Quindici anni di carriera e un crescente livello di qualità, tanto che questo nuovo Lamentations può essere considerato il miglior disco in assoluto degli American Aquarium. E ciò, nonostante i continui cambi di line up, che hanno fatto della band della North Carolina una specie di porto di mare.
A guardia del faro, come unico membro originale della band, resta B.J. Barham, padre padrone indiscusso del progetto, figura particolare e non certo malleabile, uomo irascibile, arrogante, politicamente non allineato. Gli altri, anno dopo anno, si sono dati alla macchia: troppo complicato collaborare con questo leader che fa del pessimismo la lente d’ingrandimento della sua poetica, che non smette di guardare quel bicchiere perennemente mezzo vuoto e scrivere canzoni dai testi tanto acuti quanto depressi. Troppo lontano dalle logiche di Nashville, meno conciliante di tanti colleghi con cui condivide la prospettiva (Jason Isbell su tutti), B.J. Barham ha spinto sempre il suo linguaggio politico a sinistra, forse un po’ troppo per una panorama musicale che spesso guarda in direzione opposta. Una vera e propria anti-star, se così si può dire, che attraverso l’etica del lavoro ha saputo farsi strada nel mondo della musica, conquistandosi un posto importante fra i singer songwriter della sua generazione.
In collaborazione con Shooter Jennings, qui in veste di produttore, BJ e i suoi American Aquarium catturano in Lamentations il fermo immagine del sogno americano infranto, raccontato attraverso il filtro di una prospettiva meridionale e sviscerato in dieci canzoni che, oltre a un notevole impianto musicale, hanno il merito di essere cariche di emozioni, di spingere alla riflessione attraverso storie reali, quotidiane, condivise.
Un disco che è chiaramente un’opera politica di forte critica all’America bianca di Trump, con una visione chiara e schierata sulla società, ma sviscerata attraverso liriche che riguardano tutti e che mantengono un sorprendente equilibrio espositivo. Lamentazioni, quelle di Barham che riguardano anche se stesso e la propria vita: il rimpianto e la malinconia di Six Years Come September, storia della ritrovata sobrietà, The Day I Learned To Lie To You, sulla menzogna nei rapporti interpersonali o How Wicked I Was, amara riflessione sul divorzio, sono storie che riguardano da vicino B.J., il suo intimo, la sua vita, davanti alla quale non si assolve, ma mette il dito nella piaga, come sprone per evitare l’autocommiserazione. Nessuna giustificazione, ma consapevolezza e riscatto.
"Più lavori duro, più fortuna ottieni", canta Barham nella bella The Luckier You Get, ed è il modo in cui il songwriter affronta la vita e la musica, torturandosi per migliorare sempre e produrre di più, per raggiungere obbiettivi professionali ed esistenziali (e che diviene sprone per tutti nella conclusiva The Long Haul).
Basta chiudere gli occhi e Lamentations vi spingerà di peso all’interno di quegli scenari e quell’immaginario tanto cari a chi ama questo genere di musica. Tuttavia, rispetto al precedente Things Change (2018), che era un disco più visceralmente country, Lamentations possiede un respiro più ampio e una produzione più rigogliosa: la forza delle parole trova maggiore spinta in onde melodiche e scarti tangenziali inaspettati, come avviene nei finali di Me + Mine e Brightleaf + Burley, rendendo questo disco più coinvolgente e imprevedibile rispetto alla consueta misura roots della proposta (comunque presente nel ricorrente uso della steel guitar).
L’ennesima, ottima prova, quindi, di una band che, sono pronto a scommetterci, finirà molto in alto nelle classifiche di genere, magari contendendo la piazza più ambita a Reunions di Jason Isbell.