori in maniera spontanea, ma è una parola che mi piace molto, che è molto breve ma che ha anche molteplici significati. Trovo che rappresenti la fotografia migliore di tutto quello che dico nel disco. Quindi mai prima d’ora è stato così semplice trovare un titolo!

Mi ha colpito molto anche “Ceretta”, sia per l’immagine anche qui, come in “Camionisti”, molto prosaica e in un certo modo ironica, e poi per quella frase che fa più o meno: “Son quarant’anni che piove ma tra poco esce il sole”… che poi è lo stesso sole di cui canti in “Siamo vivi”… mi sembra ci sia un certo filo rosso di speranza, ecco.

Sai che non ci avevo pensato, a questo collegamento?

Eh ma noi critici serviamo a questo (risate NDA)!

È nata come fotografia di un pomeriggio a casa, del rapporto con la mia compagnia… che poi mi sa che dopo quest’intervista mi odierà, la chiamo “culona” in un pezzo, parlo della sua ceretta in un altro (risate NDA)…

Comunque è un pezzo sulla vita che entra nelle stanze quotidiane, dice che c’è una bellezza anche nell’aspettare che piova e nell’uscire a farsi una passeggiata dopo una giornata di lavoro. Poi sì, “sono quarant’anni che piove ma quando smette andiamo a fare le sgommate”, che è la cosa più liberatoria che si possa fare, no?

“Qui” è uscito ieri, dopo essere stato più volte rimandato a causa del Covid. Come ti senti? Voglio dire, uno si tiene dentro un album così bello per un sacco di tempo e finalmente ha modo di condividerlo con tutti…

Mi sento benissimo! Già solo dire che, in Italia, uno prova a vivere di musica è una cosa grandiosa, per niente scontata. Poi è chiaro, dal punto di vista pratico le cose sono difficili. Ci ho lavorato per due anni, assieme alle persone che mi aiutano, per cui adesso avrei voglia di godermi la festa, di partire carico a mille, invece c’è questa situazione per cui non si sa cosa si potrà fare, alcune cose si sa già che non si faranno, non ci saranno  i festival, so già che non potrò andare in giro con la band, che molto probabilmente girerò da solo… insomma, un panorama di incertezza che chiaramente non sarà facile da gestire. Poi, se uno vuole vedere il bicchiere mezzo pieno, magari stando più a casa, ci sarà la possibilità che il disco venga ascoltato di più, che venga metabolizzato a dovere. Certo, io sono uno di quelli che vorrebbe portarlo in giro coi concerti ma se non si potrà fare niente, cercherò lo stesso di mantenerlo in vita il più a lungo possibile.

Sono positivo, in sintesi: dopo tutto appartengo ad una categoria che non è che quando le cose andavano bene fosse poi molto considerata (ride NDA)! Spero che questo disco venga ascoltato il più possibile, che abbia un senso per le altre persone, così come lo ha avuto e lo ha per me.

Sai, comunque si tratta di un disco fatto in studio, dove il lavoro di produzione ha una grande importanza, è vero che va ascoltato. Quindi dal vivo potrebbe far bene che ci sia una cosa diversa, potrebbe essere auspicabile che le canzoni siano arrangiate diversamente e in questo senso il fatto che tu sia da solo sul palco potrebbe essere un buon punto di partenza…

Sì, ci sto lavorando proprio in questi giorni, sto provando a tirare in piedi un set che renda giustizia all’album, vedremo come andrà!


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