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REVIEWSLE RECENSIONI
24/08/2022
Paolo Nutini
Last Night In The Bittersweet
Dopo un silenzio durato otto anni, Paolo Nutini torna con un disco soprendente, che mischia svariati generi e prende le distanze dalla consueta comfort zone di canzoni dolciastre e di facile presa.

Dalla natia Paisley fino ai palcoscenici mondiali, il viaggio intrapreso dal songwriter scozzese di origini toscane è stato ricco di soddisfazioni. Poi, dopo la pubblicazione di Caustic Love (2014), il nulla, o quasi. A parte il processo, e la successiva assoluzione, per guida in stato di ebbrezza nel 2017, Paolo Nutini ha mantenuto un profilo bassissimo, sparendo completamente dalle scene, tanto da ingenerare il sospetto che fosse andato a lavorare nel negozio di fish and chips della sua famiglia, abbandonando definitivamente la carriera musicale.

Oggi, questo nuovo Last Night In The Bittersweet, mette fine a ogni illazione e ci restituisce un artista che sembra aver fatto enormi passi avanti sotto il profilo della maturità e dell’ispirazione. Questo ritorno, dopo il lungo iato durato ben otto anni, farà, infatti, ricredere quanti avevano sempre francobollato Nutini come un idolo per adolescenti, un musicista incapace di uscire da una comfort zone di canzonette dolciastre e di facile presa (e in realtà la maturazione era in atto già nei due dischi precedenti). Il musicista scozzese, insomma, si è trasformato, non ha rinnegato completamente se stesso, ma ha aggiunto molto altro al suo bagaglio musicale, un ampio spettro di suoni e una profondità compositiva, che probabilmente solo in pochi riuscivano a intuire.

Questo nuovo Paolo Nutini si presenta con un album composto di ben 16 canzoni e per la durata di ben 70 minuti, che potrebbero essere davvero troppi, se non fosse che il cantante scozzese si è allontanato con decisione dal mood sdolcinato di primi successi, come "Last Request", e dalla frivolezza espressiva di canzoni come "New Shoes".

Non è, quindi un caso che in Last Night In The Bittersweet non ci sia alcuna forma di gratificazione immediata, che la lunga scaletta sia priva di brani di presa immediata, quelli che i fan della prima ora hanno sempre apprezzato e che spesso intasavano le stazioni radio di numerosi e continui passaggi. Fin da subito, questo album si presenta come una raccolta di canzoni che spingono in direzione opposta una dall’altra, anche se, poi, ulteriori ascolti, rivelano che c'è un metodo nella follia, un collante che tiene saldamente insieme quello che è all’apparenza un collage caotico.

I temi amorosi ritornano, e probabilmente non potrebbe essere altrimenti, anche se, in questo caso, il romanticismo sembra più diluito e molto casuale, sia che si riferisca alla realizzazione di un amore nascente ("Radio"), all'esplorazione della dolorosa vulnerabilità dei sentimenti ("Acid Eyes"), o agli inebrianti palpiti del cuore ("Everywhere", "Shine a Light" e "Take Me, Take Mine").

Se da un lato il canovaccio delle liriche resta più o meno il consueto, dall’altro, è indubbio che da un punto di vista compositivo si siano fatti passi da giganti, in una direzione tutt’altro che prevedibile.

L’opener "Afterneath" è addirittura spiazzante, un brano atmosferico, disturbante, che evoca i Led Zeppelin e fugge lontano su una solida base ritmica e sotterranee distorsioni. Chi l’avrebbe mai detto di Nutini? E invece, ecco subito la novità, la prima delle schegge impazzite di un disco eterogeneo e stranamente variopinto. "Radio" è una solida ballata rock dal retrogusto americano, la voce calda di Nutini insuffla dosi soul in due gioielli come "Everywhere" e "Through The Echoes", vari elementi mutuati dagli anni '70 lasciano il segno nella splendida "Children Of The Stars" (Fleetwood Mac) e nella calda ballata per piano e archi di "Julianne", mentre "Lose It" è un’imprevedibile e riuscita cavalcata Pasley Underground, e "Shine A Light" riesce ad evocare addirittura Springsteen. Poi ci sono i numeri folk, come "Abigail" strimpellata e agreste, e l'interludio "Stranded Words", che suona come un vecchio inno folk rarefatto, mentre un'eco di tamburi pulsa in sottofondo.

A un primo ascolto, Last Night In The Bittersweet lascia perplessi e non sembra funzionare così bene, è al contempo troppo lungo e musicalmente disarticolato per essere davvero efficace. Eppure, in qualche modo, ascolto dopo ascolto, il disco entra nel sangue e gira alla grande. Gettata la maschera di pop star e prendendosi degli azzardi, Nutini sembra aver acquisito uno spessore che precedentemente si poteva solo immaginare. Se questa è la nuova strada battuta dal cantautore scozzese, e non un episodio estemporaneo, in futuro, ne ascolteremo delle belle.