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REVIEWSLE RECENSIONI
12/08/2017
Kenny Wayne Shepherd Band
Lay It On Down
E' sempre il blues a farla da padrona, ma Shepherd evita l’esposizione in purezza imboccando strade diverse, che portano al rock, al suono radiofonico e al country

Il marchio KWS è da anni garanzia di qualità. Lo sanno bene tutti gli appassionati di rock blues, che in questo quarantenne originario di Shreveport (Lousiana) hanno trovato uno dei chitarristi migliori della sua generazione (quella di cui fanno parte anche Joe Bonamassa e John Mayer, per intenderci). Una carriera iniziata nel lontano 1995, quando appena diciottenne diede alle stampe Ledbetter Heights e consacrata definitivamente nel 2010 con un superbo disco dal vivo (Live!In Chicago) che gli valse una nomination ai Grammy e una discreta visibilità anche fuori dai circuiti squisitamente blues. Circuiti che, peraltro, hanno sempre certificato la bravura del biondo chitarrista, spingendo quasi tutti i suoi dischi nelle prime piazze delle classifiche di genere. Lay It On Down esce a distanza di tre anni dal celebrato (e bellissimo) Goin’ Home, disco nato dal desiderio di omaggiare i grandi del blues, quegli eroi, cioè, di un tempo antico, le cui canzoni, oltre che patrimonio del popolo americano, hanno contribuito alla formazione musicale del chitarrista di Shreveport (in scaletta c’erano canzoni di Muddy Waters, Albert King, Freddie King, B.B. King, Willie Dixon, Stevie Ray Vaughn, Bo Diddley). Il nuovo album, invece, risulta molto meno radicato: è sempre il blues a farla da padrona, ma Shepherd evita l’esposizione in purezza imboccando strade diverse, che portano al rock, al suono radiofonico e al country. Ad accompagnarlo nell’avventura, oltre alla sezione ritmica dei The Rides (supergruppo di cui Kenny fa parte insieme a Stephen Stills e Barry Goldberg) con Chris Layton alla batteria e Kevin McCormick al basso, ci sono anche Jimmy McGorman alle tastiere e i sodali di sempre, il cantante Noah Hunt e il produttore Marshall Altman. Il disco inizia con un Baby Got Gone, potente rock blues dalla confezione mainstream, nobilitato da uno straordinario assolo di Kenny. Un buon pezzo, anche se niente di memorabile. Molto meglio la funkeggiante Diamonds & Gold, illuminata da un rotondo arrangiamento di fiati. Nothing But The Night insegue nuovamente la strada del passaggio radiofonico: non dispiace ma risulta sostanzialmente innocua. La title track è una ballata di americana che segna il passaggio di Kenny all’acustica e scivola via piacevole, ma senza grandi sussulti. Il disco inizia a decollare con lo shuffle di She’s SSS, brano che rientra nelle corde del miglior Shepherd e con il country gospel di Hard Lessons Learned, canzone fluida e malinconica che riporta il livello di scrittura ai consueti standard. Il botto arriva con Down For Love, tiratissimo swing texano che gira dalle parti di Stevie Ray Vaughan e che ci regala il meglio della chitarra di Kenny, finalmente sbrigliata in un assolo infuocato. Ottime anche How Long Can You, r’n’b ad alto contenuto energetico, e Lousiana Rain, acustica e struggente. Chiudono Ride Of Your Life, gagliardo hard rock blues tagliato con l’accetta e la versione acustica della title track, che non aggiunge niente a un disco buono, ma non eccellente. Insomma, quando Shepherd fa il suo e declina il blues in tutti gli accenti conosciuti, sfodera grandi dischi; quando, invece, butta un occhio alle classifiche, lecca il suono e cerca la strada del mainstream, finisce per tarpare le ali al suo immenso talento. In Lay It On Down ci sono entrambe le facce della medaglia: il che ci spinge a concedere un’abbondante sufficienza ma non a spendere quegli elogi che in altre occasioni (Live! In Chicago, Goin’ Home, How I Go) non avevamo lesinato.