Il post hardcore ad alto impatto emozionale ci insegna una cosa importante: essere fragili, empatici e sensibili va bene. Non è un demerito, non è un segno di debolezza, anzi. Ci vuole coraggio per prendere tutto quello che si sente, affrontarlo, viverlo fino in fondo e buttarlo fuori. Urlarlo con forza, rabbia, dolcezza e senza mezzi termini. Mettere a nudo un pezzo della propria anima all’infuori di sé e presentarlo con dignità e consapevolezza agli altri dicendo: ecco, questo sono io, provo queste cose, penso queste cose. Non mi interessa che ti vada bene o ti possa mettere a disagio. Perché lo sto facendo per me, perché non voglio nascondere qualcosa che ha il diritto di essere espresso e perché ci sarà sempre chi lo vorrebbe fare ma non sa come, quindi agirò io al posto suo, per fargli capire che non è solo e che può farlo anche lui.
I cinque ragazzi che compongono i Touché Amoré militano tra le fila del post hardcore sin dal 2007, quando si formarono nell’hinterland losangelino di Burbank, in California. Ad ogni album hanno esplorato qualche umido e inospitale anfratto dei sentimenti e delle situazioni che popolano la vita umana, poi, nel 2014 il trauma. La madre di Jeremy Bolm, frontman della band, muore di cancro al quarto stadio. Nel 2016 uscirà quindi Stage Four, in cui le nebbie emotive di Bolm vengono messe a nudo, portando al pubblico quella che sarà uno dei dischi più acclamati della loro carriera. Passano altri quattro anni e, nel 2020, esce Lament, dove si inizia timidamente a vedere la luce in fondo al tunnel. Una luce che forse è più quella del crepuscolo: incerta, piena di ombre e al tempo stesso stranamente calma, popolata da funamboli continuamente in equilibrio tra dolore e rinascita, in un timido orizzonte di speranza ritrovata, costellata ancora dallo scroscio di qualche acquazzone, da cui si esce bagnati fradici ma ancora romanticamente fiduciosi.
Il viaggio in uscita da Stage Four aveva bisogno di un nuovo condottiero, che veicolasse ed evolvesse il suono dei Touché Amoré in territori diversi da quelli già sperimentati, ed è così che la band si è rivolta al produttore Ross Robinson (Slipknot, Korn, Sepultura, Red Fang), che ha permesso loro di scavare nelle proprie sonorità, artistiche ed emotive, con rinnovata energia e una diversa prospettiva, per trovare una cifra stilistica evoluta, figlia della loro storia e al contempo Touché Amoré al 100%.
Il viaggio in Lament, al contrario di quanto si potrebbe pensare, inizia con note quasi punk, piene di luce e speranza, quelle della bellissima “Come Heroine”, una canzone d’amore sotto mentite spoglie, per ringraziare il proprio partner di averlo sostenuto e aiutato ad uscire dagli abissi della depressione, restandogli accanto nonostante le insicurezze e i difetti, senza farlo mai sentire da solo.
Un concetto che viene in parte ripreso in “Reminders”, dove Bolm sottolinea quanto sia importante che nei momenti in cui ci si sente sfiniti e prosciugati, dalla giornata o dalla vita, ci si ricordi dell’amore che si è ricevuto, delle fotografie che sono state scattate quando si era felici, e ci si aggrappi come a dei promemoria, per non rimanere sopraffatti da se stessi. «C'è un modo per sentirsi liberi senza essere qualcun altro?».
Le ottime tracce sono sparse ovunque nei 35 minuti di Lament: la title track stessa, “Feign”, ma anche “Deflector”, che assieme a “I’ll Be Your Host” riflette sull’importante e al tempo stesso pesantissimo ruolo che in questi anni si è trovato a interpretare Bolm: l’essere diventato una sorta di specchio, cassa di risonanza e punto di riferimento per chi come lui ha subito la perdita di qualche caro a causa di una malattia terribile, un incarico non consapevolmente cercato, che l’hanno fatto spesso sentire a disagio nell’ascoltare decine e centinaia di storie simili alla sua.
Capolavoro dell’album, però, rimane senza dubbio “Limelight”, che vede la riuscita collaborazione di Andy Hull (Manchester Orchestra, Bad Books) e affronta la gestione di un dolore che non scompare mai del tutto, ma che acquisisce nuove forme di ispirata profondità nell’imparare a rispettarlo, camminandoci a fianco.
Finale decisamente riuscito, dolce e ad altissimo impatto emotivo quello di “A Forecast”, una lettera a cuore aperto che diventa poesia e ci traghetta verso la fine di questo viaggio vestiti di una lacrima e un sorriso pieno di affetto.
«Dall'ultima volta che abbiamo parlato ho imparato molto. Le persone che pensavo mi avrebbero contattato si scopre che non l’avrebbero fatto. Negli anniversari del peggior tipo di giorni il mio telefono era per lo più silenzioso, una delle scuse era "dare spazio". […] Sono guarito più di quanto abbia sofferto, ho trovato la pazienza per il jazz, amo ancora i fratelli Coen. […] Sono ancora sotto la pioggia, potrei usare un piccolo rifugio di tanto in tanto. Un piccolo rifugio. Sono ancora sotto la pioggia, di tanto in tanto».
Emotivo, vulnerabile, ancora alla ricerca di un senso, instabile sui suoi piedi ma di nuovo eretto, diretto e senza peli sulla lingua, toccante ma combattivo, consapevole, maturo e speranzoso. Sì. Perché, nonostante tutto, quello di Lament non è un ascolto triste; certamente è denso, ma è pieno di speranza, di piccole fiammelle e di soluzioni sonore in perfetto equilibrio tra melodia, urla, attenzione ai dettagli e potenza, che ci ricorda come a volte si possa brillare più nelle luci del crepuscolo che in quelle della ribalta.