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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
26/09/2019
Moes Anthill
Lasciare per salvarsi, non per essere vigliacchi.
Ho ascoltato “Quitter” e mi è venuta voglia di scavarmi un rifugio sotto le foglie del bosco...

Ho viaggiato per mari e per monti, ho lasciato le mie cose ai piedi di un albero grande quanto una casa, ho raccolto radici e funghi poco colorati e invece ho diffidato sui colori accesi delle belle bacche dei cespugli. Ho lasciato il mondo costruito secondo la fede del grande commercio in frac e sigari cubani e ho ripreso la strada lungo la quale, da solo, potevo contare soltanto sulla libertà d’essere uomo, libertà vera, libertà mia. E non ho chiesto perdono né una scorciatoia che mi faccia tornare un conto in breve tempo. E ci sono stati tratti in cui si vedevano chiare le ciminiere dell’impianto metallurgico, si vedevano chiare le ferrovie e i palazzi del potere, si vedeva chiaro il fumo di quei sigari cubani. Ma la musica arrivava comunque dal bosco e se la seguivi ti portava ad un fiume in cui ci potevamo battezzare, come faceva un popolo amish, forse come dicevano tradizioni altre, antiche, mai esperite e neanche conosciute da noi che abbiamo l’anima plastica e il cuore plastificato dai social network. Siamo copie di ogni santo minuto che il buon Dio manda in terra. Eppure se non ci fossero questi social, la musica dei Moes Anthill non l’avrei mai scoperta. I paradossi della vita, come quelli dell’acqua che scorre nel fiume a pensarci bene…

Mi è bastata una mail per vedermi recapitare a casa un doppio vinile e un 45 giri. E non sono i primi venuti né gli ultimi rivoluzionari di questa terra. Sono sporchi di fango e sono coperti di paglia, suonano come suona l’acqua che batte la pietra, usano il rock e la lingua del folk ma sono semplici e umani, anche quando lanciano un singolo che quasi ricorda il pop industriale di grandi firme inglesi. C’è tutto… ma tutto quel che trovo ha una ragione.

Mario Moe Schelbert sembra caduto dai tempi che si narrano sui libri dei miei nonni. L’intervista che segue l’ho voluta lasciare quanto più fedele all’originale anche per colpa della mia incapacità di decifrare bene l’inglese visionario di un artista. Ascoltare “Quitter”, ascoltarlo in vinile, ascoltarne le versioni orchestrali, perdersi nelle foto che sembrano antiche ma di antico hanno solo quel concetto di libertà, fa bene all’anima… musica che non vuole apparire ma soltanto esistere. Concetto che ormai fa solo scena e lava via bene grandi macchie di autoreferenzialità che ingozzano l’anima e le bocche del popolo fragile e privo di sé.

Ho ascoltato “Quitter” e mi è venuta voglia di scavarmi un rifugio sotto le foglie del bosco. Dietro regna la direzione di Hank Shizzoe, mio grande amore dalla fine degli anni ’90, quando scoprivo che dal blues si poteva tirar fuori anche una ragione buona per sognare la felicità.

Faccio girare “Quitter”. Ormai sta anche arrivando l’autunno… ed è questo il momento migliore per vedere che forza ha l’incanto della musica dei Moes Anthill.

Io partirei proprio dal formicaio. Sembra che tutto questo mondo che ti circonda sia un mondo di cose piccole, di suoni semplici, di vita lontana dalle cose finte del circo mediatico. Ho queste sensazioni ascoltando la semplicità di “Quitter”. Insomma un formicaio intimo e vero lontano dalle città. Perché è lì che vive la tua e la vostra musica… lontano dalle città. Non è così?

Caro Paolo, sì, è vero. Tutto questo mondo di frenesie metropolitane e industriali mi lasciano un freddo dentro… e infatti tutto questo mi spaventa. Adoro essere anonimo ovunque io vada, nella natura o nelle città. Ecco perché ogni canzone è destinata a durare per sempre, non per il gusto di un momento economico e glamour. Musica senza tempo la voglio definire…

Ma voglio proprio fermarmi a parlare di Moe piuttosto che dei Moes Anthill. Il formicaio di Moe, il mondo di Moe. La interpreto così o sbaglio? Quanto questa musica è la musica di Moe e quanto invece è la voce dei Moes Anthill? Un equilibrio ed un confine assai delicato e sottile…

È una specie di mondo quello di Moe. Tutto inizia con un'attenta osservazione. I miei pensieri attraversano gli occhi dei membri della mia band. Sono loro a interpretare ciò che ho provato mentre scrivevo i testi; testi che possono essere intelligenti o anche “solo” empatici. Non amo molto verbalizzare troppo, rendere a parole, raffigurare… voglio invece che i miei pensieri arrivino a farsi sentire e a divenire parte del tutto.

La prima grande cosa che mi ha colpito in questo disco, prima ancora di ascoltarlo, è ritrovare Hank Shizzoe. Io l’ho conosciuto anni e anni fa, artisticamente parlando, quando comprai il suo disco eponimo del 2001. È stato incredibile leggere il suo nome, sono molto legato a quel disco. Mi racconti di lui e del vostro lavoro sul disco?

In realtà siamo inciampati per caso su Hank, perché stavamo cercando un produttore adatto. Qualcuno molto premuroso e saggio ha menzionato il suo nome, conoscevo anche alcuni dei suoi dischi più vecchi, ma l'ho perso per più di un decennio. Quindi incontrarlo è stata la migliore decisione mai presa e anche divertente dall'inizio. Il suo personaggio si adattava benissimo alla musica e in parte a questo album, è stata una partita perfetta! È stato sorprendente vedere all’opera la sua capacità di lasciare spazio allo sviluppo della musica e anche di sapere quali parti erano essenziali e quali necessitavano di maggiore restaurazione.

In questo Lp si dà voce anche ai Moes Anthill String Quartet. Un mondo lontanissimo nei suoni ma assolutamente coerente e vicino nell’anima di questa musica. Un altro vestito da indossare, per così dire. Col senno di poi, qual è il mondo e il vestito che più si addice alla tua musica? Gli archi e il romanticismo o quel certo folk che si contamina di rock?

Ah ah! È vero, e ti dirò di più: alla fine c'erano molte versioni diverse delle stesse canzoni ma solo alcune di queste sono state registrate. “Everyone gets a balloon” ad esempio è stata ispirata da alcune canzoni punk rock degli anni '90, anche se non suona affatto così. Parliamo di vestiti da dare alla musica: beh quest’album è una semplice dichiarazione d’intenti, aveva bisogno sia di "potere" che di "fragilità", ecco perché abbiamo fatto molti meno compromessi rispetto a prima. Se stai cercando quindi di trovare un vestito per descrivere il nostro mondo, userei qualcosa che somigli alla parola "dramma". Hai bisogno di un motivo per fare le cose, se non ce ne sono, non fare nulla.

Parlo dei Moes Anthill String Quartet perché, se non ho capito male, alcune di queste canzoni sono state scritte in un passato recente e forse nascono proprio con altri arrangiamenti, più intimi… non è così?

Sebbene il quartetto d'archi sia stato rilasciato prima di "Quitter", gli arrangiamenti degli strumenti a corde seguivano le versioni già esistenti che facevamo con la band. Quindi l'evoluzione è stata: canzoni soliste, canzoni di gruppo, arrangiamenti di archi. È abbastanza divertente vederlo al contrario…

Che poi a voi associo l’autunno, come dicevo, i mondi lontani, l’intimità di una candela. Eppure “Quitter” suona anche come un disco folk-rock, anche metropolitano se penso a brani come “New Age” o proprio a “Quitter”. Ci sono tante facce diverse in queste 10 canzoni…

Sì, è sempre autunno. Ti farò sapere, non appena scriverò la mia prima canzone estiva felice. Ogni volta che mi siedo per scrivere canzoni e c’è sempre un pensiero che guarda indietro, come può sembrare felice quella canzone, quel pensiero, quella frase? E per parlare di facce delle canzoni stesse, ti dico che non mi piacciono le copie, le repliche… ecco perché ogni brano suona in modo diverso e inizia da zero… e poi finisce e non si replica in nessun altro modo. È come fosse un mondo a sé… ogni canzone… perché provare a riprodurre i tuoi momenti migliori della vita, pur sapendo che questo sarà impossibile?! Vai avanti!

Mi colpisce anche questa copertina e le foto interne. A dispetto di alcuni arrangiamenti metropolitani, sembrano che queste foto richiamino un periodo antico di secoli, non è così? Tutto questo ha una forza incredibile…

Grazie mille. Vivendo in questi tempi al giorno d'oggi abbiamo immaginato di essere persone amish indipendenti dai “giorni nostri”. Cosa c'è di così diverso tra la “normalità” e questo modo di vivere? Niente. C’è sempre da chiedersi a chi credere o in cosa credere. Media, mode, conoscenza, sfiducia e distrazione governano la nostra percezione. Tutto ciò non ha nulla a che fare con la vera libertà e l’evoluzione, che ritengo siano cose più meritevoli da raggiungere. Il mondo sembra criptico. Così ci siamo battezzati in un fiume vicino a Zurigo e abbiamo filmato e fotografato. È stato un vero successo e tutti gli scatti mi colpiscono ancora oggi. La copertina è molto diversa da leggere, ma con essa arriverà qualcosa di fatale, te lo assicuro :)

Vorrei proprio soffermarmi sulla parole “Quitter”. Come dite anche voi, in francese significa “partire” - o forse anche “lasciare”, “abbandonare”. In inglese significa “vigliacco”. E le due cose sembrano combaciare. Ma come ritrovo questo significato all’interno del disco?

La canzone «Quitter» spiega il mio punto di vista su qualcuno che ha “smesso”, ha mollato la presa. Sono io, Quitter. Mi sono stancato di questo business musicale e del suo necessario bisogno di ammirazione, tante, troppe cose non sono come vorrei che fossero. Strade false, orientate agli affari, a senso unico, di mentalità ristretta, monoculturali, oscure, stupide. Sento come di voler lasciare questa realtà per dare spazio ad una nuova e sconosciuta. Si tratta di prospettive. Lasciare “l’arca della salvezza” potrebbe sembrare suicida e da depressi, ma una volta che te ne sei andato, l'intero paesaggio cambia e quell’arca sembra piccola da lontano. E se il giorno del giudizio non dovesse mai accadere e se tutte quelle barche su cui pensavamo di salvarci così velocemente e facilmente avessero soltanto rubato energia buona? Né loro né chi lascia la presa, chi abbandona l’arca famosa, può prevedere il futuro… ma almeno può cercare e raccontarci nuove opzioni, nuove ragioni per vivere…

Per chiudere. L’Italia a quanto pare parla assai poco di voi e credo sia un peccato. Nel mio piccolo cerco di fare quel che posso. Noi siamo molto concentrati a seguire le mode e a scriverlo sui social più che fermarci a ragionare con la nostra testa e ad ascoltare un disco. Voi che impressione avete della musica italiana e di quello che sta accadendo? Avete un’opinione in merito? Come vedi anche da questa domanda, puoi parlare liberamente…

Beh, suppongo di sapere troppo poco sulla scena musicale italiana per fare una grande dichiarazione, dal momento che sembra tutto molto ancorato al buon vecchio pop… penso però che ci devono essere migliaia di brillanti musicisti che condividono la più grande passione e i veri sentimenti dietro queste luci del grande spettacolo, artisti che stanno solo aspettando il momento giusto. Non credo che ci siano società più superficiali e meno superficiali. Troverai la tua gente ovunque andrai nel mondo. So per certo che l'Italia ha una grande scena dark rock, punk e hardcore, che mi rende felice!


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