L’album fu pubblicato nel 1965 dalla giovane Delmark di Chicago, una delle prime case discografiche indipendenti d’America, votata a blues e jazz e sempre interessata a promuovere la Musica prima del Prodotto, il musicista prima del marchio. Tanto che questo album avrà ripercussioni anche sul modo stesso di registrare musica blues e produrla in studio, segnando una netta linea di demarcazione rispetto ai vecchi modelli di produzione in stile Chess. L’album fu voluto, prodotto e registrato da Bob Koester, fondatore dell’etichetta. Il leader del gruppo, a cui è accreditato il disco, è Junior Wells (al secolo Amos Blackmore), cantante, compositore e soprattutto armonicista che già fu con Muddy Waters, poi con Dixon, Earl Hooker e tanti altri: bella testimonianza di questo periodo è Blues Hit Big Town (Delmark – 1977). A Wells fu lasciata la libertà di scegliersi i musicisti, le canzoni, senza il vincolo dei 10 pezzi da 3’, senza produttori e turnisti preconfezionati.
Ciò che oggi può sembrare banale, non lo era 40 anni fa: la discografia blues è fatta da artisti che arrivano nel grande studio, trovano strumenti, musicisti e ingegneri, suonano qualche pezzo, poi passano alla cassa a ritirare i contanti; distribuzione, compilazione dei dischi e soprattutto royalties sono a discrezione della casa discografica; una sorta di precariato artistico risolto con miriadi di “contratti di prestazione d’opera” della durata di un mattino. Con questo sistema, gente come John Lee Hooker e Lightnin’ Hopkins arrivavano a incidere per cinque o sei etichette contemporaneamente, suonando in continuazione la stessa canzone con titoli diversi perché i diritti potessero essere sfruttati da tutti.
Hoodoo Man Blues - non la scopriamo certo qui – è forse il primo vero LP blues pensato per essere tale, non la solita raccolta natalizia di singoli. Pensato per rappresentare con fedeltà e attenzione il lavoro di una vera “band”, di un gruppo coeso che interagisce in studio come nei club. Il suono che la Delmark trae da queste incisioni è parte integrante del concetto: un suono live, morbido, in perfetta continuità tra un brano e l’altro, senza fade-out assurdi allo scoccare dei 2’55”, senza discontinuità sonore: una testimonianza in presa diretta del lavoro di quattro ottimi bluesman che suonano con feeling e partecipazione. Questo approccio resterà un comune denominatore importante per le produzioni di questa etichetta.
Accompagnano Wells un giovanissimo e sconosciuto Buddy Guy, che anzi nella prima stampa dell’album neanche era accreditato (guarda un po’, per un problema di contratto), l’esperto Jack Myers al basso e Billy Warren alla batteria. Come Scrive Koester nelle note di copertina: “the credit belongs to Junior, Buddy, Jack and Billy - they made the music. We just sat and dug it.”
Piuttosto che le influenze che il blues degli anni ’50 ha esercitato sul gruppo, è importante ribadire come questo lavoro abbia fornito un riferimento importante per tutta la futura scena del blues stile “west-side” (Magic Sam, Otis Rush) caratterizzato da un approccio più “consapevole” e autonomo degli strumentisti, che abbandonano progressivamente pattern e moduli standard per divagazioni più libere e aperte a contaminazioni con soul, rock e jazz. Musicalmente il disco è dominato dalle evoluzioni strumentali dell’armonica di Wells e dalla chitarra di Guy, in sintonia perfetta (lo saranno per i 30 anni successivi). La sezione ritmica è elastica, sensibile e ricca di swing. Scorrendo la scaletta si incontrano brani originali di Wells (Snatch It Back and Hold It, Ships on the Ocean, Hoodoo Man Blues), cover di grandi classici (Hound Dog, Good Morning Little Schoolgirl) e brani tradizionali (Early in the Morning); l’impressione, però, è quella di un riascolto, come in una definizione di Calvino, di associazioni mnemoniche con canzoni che conosciamo, con estratti musicali noti: che qui ci vengono però restituiti nel modo migliore che mai abbiamo sentito; in quello che definiremmo definitivo: ecco dove sta l’essenza di classico (blues) in questo LP: è un disco che ci arriva “portando su di sé la traccia delle letture [degli ascolti] che hanno preceduto la nostra.” Un LP che già conosciamo perché parte costruttiva degli ultimi quarant’anni di cultura blues.
Snatch It Back and Hold It è un originale di Wells, da questi interpretato con la consueta convinzione e quella sfrontatezza che in futuro gli consentirà di costruirsi un solido repertorio funk; interessante l’uso dell’armonica in “terza posizione”, cioè un tono sotto la chiave del brano, non comune nei pezzi in modo maggiore in cui ci aspetteremmo una “cross-harp” in seconda posizione (cioè superiore di una quarta rispetto alla tonalità del brano).
Ships On The Ocean è uno slow in chiave minore impreziosito dai ricami di Guy che vaga imprevedibile ma elegantissimo; sempre più teatrale il canto di Wells, molto controllata l’armonica che preferisce il feeling al virtuosismo e al volume, e che disegna in apertura una melodia ripetitiva e ondeggiante come la “barca nell’oceano”.
Più tradizionali e “rockeggianti” i due brani seguenti: l’immortale Good Morning Little Schoolgirl di Sonny Boy Wiliamson I è restituita in forma spumeggiante e molto giovanile, con un tono malizioso adatto alla situazione e lontana dalle divagazioni rock dei tanti gruppi che investiranno il celeberrimo brano negli anni seguenti (Clapton, Ten Years After, Johnny Winter …); Hound Dog è un vecchio pezzo a firma Leiber/Stoller che fu cavallo di battaglia di Elvis qualche anno prima: sul grande lavoro ritmico di Myers e Warren, Wells può finalmente abbandonarsi ad un assolo aggressivo di blues-harp.
Da questi primi brani è già evidente la volontà di costruire pezzo per pezzo un LP, che abbia una sua trama, un’unitarietà, in cui ogni canzone sia frutto del solo lavoro del gruppo, dei suoi tempi; nessun fade-out, qualche rumore in sottofondo: musicisti finalmente liberi di esprimersi e improvvisare nel loro ambiente naturale. In the Wee Hours sembra rubare il titolo ad un vecchio classico di Sinatra con cui in realtà non ha niente a che vedere. È un guscio musicale, senza testo scritto, che vuole rappresentare un sentimento in musica, un modo di sentire e percepire che è tutto emotivo e non si può descrivere a parole; introdotto dal piatto di Warren, sostenuto dalle delicate fughe strumentali di Guy, Wells condensa in tre minuti e mezzo tutto il suo sapere musicale: i primi due break d’armonica sono suonati con la cromatica: bellissimo il secondo che sfrutta tutto il registro grave dello strumento, le cui ance lunghe si adattano bene al tempo slow; il terzo break, che chiude il brano, vede Wells impegnato alla diatonica in Sol, la chiave più grave, suonata in seconda posizione pur in un brano che ha modo minore: il tutto restituisce una dinamica spaziale oscillante e obliqua, imprevedibile e jazzata, con un sound che fu tipico di Big Walter Horton e sarà poi di Carey Bell Harringhton.
Seguono tre brani classici tra cui spicca Hoodoo Man Blues, marchio di fabbrica di Wells (e anche del compagno di mille avventure Buddy Guy) e diventato oggi vero standard blues: l’armonica acustica e un bel riverbero nella chitarra accompagnano un testo che si rifà alle classiche immagini del folklore afro-americano con evidenti sottointesi sessuali. Early in the Morning è un pezzo tradizionale esteso per quasi 5 minuti (alla Chess sarebbe durato la metà), condotto da un tipico giro di basso di Myers che consente a Guy e Wells di scambiarsi assoli e frasi musicali in libertà. We're Ready è un altro apice del disco: strumentale a firma Wells-Guy, dispiega ottime e originali soluzioni ritmiche: grande ancora una volta Myers, mentre la batteria di Warren recupera un’efficacissima potenza nelle rullate; bello il duetto tra i solisti (con Wells che suona ancora in “terza posizione”). La libertà di esecuzione, di improvvisazione, di studio musicale è di nuovo la cifra stilistica più evidente del lavoro, ciò che rende così solido l’intero album. Chitlins Con Carne è una scheggia improvvisata che si colloca nella medesima vena. Chiude il classico di Elmore James Yonders Wall suonato con un vigore quasi funk.
“We just sat and dug it” come disse Koester, produttore e “ispiratore”, di fatto sperimentatore, resta il miglior commento a questo album che nel tempo ha saputo imporsi come vero classico blues, rimanendo per moltissimi anni il disco più venduto della casa discografica. Che ha chiaramente indicato la strada ad una etichetta, la Delmark, che ancora oggi produce, in modo indipendente, la musica della Windy City. Un’ultima parola per la foto in copertina di Gregg Roberts: tra le tante immagini su dischi Delmark, tutte bellissime, nessuna come questa riesca a cogliere l’atto creativo del musicista circondato dal suo sound.