Si dice serendipità. Significa fare una fortunata scoperta imprevista mentre si sta cercando un’altra cosa. Ebbene Derek Trucks rimane un poco indeciso fino all’ultimo riguardo al tema dell’esibizione sua e della band con Trey Anastasio al festival di LOCKN’ (Arrington, Virginia) che si sarebbe tenuta il 24 agosto 2019. L’esecuzione intera del capolavoro Layla and Other Assorted Love Songs è sicuramente azzeccata per una serie di svariati motivi, ma permane in lui la titubanza, quell’incertezza che hanno tutti i grandi prima di una formidabile impresa: “Saremo all’altezza?”.
Così, mentre si sta recando con la moglie Susan alle prove in New York City, comincia una disperata esplorazione di ogni minuzia, e si focalizza insistentemente sulla canzone I Am Yours. Derek cerca avidamente sull’iPhone i dettagli del testo, sta provando a ricordare se fosse stato scritto da un poeta Sufi. E proprio in un attimo, eccogli balzare agli occhi, invece, un altro particolare che gli fa sentire i brividi lungo la schiena e lo convince definitivamente.
Data di pubblicazione del Layla album: Novembre, 9, 1970. Il giorno in cui è nata Susan Tedeschi. “Perfetto”, esclama “Non ci sono più scuse…”.
Le premesse, i nessi e pure la casualità ci sono quindi tutte per dar vita alla interpretazione indimenticabile di un’opera magna, un concept album che narra dell’irrefrenabile e insana passione di un uomo per la donna sposata con il suo migliore amico. La profonda delusione per un amore in quel momento non corrisposto diventa un fiume in piena e incanala vorticosamente forza ed energia che danno luce a composizioni tuttora straordinariamente attuali e insuperabili. E sono brani che hanno proprio lasciato il segno fin dalla gioventù in questi musicisti.
Innanzitutto Trucks si chiama Derek perché papà Chris e mamma Debbie hanno letteralmente consumato il doppio disco dei Derek and the Dominos e se ne sono talmente innamorati da decidere di dare quel nome al figlio. Un figlio che già da piccolissimo avrà nel DNA tal genere di musica e sentirà inciso sulla pelle il cinguettare della slide di Duane Allman. Derek è un ragazzo prodigio, ricorda tantissimo Skydog nel modo di suonare, ma nello stesso tempo acquisisce uno stile originale, molto influenzato da jazz, tradizione indiana e afro. Pur mantenendo la sua band, con cui si cimenta spesso in alcune di quelle canzoni, a fine anni novanta entrerà a far parte dell’Allman Brothers Band dove milita lo storico zio Butch e farà rivivere al gruppo i bei tempi passati, insieme a Warren Haynes. Il cerchio si chiude nel 2006/2007 quando andrà in tour mondiale con Eric Clapton e, insieme all’amico Doyle Bramhall II, rivisiteranno gran parte del repertorio dei Dominos. Ora il pensiero di rivedere il chitarrista texano come ospite della Tedeschi Trucks Band regala vigore e credibilità al progetto a cui si aggiunge l’importante e decisivo tassello di Trey Anastasio.
Forse in maniera meno evidente, ma anche quest’ultimo è un fan accorato di quel lavoro uscito ormai più di cinquanta anni fa. Adora la possibilità di reinterpretare quei brani che hanno all’interno ancora una freschezza impensabile e portano in dote la possibilità di estendere la performance live utilizzando la capacità di improvvisazione, punto di forza dei suoi Phish. Infatti lungo la sterminata carriera live della formazione non sono mancati alcuni momenti dedicati a Slowhand e proprio la storica Layla ha fatto parte della loro scaletta dal vivo.
Entrando ora nel dettaglio dell’esibizione troviamo quattro pregiate chitarre con la Tedeschi, Bramhall e Anastasio pure al canto, due inarrestabili batterie, una sezione fiati da urlo, tre vocalist che riportano ai tempi del roots rock e blue-eyed-soul dei Delaney and Bonnie. Serve altro? Aggiungiamo il basso pulsante e preciso di Brandon Boone, molto rock, solido, adatto alle linee che furono di Carl Radle e l’organo malinconico di Gabe Dixon. Benissimo, tutto è azzeccato per rivivere nel presente quei magici momenti passati.
Ascoltando Layla Revisited non si prova nostalgia ed è un’osservazione importante. L’inizio è dolcissimo con la sottovalutata I Looked Away, impreziosita da una spolverata di ottoni e un bel solo di Trey, segue la classica Bell Bottom Blues, poi si cambia registro e, come dice il titolo, si abbandonano i tempi passati per rivisitare e aggiornare i pezzi della pregiata opera, in un processo che dona nuova e diversa vita.
Così Keep On Growing e Anyday toccano la bellezza rispettivamente di dodici e tredici minuti, gradevolmente ricostruite in chiave southern dall’ensemble. Susan Tedeschi e Mike Mattison non fanno rimpiangere le tonalità e la passione del duo Clapton-Whitlock, ben supportati da Mark Rivers e Alecia Chakour, mentre Trucks e Anastasio imperversano trasformando le canzoni in cavalcate à la Allman Brothers Band. Una vera e propria maratona sonora alimentata dall’incessante groove dato dal tonitruante JJ Johnson, che nel suo stile incorpora l’amore per il rock blues potente, quello di Stevie Ray Vaughan e quindi di Chris Layton per intenderci. Il suo compare Tyler “Falcon” Greenwell, pur usando anch’egli il marchio Gretsch per la batteria è un perfetto compagno complementare, influenzato da un maestro del jazz come l’incredibile Elvin Jones e dal leggendario Levon Helm.
Uno dei momenti più attesi e decisivi per analizzare la performance sono le esecuzioni dei blues: Nobody Knows You When You’re Down and Out, Key to the Highway e Have You Ever Loved a Woman godono della esperienza profonda di questo genere da parte di Doyle Bramhall II, uno che sul braccio ha tatuato un gigantesco Lightnin’ Hopkins, adora Jimmy Reed e spesso suona cover di Johnny “Guitar” Watson, e di Susan Tedeschi, raffinata interprete fin dai suoi primi splendidi album di brani composti da Elmore James e Junior Wells. Assoli, parti vocali e atmosfera complessiva giovano del delizioso contributo dei due, il pubblico apprezza e applaude soddisfatto e sorpreso. E non bisogna dimenticare che gli spettatori erano all’oscuro di tutto, sapevano solo che Trey Anastasio avrebbe raggiunto la Tedeschi Trucks Band per il secondo set previsto nella giornata!
E proprio Trey è il cantante leader di una maestosa Little Wing, rafforzata da sassofono, tromba e trombone degli estrosi Kebbi Williams, Ephraim Owens ed Elizabeth Lea. Esistono alcune tracce video della rappresentazione e in quelle non ufficiali, ad esempio proprio nella canzone di Hendrix, si vede qualche titubanza fra i membri del gruppo. Piccole indecisioni su chi debba intervenire in una strofa o nella scelta degli assoli; tutto questo, impercettibile nella versione audio o in quella pulita a più telecamere può essere di conforto: anche loro sono umani! Il progetto, calcolata l’unicità dell’esibizione, risulta comunque vincente e la macchina ben oliata, basti ascoltare la vigorosa Tell the Truth e una torrida Why Does Love Got to Be So Sad?, in cui Derek è una forza della natura e dialoga divinamente con Anastasio.
Il finale è da brividi. Ormai il mistero è svelato, perciò dopo una tonificante It’s Too Late, spogliata della vena country e trasformata in un gospel da dieci e lode, arriva lei, la title track, la canzone per eccellenza, un motivo con un riff immortale che è stato interpretato in ogni salsa e proprio in questi mesi ha goduto pure del campionamento in I DID IT di DJ Khaled, con la partecipazione di Post Malone, Megan Thee Stallion, Lil Baby e DaBaby. Ora quest’ultima affermazione non vuole risultare una provocazione, ma semplicemente specificare l’appeal del brano capace di attraversare decenni su decenni senza invecchiare e aprire nuove frontiere a favore del continuo incrocio di generi. Il tempo dirà se ci si ricorderà di questa versione, chi scrive ne dubita molto, la speranza è che possa servire a far eventualmente scoprire un album storico ai fan di quegli artisti.
Layla giunge con un boato che erompe appena suonate le prime sette note e rappresenta la ciliegina sulla torta dell’intera operazione. La slide di Trucks illumina a giorno l’oscuro grido di dolore lanciato dalla Tedeschi, le due batterie sembrano lanciafiamme e incendiano l’esecuzione lasciando intuire come avrebbe potuto evolversi il suono di uno dei più grandi rock drummer al mondo, Jim Gordon, se solo avesse seguito il cuore e non la pazzia.
Il concerto finisce qui, nel migliore dei modi, con la melodia originale di Thorn Tree in the Garden utilizzata come “walk-out music” dello show. A completamento della scaletta tale traccia verrà registrata successivamente dal duo Susan e Derek in studio. L’interpretazione così gonfia di sentimento farà sicuramente fiero l’autore Bobby Whitlock e rappresenta l’unica canzone eseguita in modo molto simile al disco, giusto per richiudere il cerchio, dopo aver ricostruito l’intera opera.
Ascoltare tutto di un fiato Layla Revisited, possibilmente in cuffia a tutto volume, o davanti a un impianto audio di livello che consenta di apprezzare ogni sfaccettatura, è un’esperienza strabiliante. E forse il segreto della magia creata da questo gruppo si rivela nelle parole di Susan Tedeschi…
“Siamo una band in cui convivono vere diversità. Non è solo un discorso di essere uomini o donne. Abbiamo differenti etnie, religioni, un’intera gamma di eterogeneità che si convogliano assieme e ci danno un grande vantaggio”.