Film ermetico dalla difficile interpretazione, alcune letture adducono un valore figurativo al personaggio principale che potrebbe rappresentare una forma di personificazione del desiderio sessuale di Anthony, altro protagonista del film, desiderio che si riversa di conseguenza sulla moglie di quest'ultimo, Rachel, in realtà gli appigli concreti per decifrare l'opera di Skolimowski, tratta da un racconto di Robert Graves, non sono poi moltissimi, si assiste alla visione in stato di semi rapimento ma alla fine della fiera i dubbi restano, certezze non ve ne sono, non resta che riflettere, ipotizzare...
Robert (Tim Curry) viene invitato dal direttore di una clinica psichiatrica (Robert Stephens) ad assistere in qualità di segnapunti alla partita di cricket che si tiene tra personale medico e pazienti. Con lui ad assolvere a questo compito ci sarà uno degli ospiti della clinica che approfitterà dell'occasione per raccontare a Robert una strana storia il cui protagonista, nella mente del paziente, è identico al paziente stesso (sono entrambi interpretati dall'ottimo Alan Bates). La storia inizia con una coppia sposata, Anthony e Rachel Fielding, lui (un giovane John Hurt) è un musicista sperimentale, un metodico ricercatore del suono che si adopera anche nell'uso dell'organo della chiesa del paese, lei (Susannah York) si occupa dei lavori domestici, i due sono una coppia vivace e all'apparenza affiatata, Anthony si apre anche a qualche avventura con la moglie del ciabattino del paese. Un giorno Anthony incontra un uomo particolarmente bizzarro, Charles Crossley (Alan Bates) che con una discreta faccia tosta riesce a farsi invitare a pranzo da Anthony per poi instaurarsi a casa sua per giorni e giorni. L'uomo ha un forte ascendente di tipo sessuale su Rachel che in principio rimane turbata dai racconti dello stesso il quale sostiene di aver passato diciotto anni nel deserto australiano a contatto con gli aborigeni e lì di aver ucciso i suoi stessi figli, cosa consentita dalla cultura locale. Ad Anthony invece Crossley confesserà di aver imparato dagli aborigeni una tecnica grazie alla quale ha conseguito la capacità di uccidere chiunque si trovi nei suoi pressi per mezzo di un urlo terrificante del quale darà dimostrazione al suo ospite con nefande conseguenze.
Seppur sepolto nei ricordi di gioventù, per atmosfere L'australiano mi ha ricordato il Picnic ad Hanging Rock di Peter Weir, aleggia anche qui un senso di sospensione magica e mistero che tiene lo spettatore aggrappato a una narrazione dove i punti di riferimento sono scivolosi, quasi incorporei, fantasmatici; che l'oggetto del racconto sia follia del narratore o verità antica e ora trattenuta, è un enigma che solo sul finale lo spettatore potrà in qualche modo sciogliere. Da decifrare anche il rapporto di entrambi i protagonisti maschili con il suono, uno vanta la capacità presunta di uccidere con un urlo, quasi fosse una banshee nella versione più moderna delle tradizioni celtiche, l'altro sperimenta suonando latte di alluminio lacerato, registrando i ronzii di un'ape e via dicendo, in fondo da tradizione aborigena è proprio il suono, con le vie dei canti, a dare origine a tutto. Di fondo c'è una tensione sessuale che sfocia nell'attaccamento di Rachel al nuovo arrivato, un motore che scatena azioni e reazioni immergendo anche Anthony in questo aspetto magico dell'esistenza. La regia di Skolimowski sostiene bene la narrazione preoccupandosi più delle atmosfere e delle suggestioni che della concatenazione di fatti all'interno di un film che si esaurisce in un tempo più che adeguato. Buona l'interpretazione degli attori con un Alan Bates che porta scompiglio in un nucleo familiare con fare quasi luciferino, sensuale la prova della York e molto adatto anche John Hurt, Tim Curry si limita a una piccola parte. Non per tutti i palati come probabilmente molto del cinema del regista polacco, parecchio affascinante se si riesce a farsi trasportare dalle atmosfere.