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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
09/07/2020
Apice / svegliaginevra
Le interviste di Loudd
La conversazione che state per leggere nasce da qui ma anche dal fatto che la settimana prima sia Apice sia svegliaginevra hanno pubblicato un nuovo singolo: per l’artista spezzino “Precipitare” rappresenta il primo inedito dall’uscita di “Beltempo”, lo scorso dicembre; per Ginevra, che è originaria di Benevento ma che al momento vive a Roma, “Come fanno le onde” è un ulteriore passo nel cammino verso il disco d’esordio, che potrebbe arrivare nei prossimi mesi.

Non ci è dato sapere se La Clinica Dischi diventerà un punto di riferimento per la scena musicale italiana, andando ad affiancare nomi imprescindibili come La Tempesta, Bomba Dischi, Maciste, Asian Fake. Di sicuro però c’è che lo spirito che anima questa piccola realtà di La Spezia, attiva dal 2014, è quello che si respira laddove c’è un’autentica passione per il proprio lavoro ed una sorta di vocazione a far conoscere quegli artisti in possesso dei numeri adatti per poter recitare un ruolo di primo piano in futuro. È una piccola famiglia di amici che fa tutto da sola, occupandosi da vicino di tutti i processi di lavorazione di un disco, dalla produzione alla distribuzione fino all’ufficio stampa. Evidente il tentativo di creare un marchio di fabbrica, un patto di fiducia col proprio pubblico dove però, attenzione, ogni singolo artista conserva la propria identità. Esiste un roster de La Clinica, certo, ma esso non è riconducibile ad un genere definito, anche se è evidente la predilezione per uno spettro di sonorità che possa più facilmente inserirsi nel discorso evolutivo di questi ultimi anni.

E che siano una famiglia lo si vede anche dall’esigenza di creare crossover tra i vari artisti che ne fanno parte: Apice e svegliaginevra non hanno lo stesso background e non fanno le stesse cose, il primo più orientato verso un cantautorato dalle venature Pop, la seconda più vicina all’elettronica, sulla scia di cmqmartina (al momento il loro progetto di maggior successo, ne ho parlato qui a febbraio) ma con risvolti più intimi e contemplativi. Eppure tra loro c’è una sintonia artistica profonda, che li ha portati a scrivere assieme un brano, “Barche”, che è uscito proprio nel momento in cui state leggendo queste righe e che rappresenta la perfetta fusione di entrambe le loro proposte.

La conversazione che state per leggere nasce da qui ma anche dal fatto che la settimana prima sia Apice sia svegliaginevra hanno pubblicato un nuovo singolo: per l’artista spezzino “Precipitare” rappresenta il primo inedito dall’uscita di “Beltempo”, lo scorso dicembre; per Ginevra, che è originaria di Benevento ma che al momento vive a Roma, “Come fanno le onde” è un ulteriore passo nel cammino verso il disco d’esordio, che potrebbe arrivare nei prossimi mesi.

Si è parlato di questi tre pezzi ma è stata anche l’occasione per conoscerli meglio e capire da dove ha preso il via tutto.

Partiamo dall’inizio: presentatevi e raccontate come avete iniziato…

Ginevra: Sono arrivata a questo progetto dopo vari tentativi con band in lingua inglese e di impostazione rock. Ho fatto due anni in Australia, anche per il fatto che nel frattempo mi ero messa a fare cose più elettroniche, tipo Massive Attack e in Italia questo genere non funziona. Stando lontana però, la nostalgia di casa si è fatta sentire e con essa anche la voglia di iniziare a cantare nella mia lingua. Sono tornata e quasi subito ho incontrato La Clinica: attraverso Instagram ho scoperto la musica di Manuel e di Marti (Apice e cmqmartina NDA) e da lì mi sono messa a scrivere quasi ogni giorno a Milo e agli altri, facendo loro i complimenti per l’etichetta. A quel punto lui mi ha chiesto: “Ma perché non ci mandi qualcosa di tuo?” E da lì è nato tutto.

Fai musica da tanto?

Ginevra: Praticamente da quando avevo dieci anni. Ovviamente i primi pezzi erano molto Emo, legati a quello che ascoltavo all’epoca. Scrivere mi ha sempre aiutato molto, sono cresciuta anche grazie all’analisi che ho fatto della mia scrittura, delle mie canzoni. Poi nello specifico, subito dopo il liceo mi sono trasferita a Roma per studiare musica: era la cosa che più mi piaceva e, siccome avevo sempre avuto una formazione da autodidatta, tanto valeva studiarla seriamente! Dopo il diploma mi sono trasferita a Chichester, in Inghilterra, dove ho frequentato una scuola privata.

E tu, Manuel?

Apice: Io sono stato per lo più a La Spezia (risate NDA) ma se andiamo a contare tutti gli spostamenti che ho fatto a Napoli per andare a trovare mio padre, ho coperto tutto il globo terraqueo, altro che Australia (ride NDA)! I miei sono divorziati da quando avevo due anni e quindi per tutta la mia vita mi sono sparato queste otto ore di treno da La Spezia a Napoli, a livello di sdoppiamento è stata una bella esperienza! Per quanto riguarda la musica, ho iniziato a suonare il pianoforte da piccolo, i miei genitori, ma soprattutto i miei nonni, avrebbero voluto che diventassi un musicista classico o un medico, mentre io ho deciso di diventare un musicista dilettante e di studiare al DAMS quindi direi che non ho proprio soddisfatto le loro aspettative (ride NDA) ma comunque sono molto contento! Poi in realtà non è neanche così vero perché mia madre mi ha sempre abbastanza incentivato in queste mie follie occupazionali!

Quindi ora stai a Bologna?

Vivo lì da cinque anni ma in questi mesi sono tornato a La Spezia, dove mi trovo tuttora. In realtà poi la mia scelta di Bologna è stata più legata alla città piuttosto che all’università: io sono cresciuto col cantautorato, ho avuto un percorso opposto rispetto a quello di Ginevra e tuttora è così, perché a parte la scena Prog inglese, ho dei buchi spaventosi sulla musica estera! Non sono mai stato un bambino socievole: sono sempre stato piuttosto timido e poi certo la mia calvizie precoce non ha aiutato (ride NDA)! Calvizie, mi sembra utile sottolinearlo, dovuta all’ascolto prolungato, sin dalla tenera età, di Guccini, De André e tutta sta gente qua. Bellissimo, eh! Ma probabilmente ascoltati a 13 anni provocano danni irreparabili (risate NDA)! Probabilmente è successo che, non trovando canali espressivi altrove, ho cominciato a scaricare tutto nella musica, sempre con questo legame stretto  con la lingua italiana. Ho fatto il liceo classico e poi, innamoratissimo di Guccini e di Dalla, ho deciso di andare a Bologna. Poi Guccini non viveva più a Bologna da tempo, Dalla era morto da due anni, quindi direi che come tempismo non è stato il massimo… (risate NDA). A parte questo, Bologna mi ha scioccato e anche un po’ deluso…

Come mai?

Penso che sia io che Ginevra facciamo parte di una generazione un po’ strana, priva di un’identità consolidata e che di conseguenza tende a radicarsi in esperienze che non ha vissuto. Non so, a me affascina molto il ’68, gli anni ’70, mi rifugiavo in questa sorta di idealizzazione di quest’epoca e quindi anche di Bologna. La quale, puoi immaginare, non è certo più la stessa città che era all’epoca! A livello musicale comunque, il grande scarto è avvenuto nel momento in cui, a partire dalle mie canzoni, che riflettevano sempre quel cantautorato a cui mi rifacevo, sono entrato nel giro de La clinica, che poi è un’etichetta della mia zona.

Parliamo dei vostri nuovi singoli e partiamo da “Precipitare”: per quanto il tuo precedente disco mi fosse piaciuto molto, questo brano mi sembra un passo avanti, soprattutto dal punto di vista melodico, il ritornello ad esempio è bellissimo e il tutto suona molto Pop. Nonostante tu abbia appena spiegato le tue origini, mi pare che tu abbia sempre avuto un certo gusto per la melodia, c’è una grossa componente Pop nella tua musica, ovviamente lo dico in senso positivo, visto che sono un grande fan del Pop…

Apice: Ti ringrazio per avermi detto che sono Pop, per me si tratta di un risultato non da poco (risate NDA)! Bisogna smetterla di utilizzare questa parola in senso negativo! Per quanto mi riguarda, o fai Pop o sei un bugiardo! Recentemente, scusa se divago ma secondo me c’entra, ho visto questa intervista doppia tra Nanni Moretti e Mario Monicelli, che la Rai aveva mandato in onda negli anni Settanta. Si tratta di uno “scontro” tra due registi famosi, il primo che è una sorta di simbolo di quella “rivolta Indie” che la generazione mia e di Ginevra hanno vissuto; il secondo è invece più associato ad un certo tipo di Pop, se possiamo dire. E nell’attaccare Monicelli (secondo me più per partito preso che per un vero senso della propria identità), Nanni Moretti gli dice: “Ma cos’è questa sete di arrivare a tutti, di essere obbligatoriamente popolare, che si sente nei tuoi film, il voler raggiungere per forza un pubblico di massa?” e Monicelli, che evidentemente non faceva questi distinguo un po’ ideologici tra pubblico di massa e pubblico di nicchia, risponde: “Se ho un’idea, la voglio comunicare con un linguaggio che sia accessibile al più vasto numero di persone possibili. Io non faccio arte per il gusto di pochi ma perché ho l’esigenza di comunicare qualcosa.”. Ecco, secondo me questa è un po’ la stessa cosa di chi oggi si lamenta perché il linguaggio è mutato, perché l’Indie è diventato il nuovo Pop, il nuovo Mainstream… ma la verità è che tutti quanti noi che facciamo musica dobbiamo confrontarci con un mercato e con una proposta che funziona meglio di altre. Il punto, semmai, sarà di bilanciare bene il compromesso. La vera sfida cioè non sta nel fare qualcosa di “out” ma del fare qualcosa di “in”, però con una mentalità che la renda davvero speciale, divergente.

Credo che con questo pezzo tu ci sia riuscito, visto che è un brano che rappresenta un po’ la summa della tua scrittura. Che posto occupa all’interno del tuo percorso? Te lo chiedo perché nelle note stampa lo hai presentato come se fosse una sorta di “nuovo inizio”…

Apice: Alla fine dell’anno scorso era uscito il mio primo disco, dove io avevo messo dentro tutto quanto avevo fatto nel periodo precedente, uno stadio quasi finale di un certo tipo di evoluzione che avevo intrapreso da quando ho iniziato a scrivere e a ricercare la mia forma. Pubblicato quel disco, che ha rappresentato per me anche una sorta di terapia, mi sono sentito come svuotato. Sentivo come la paranoia di aver creato un precedente: il disco non mi piaceva (io sono il peggior critico di me stesso) e sentivo già tutta la pressione di dover scrivere qualcosa che mi avrebbe convinto di più. Poi io sono poco prolifico, perché quando mi metto a lavorare su un’idea, penso che o ne esce un pezzo finito oppure la pianto lì, non tollero fallimenti, probabilmente perché ho un’autostima molto fragile. Poi però durante la quarantena si è fermato tutto, e anch’io ho avuto più tempo per riflettere, per lavorare, senza dovermi sentire in colpa…

In che senso?

Apice: Lo descriverei come un senso di straniamento: c’era tutto il paese fermo per cui, a maggior ragione, mi è risultato più facile stare in casa a scrivere le mie canzoncine. Durante quel periodo dunque è venuta fuori un sacco di roba, tra cui anche “Precipitare”, che non ha direttamente a che fare con il CO-VID ma che in parte riflette la condizione che stavo vivendo. Per me era importante gettare un sasso che fosse sufficientemente pesante, sono quindi contento di esserci riuscito, visto che anche a me questo è un pezzo che piace molto. Quindi, per rispondere alla tua domanda, direi che se domani decidessi di entrare in studio, un disco da registrare ce l’avrei e penso che ne sarei anche soddisfatto! Poi però le cose cambiano e non so dirti se, quando effettivamente questo disco uscirà, ci saranno dentro tutte le canzoni che ho scritto in questo lasso di tempo…

È un pezzo abbastanza generazionale, o sbaglio? Mi sembra dipinga il quadro di una generazione spaventata, bloccata…

Apice: Non sono così profetico e nemmeno capace per scrivere un pezzo di questo tipo quindi direi che non è stato questo il mio intento. Allo stesso tempo però mi sento molto calato all’interno della mia generazione, non avverto un sentimento di divergenza da essa. Mi sento un giovane uomo del mio tempo, con i drammi che vive uno del mio tempo. Credo che ciò che emerge da “Precipitare” sia il pensiero di essere sempre sul punto di cadere giù, ma non va inteso in senso negativo. Voglio dire, nel momento in cui precipiti perché ti stai buttando dal balcone è un conto, ma se lo fai perché sei Icaro che con le sue ali di cera ha tentato di raggiungere il sole, allora in questa azione c’è un certo tipo di eroismo. Sono consapevole che quello che sto facendo non mi salverà dal mio tempo ma il fatto di cadere perché ci sto provando dà a tutto questo un contenuto molto diverso. Poi sono anche stufo di sentire, come ho fatto anche in questa quarantena, canzoni che anestetizzano il dolore. In questi mesi ho ascoltato tantissimo Giorgio Canali, che è poi è anche uno dei motivi per cui il brano si chiama “Precipitare”…

In effetti stavo per chiederti se ci fossero dei legami, perché la sua influenza, nel testo, si sente parecchio…

Sono quelle cose non pensate a priori, che vengono fuori in maniera spontanea. A me Canali piace tantissimo, perché è all’estremo opposto rispetto a quella “terapia del dolore” che condannavo prima. Per lui tutto è nero, deve rimanere nero e c’è un’eroica negazione nel volere che tutto rimanga così. “Sereno è e se non sarà sereno tanto meglio” dice nella canzone. Oppure “Nel blu dipinto di merda”. Ecco, io non mi sento come lui e spero anche alla sua età di non essere così anche se lo amo tantissimo. “Precipito” per me è proprio un inno, però rappresenta probabilmente più la sua generazione…

È un pezzo molto cinico, anche, mentre invece nel tuo brano il cinismo non c’è…

Apice: Sicuramente. Ci sono comunque tante immagini che mi hanno affascinato in quel testo: “Precipito a ciel sereno”, “All’impatto i sismografi non resteranno delusi”, “Ricordati di girarti verso le telecamere e di fare ciao ai fotografi” sono delle immagini bellissime, evocano un uomo che sta andando verso lo schianto ma c’è un eroismo titanico in questo suo cadere. È un po’ quello che sento anch’io però io credo ancora che ci siano delle vie d’uscita. Ho 24 anni e quindi, comprensibilmente, posso avere più speranze di Canali che invece è molto più incazzato, presumibilmente per tutta una serie di esperienze sue. Non so quale sia questa via d’uscita ma sono convinto che debba passare attraverso l’accettazione e dalla consapevolezza che, come dice Brunori, il dolore serve e si deve morire per rinascere…

Su questo mi allaccerei al pezzo di Ginevra e faccio i complimenti anche a lei perché è veramente bello, molto diverso da quello di Manuel, sicuramente più “sussurrato” e anche più esterofilo nella produzione, si sentono i tuoi trascorsi elettronici. Oltre a questo, il paragone con le onde, questo interrogarsi su come si faccia a ripartire dopo una delusione, appare senza dubbio diverso da un certo tipo di edonismo e superficialità che caratterizza moltissimo It Pop che si sente negli ultimi anni…

Ginevra: Ti ringrazio molto, soprattutto per avere elencato quelle che sono le caratteristiche che io amo della mia musica e che spero anche la gente che ascolta possa notare. Per me i testi sono importanti, passo  molto tempo a cercare le parole giuste per esprimere quello che sento e mi piace anche molto associare le parole alle immagini, alle sensazioni, vorrei tanto che le persone che ascolteranno il brano riescano ad immedesimarsi completamente con quello che io sto provando. Nello specifico, in “Come fanno le onde” analizzo la fine di una storia, di quello che mi è successo. Ho dovuto accettare che ci sono cose che non trovano spiegazioni, le mie domande su cose del tutto naturali, sui movimenti umani e su quelli atmosferici, sono un po’ un punto interrogativo che mi accompagna per tutta la canzone. E soprattutto per una persona come me, che ha la mania del controllo, di dover sapere per forza che cosa prova l’altra persona, quando ti arrivano domande che non hanno risposta, è molto difficile mettere un punto. L’idea delle onde l’ho messa proprio per far capire che ci sono cose che non si possono capire, che si devono accettare e basta, per poi poter ripartire.

Una cosa che colpisce dei tuoi testi, in effetti, è che non hai mai paura di metterti a nudo, di raccontare la tua dimensione interiore…

Ginevra: Io credo che sia importante farsi conoscere anche al di là di quello che scriviamo. Ho sempre apprezzato i cantautori, soprattutto per le persone che sono. Anzi, a volte mi è capitato di ascoltare delle cose solo perché mi piaceva la corrente di pensiero delle persone che la esprimevano. Per riallacciarmi al discorso di Manuel, tutto ciò che viene espresso da artisti come Canali, Ministri, Le Luci della Centrale Elettrica, fa parte di un mondo dove faccio fatica ad entrare perché ho sempre ascoltato cose più melodiche, meno urlate, meno rabbiose. Allo stesso tempo però, hanno fatto parte della mia adolescenza e penso che per me l’artista sia prima di tutto un messaggero. Va benissimo scrivere musica Pop, condivido quello che dicevate prima ma credo che sia importante anche l’esempio che bisogna dare, le tematiche di cui parlare, perché finché parliamo di storie d’amore va bene ma occorre anche trattare con coraggio argomenti che nessuno ha più il coraggio di affrontare: in questo senso ammiro molto Manuel per quello che fa e penso che “Precipitare” sia un pezzo bellissimo! È un pezzo generazionale e io penso che anche noi ce la faremo, che anche noi abbiamo qualcosa di cui parlare, anche se siamo quelli che non hanno vissuto guerre o situazioni politiche drammatiche.

“Barche” è un altro brano bellissimo ma non è semplice, funziona quasi come se fossero due canzoni messe insieme e l’accostamento, pur funzionando benissimo, va assimilato. Allo stesso tempo, mi pare che sia una sorta di “contro hit estiva”: al di là del feeling piuttosto malinconico, anche l’immagine delle barche disperse in mezzo al mare non è certo piacevole…

Apice: È un pezzo che è nato perché doveva nascere, non c’è stata nessuna ricerca, nessun dirci: “Dai, facciamo un pezzo insieme!”. Questo anche perché io e lei non siamo esattamente due persone che sono in grado di organizzarsi…

Ginevra: E questo scriviamolo e sottolineiamolo (risate NDA)!

Apice: Ma poi anche perché io ero assolutamente sicuro che prima o poi avremmo collaborato. La prima volta che Milo mi ha fatto sentire i provini dei suoi brani, devo dire la verità, non l’ho capita, non sono riuscito a focalizzarla bene. Lei ha un timbro particolarissimo, che non è per tutti ma che, paradossalmente, lo è. In un momento storico in cui c’è così tanto bisogno di identità, di qualcosa che si distacchi dalle cose solite, dalle comfort zone, soprattutto nelle voci femminili, Ginevra è una che scrive con una cognizione di causa e con una poetica assolutamente personale. Inoltre canta quello che scrive in una maniera tale per cui solo lei può cantare i suoi pezzi. Lo dico a ragion veduta perché ci ho provato e io sono il più grande cover man della storia, tutto quello che tocco diventa “apicizzato” ma con lei è impossibile (risate NDA)! Ha un marchio identitario molto forte e la prima volta che è arrivata con questi provini chitarra e voce, molto Punk, dissi: “Ma come canta questa?”

Ginevra: “Perché diavolo l’avete presa, ragazzi?” (Risate NDA)

Apice: In realtà commisi un errore di valutazione gigantesco perché poi, ascoltandola più attentamente, mi ha conquistato! E quindi, per tornare al punto di partenza, nel momento in cui mi sono innamorato di lei, le sono rimasto legato, quindi sapevo perfettamente che prima o poi sarebbe successo…

Ginevra: Era un qualcosa che desideravamo entrambi. Ci siamo conosciuti sui Social, poi lo andai a sentire una volta che suonava dalle parti di Benevento, una sera che ero lì anch’io. Avevo un po’ di ansia perché quando stimi tanto una persona ma non l’hai mai conosciuta, potrebbe succedere di rimanere delusi. Invece nel nostro caso è nata una sintonia immediata e quindi da quel momento abbiamo continuato a ripeterci: “Sì ma prima o poi io e te un Feat ci toccherà farlo!”

Nello specifico, come l’avete scritta?

Ginevra: Durante la quarantena Manuel mi ha mandato la bozza di un pezzo senza dirmi che aveva l’intenzione di lavorarci assieme a me. E non appena l’ho sentito ho avvertito l’esigenza di metterci sopra qualcosa di mio. È un brano che sì, parla d’estate ma forse anche della fine dell’estate però più di tutto parla di origini e io e lui siamo molto legati alle nostre origini: ai ricordi, alla nostalgia, alla tradizione estiva di andare sulla spiaggia coi genitori, aspettare il tramonto, contare i giorni che mancano alla fine della vacanza… tutte cose che porto nel cuore. “Barche” per me è questo: è il racconto dell’estate di chiunque sia stato bambino.

Apice: Hai anche ragione tu, Luca, a definirlo come una “contro hit estiva”. Io e Ginevra siamo due tipi piuttosto autunnali ma, oltre a questo, si parla di un amore che è vissuto come una condizione che si conferma estate dopo estate, anno dopo anno, come una sorta di attitudine nei confronti del mondo. C’è il dolore ma c’è anche la forte volontà di andare a fondo assieme a qualcuno che ami. Ci sento dentro anche una grande nostalgia che però è anche molto propositiva. Quindi era il pezzo giusto per quest’estate: devi sapere che questa settimana ho costruito un bersaglio con la faccia di Aiello (l’autore del tormentone “Vienimi (a ballare)” NDA) e passo tutto il giorno a prenderlo a freccette, a breve passerò al Kalashnikov (risate NDA)! Ma non è tanto per lui, figurati, quanto che io credo che dobbiamo davvero smetterla di farci prendere in giro, come pubblico. Non sopporto più di essere sottovalutato come ascoltatore da parte di chi fa musica a livello di major, mi sento stupido ad ascoltare certe cose! Non penso sinceramente che questa fosse l’estate in cui avremmo avuto bisogno di quel tipo di canzoni lì, visto che tutto è crollato! Voglio dire, si può fare musica Pop senza per forza fare quelle cose lì! Fausto Musolella una volta ha detto che l’obiettivo di un musicista dovrebbe essere quello di scrivere una canzone semplice: questo è il Pop! Un qualcosa che debba arrivare senza rinunciare al contenuto. Quindi non capisco perché noi dobbiamo continuare ad accettare un meccanismo per cui più più una canzone è stupida, più debba essere definita una hit! Nell’estate delle spiagge lottizzate, del dramma CO-VID, non mi puoi tirare fuori la solita canzone “Portami a ballare, tequila sale e limone”! Siamo sicuri che ne abbiamo bisogno? Se non ci impegniamo a fare un po’ di resistenza culturale ad un certo tipo di deriva, rischiamo di perdere il nostro ruolo e già siamo una generazione che ricerca parecchie scorciatoie di suo… quindi ecco, possiamo dire che “Barche” sia la nostra risposta ad Aiello (ride NDA)!

Torniamo al processo di scrittura del pezzo: mi pare quindi di aver capito che la bozza iniziale è di Manuel…

Apice: Sì, io avevo questo pezzo ma mi convinceva solo il ritornello, le strofe non mi piacevano. L’ho mandata a lei e devo dire che ha fatto un lavoro incredibile! Tra l’altro io sono sempre molto titubante a far toccare ad altri le mie cose…

Ginevra: Milo (Manera, figura principale de La Clinica Dischi NDA) me l’ha detto, in effetti: “Solo con te Manuel non ha detto una parola!” (Risate NDA)

Apice: Sono molto geloso di quello che scrivo ma ho sempre avuto anche una fiducia cieca in Ginevra. In questo caso ha preso un certo tipo di emotività che io sentivo nel pezzo, l’ha resa propria e ha stravolto tutto quello che avevo scritto, usando un’altra ritmica, altre parole, eppure senza veramente stravolgerlo! Siamo evidentemente stati così in linea che è riuscita a dire le cose che avrei voluto dire io ma che non sono riuscito a dire… e alla fine cantiamo esattamente le parti che ciascuno di noi ha scritto, in questo siamo stati molto rispettosi!

Suonerete dal vivo in qualche modo?

Apice: Il 18 luglio faremo una cosa qui a La Spezia, una sorta di festa dell’etichetta dove ci mi esibirò io, Moca e Altrove, vale a dire la cosiddetta “scena spezzina” della Clinica (ride NDA). Credo però che si tratterà dell’unica occasione di fare qualcosa quest’estate…

E sul fronte delle uscite? Da te Ginevra, soprattutto, ci si aspetta un disco…

Ginevra: È il mio obiettivo principale, ormai. Anch’io come Manuel ho scritto praticamente tutto in quarantena, periodo che per me è stato utile perché, essendo nuova in questo ambiente, ho potuto avere del tempo per capire meglio la direzione da prendere. Grazie a Leo (Leonardo “ELLE” Lombardi, produttore anche di altri artisti dell’etichetta NDA), che produce tutti i brani, a Milo, che ci supporta e ci spiega cosa vuol dire rispettare sé stessi e sapere rapportarsi al pubblico, ho imparato tanto, ho sperimentato, ho scritto cose che poi ho buttato via, ne ho scritte altre… il tutto avendo come curriculum due canzoni già uscite che sono una via di mezzo tra quella che ero quando sono arrivata in Clinica e quella che sono adesso. Percepisco una sorta di evoluzione canzone dopo canzone e questo l’hanno capito anche loro, per cui la cosa bella è che la scrittura ha cominciato ad andare da sé e le nostre differenti visioni si sono amalgamate… sono molto contenta della direzione che sto prendendo e non vedo davvero l’ora di chiudere il disco!

Apice: Io invece non lo so ancora. Sicuramente l’urgenza per me è quella di tornare a suonare dal vivo. Sai, una volta si suonava per arrivare al disco, oggi invece è il contrario. Se prima del CO-VID la situazione degli emergenti era difficile, non oso immaginare ora! Eppure io spero che prima o poi torneremo a fare live con una rinnovata consapevolezza, sia come pubblico, sia come addetti ai lavori, sia come musicisti. Finché non saremo noi per primi a ritenere utile quello che facciamo, non potremo pretendere che il nostro mestiere venga rivalutato a livello sociale… poi spero ovviamente di scrivere altre canzoni che mi piacciano di più di quelle che ho già scritto. Infine, mi auguro di poter finalmente realizzare il progetto di un disco assieme a Ginevra… lei non lo sa ma è praticamente già deciso (risate NDA)!


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