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Le Braci
Sándor Márai
1998  (Adelphi)
LIBRI E ALTRE STORIE
all THE BOOKSTORE
14/11/2022
Sándor Márai
Le Braci
Márai gioca sapientemente con le parole e con i sentimenti, indagando sul senso dell’esistenza e sui rapporti umani. Tiene in suspense il lettore, agita gli animi per poi acquietarli, in un saliscendi emotivo senza sosta, lo obbliga a scandagliare la propria vita e le proprie esperienze e a porsi domande, anche quelle più scomode. Un libro semplicemente straordinario. Imprescindibile.

Guardiamo in fondo ai nostri cuori: che cosa vi troviamo?

Una passione che il tempo ha soltanto attutito senza riuscire a estinguerne le braci.

 

Sándor Márai è nato l’11 aprile 1900 a Kassa, quando faceva ancora parte del Regno d’Ungheria, primogenito di un’antica famiglia sassone appartenente alla nobiltà ungherese, all’età di 18 anni aveva già pubblicato la sua prima raccolta di versi. Nel 1919, non ancora ventenne, si recò all’estero per studiare giornalismo, anche se non conseguì mai la laurea. Márai, in questo periodo, fu particolarmente prolifico. In particolare, si fece un nome grazie alla sua collaborazione con la rivista satirico-umoristica Simplicissimus e agli articoli scritti per la Frankfurter Zeitung, uno dei più importanti quotidiani tedeschi. Viaggiava molto, ed era conosciuto nei caffè letterari e nei salotti intellettuali di mezza Europa. Fu il primo a tradurre le opere di Kafka in lingua ungherese.

Nel 1923 incontra per caso, in un caffè di Berlino, Lola Matzner, anche lei di Kassa. I due si conoscevano già, ma quell’incontro fu fatale per entrambi. Una manciata di chiacchiere, un’opera vista insieme a teatro e pochi mesi dopo erano già sposati. Si trasferirono a Parigi dove vissero per circa 6 anni. In questo periodo Márai scriveva per diversi giornali di Budapest e fu proprio questo il motivo principale che li spinse, nel 1929, a fare ritorno nella loro terra natia. Si trasferirono proprio a Budapest, dove vissero per circa vent’anni. Nel 1939 nacque il loro primo figlio, Kristof, che morì poche settimane dopo a causa di un'emorragia interna. Non ebbero altri figli naturali, ma ne adottarono uno, János.

In questo lasso di tempo Márai scrisse e pubblicò moltissimo. Sono di questo periodo anche Confessioni di un Borghese, considerato da molti il suo capolavoro, e Le Braci. La sua fama cresceva di pari passo con il suo disagio interiore, alimentato dal contesto sociopolitico con cui era costretto a convivere e confrontarsi. “In questa patria ufficiale, storica, blasonata, codificata, poliziesca, marziale, imbandierata, fanatizzata, occorre creare sempre più ostinatamente, con devozione, costanza, tenerezza e compassione, la vera patria che forse è la lingua o forse l’infanzia, una via ombreggiata dai platani...”.

 

Fervente antifascista, con un’avversione innata verso ogni forma di dittatura, contrariamente a quanto fecero in molti, decise di non abbandonare la sua nazione durante la Seconda Guerra Mondiale. Affrontò quegli anni difficilissimi, che videro, tra l’altro, l’occupazione dell’Ungheria da parte dei tedeschi prima, e dei russi poi, rintanato nella sua casa di Buda. Quando, però, nel 1948 venne abolita la democrazia parlamentare, Márai si decise a lasciare nuovamente, e definitivamente, il suo paese. Venne messo all’indice e ignorato per anni dalle autorità letterarie ungheresi e i suoi libri vennero banditi per ben quarant’anni, vale a dire fino alla caduta del regime comunista.

Visse per un periodo in Italia, a Napoli, sulle colline di Posillipo e infine si trasferì negli Stati Uniti, a San Diego (dove ottenne la cittadinanza). Lentamente la sua fama svanì, e le sue opere furono dimenticate. Sua moglie Lola morì nel 1986, a causa di un cancro. Márai ne fu devastato. Il colpo di grazia, però, arrivò l’anno successivo, quando Janós, all’età di 46 anni, morì per un’insufficienza cardiaca. Disperato, solo, dimenticato e completamente sommerso dalla sua inquietudine, si sparò un colpo in testa il 22 febbraio 1989.


Nove anni dopo la sua morte, in modo del tutto casuale, il suo lavoro fu riscoperto dallo scrittore ed editore italiano Roberto Calasso (Adelphi). La notizia si diffuse e i suoi libri, tra cui Le Braci e L’eredità di Eszter, vennero tradotti. Vendettero moltissime copie, sia in Italia che in Germania, e ben presto anche in molte altre nazioni. E così, grazie a un colpo di fortuna, Márai e le sue splendide opere hanno rivisto la luce e sono state salvate dall’oblio. Se non fossero state riscoperte, per gli amanti dei libri e della letteratura, sarebbe stata una perdita immensa.

Le Braci è stato pubblicato per la prima volta in Ungheria, nel 1942 e si racconta che Márai la considerasse una delle sue opere meno riuscite. Ovviamente, si sbagliava di grosso.

 

La storia è ambientata nel 1940 in un castello ai piedi dei Carpazi, dove Henrik, un anziano generale ormai in pensione, vive con la sua servitù, tra cui spicca la figura della sua balia novantunenne, Nini. “Si conoscevano a fondo, più di quanto si conoscono madre e figlio, più di due coniugi. La comunione che univa i loro corpi era più intima di qualsiasi altro vincolo. […] Nessuna parola poteva definire il loro rapporto”. Vivono sotto lo stesso tetto da 75 anni, e cioè da quando il generale è nato.

Le persone a lui più care non ci sono più. Sua moglie Krisztina è morta da tempo, ancora giovanissima, mentre il suo migliore amico, colui che considerava come un fratello, Konrad, non fa più parte della sua vita da ben 41 anni, e cioè da quando, senza alcun preavviso o spiegazione, è partito, lasciandosi tutto alle spalle.

Henrik, durante tutti quei decenni, non ha mai abbandonato il suo castello, vivendo, per scelta, in una sorta di esilio forzato. Non riceve ospiti da almeno 20 anni. Konrad, al contrario, ha viaggiato molto. Ha trascorso moltissimo tempo in estremo oriente e ha incontrato una moltitudine di persone.

 

I due uomini si erano conosciuti all’età di dieci anni, quando frequentavano entrambi il collegio militare “nei dintorni di Vienna, sulla cima di una collina”. I loro letti erano uno accanto all’altro.  Li aveva uniti una scintilla, una sorta di richiamo ancestrale a cui nessuno dei due aveva potuto, né tantomeno voluto, opporsi. “La loro amicizia era seria e silenziosa come tutti i grandi sentimenti destinati a durare una vita intera”, nonostante le grandi diversità. Henrik è ricco, mentre Konrad è povero. Il loro approccio alla vita, inoltre, è molto diverso; decisamente più razionale e rigido quello di Henrik, più delicato e poetico quello di Konrad, innamorato della musica e del suo potere salvifico.

Eppure, nonostante le differenze, c’era un qualcosa di più profondo che li univa, e che li portava a vivere quasi in simbiosi, come fossero due amanti. Erano anche arrivati al punto di fare un voto di castità, a cui rimasero fedeli a lungo. Tra di loro “balenava un sentimento più forte di tutto il resto. Un sentimento, noto soltanto agli uomini, che si chiama amicizia.”

Crescendo, però, quelle differenze si acuiscono e nel loro rapporto cominciano ad avere un peso più marcato, ma, nonostante ciò, i due amici sanno che non potrebbero mai rinunciare l’uno all’altro. Henrik si gode la vita e fa esperienze nuove, mentre Konrad si rintana sempre più nel suo piccolo universo, all’interno delle quattro mura dell’appartamento che condividono a Vienna, legge molto e si lascia consolare dal suo grande amore per la musica. Quella musica che Henrik, dal canto suo, sente quasi come una nemica o una rivale, perché non è in grado di capirla né, tantomeno, di competere con lei.

Il denaro, però, sembra rimanere il problema principale. Infatti, nonostante Konrad frequenti la stessa accademia militare di Henrik, non è un nobile e anzi, la sua famiglia fa grandissimi sacrifici per mantenerlo agli studi, arrivando al punto di privarsi dell’essenziale. Konrad sente il peso di tutto questo e, suo malgrado, non può seguire l’amico nelle serate fatte di locali, donne e divertimento. E poi, è troppo orgoglioso per accettare l’offerta di Henrik che lo invita ad accingere al suo patrimonio.
Passano gli anni e la loro amicizia resiste a tutto, anche al matrimonio di Henrik con Krisztina, una cara amica di Konrad.

Ma allora perché Konrad, di punto in bianco, dopo una battuta di caccia e dopo aver trascorso una serata come tante a cena, a casa dei due amici, senza degnarli un “addio” o un “arrivederci”, decide di lasciare tutto e partire? Che cos’ è accaduto di così sconvolgente da non consentirgli più di restare?
È proprio a questo quesito che Henrik, dopo ben 41 anni, cercherà di dare una risposta quando si ritroverà, finalmente e nuovamente, faccia a faccia con il suo vecchio amico, proprio lì, in quel castello ai piedi dei Carpazi, dove si era consumata la loro ultima cena insieme…

I due uomini, ormai anziani, quasi irriconoscibili, occhi negli occhi, davanti a un fuoco che arde, si sfidano con le parole, quelle stesse parole che possono essere balsamo o veleno. È soprattutto Henrik, l’amico tradito, attraverso un lunghissimo monologo, con cui dà libero sfogo al suo complesso flusso di pensieri, a incalzare Konrad, in cerca di conferme (o smentite?) e risposte. Risposte attese a lungo e su cui ha trascorso gli ultimi anni della sua vita a rimuginare, senza concedersi mai una tregua. Un dialogo profondo, colmo di passione, amore, odio e risentimento.

“Chi dedica all’altro tutta la confidenza della giovinezza e tutta l’abnegazione dell’età virile, oltre al dono più prezioso che un essere umano possa offrire a un suo simile – la fiducia più appassionata, cieca e assoluta -, e si vede ripagato con l’infedeltà e l’abbandono, ha forse il diritto di offendersi, di volersi vendicare? E se colui che è stato tradito e abbandonato si offende, se grida vendetta, era davvero un amico? Vedi, sono queste le domande alle quali mi sono sforzato di rispondere quando sono rimasto solo.”

Márai gioca sapientemente con le parole e con i sentimenti, come fosse un cesellatore. Indaga in modo profondo sul senso dell’intera esistenza (non mancano, infatti, anche riferimenti al contesto politico e sociale dell’epoca) e sui rapporti umani. Tiene in suspense il lettore, agita gli animi per poi acquietarli, in un saliscendi emotivo senza sosta. Lo obbliga a scandagliare la propria vita e le proprie esperienze. A porsi domande, molte domande, alcune piuttosto scomode. Spinge a riflettere sul valore assoluto dell’amicizia, che ha, naturalmente un ruolo centrale ne Le Braci, ma anche sull’amore, sulla fiducia, sulla fedeltà, sull’abnegazione, sul perdono, sul tempo che passa e sui compromessi con cui, spesso, scendiamo a patti, rinunciando, in alcuni casi, anche a ciò che siamo e a ciò che più desideriamo. Ma Le Braci pone l’accento anche sui pensieri ossessivi e ridondanti che sovente ci tengono in ostaggio. Pensieri che girano e rigirano nella testa, in cerca di risposte, in cerca di verità. Quella verità a cui tutti, o quasi, ambiamo, conferendole un valore assoluto. Ma poi, siamo davvero sicuri che conoscere la verità sia sempre la cosa migliore? Voi, vorreste conoscerla, sempre e comunque?

Un libro semplicemente straordinario. Imprescindibile.