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Lago Negro
Pierpaolo Grezzi
2018  (Altrimedia edizioni)
LIBRI E ALTRE STORIE
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26/10/2018
Pierpaolo Grezzi
Lago Negro
Pierpaolo Grezzi ha messo molto se stesso in Lago Negro: ci sono i suoi interessi, la musica, la lettura, i viaggi, la tensione fra il “qui” e “l’oltre”. La sua scrittura è piacevole e, nel dare voce al filosofo, alle sue riflessioni e considerazioni cerebrali, non è scontata, anzi: è evocativa, invita alla riflessione profonda.

Amo i racconti. È nel racconto, più che nei lunghi romanzi, che, a mio avviso, si palesa l’essenza dello scrittore. Per questo trovo coraggioso che uno scrittore si cimenti con un racconto.

Lago Negro è un libro che consta di tre racconti, legati dallo stesso luogo fisico e spirituale, la Basilicata, specificamente Lagonegro, terra di origine di Pierpaolo Grezzi, filosofo-scrittore (e non scrittore-filosofo, attenzione!).

Proprio per il legame con questa piccola regione che solo negli ultimi anni è stata “scoperta” (è infatti diminuito il numero di quelli che… “La Basilicata non esiste”), per cogliere appieno l’atmosfera che permea i personaggi dei racconti, bisogna essere stati almeno una volta in Lucania (ammettiamolo: è più poetico chiamarla così). Questo perché, se è vero che ogni territorio, ogni regione, ogni città addirittura, ha le proprie specificità, e non è che per capire Verga devi essere stato per forza in Sicilia, per quanto esserci stato sicuramente aiuta a capire “meglio”, la Basilicata è una regione a sé. È un posto strano.

Innanzitutto non ha ancora deciso se uscire dal passato, proiettarsi verso il futuro o vivere pienamente il presente; e infatti, è una terra di tradizioni che resistono all’inesorabile cambiamento dei tempi e al contempo una terra che a tutti i costi vuole dimostrare di non essere rimasta ferma, immobile, ai tempi di Carlo Levi (e il tormentone “Cristo si è fermato ad Eboli” è uno dei più citati in assoluto), e quindi si sforza di mostrarsi al passo coi tempi, di iper-tecnologizzarsi, di investire in progetti fantasiosi, senza pensare che si arriva prima a Roma partendo da Capo Nord che da un qualunque paesino lucano.

In secondo luogo, la Basilicata ha un paesaggio pazzesco, mai monotono, molto particolare, come se fosse una sorta di puzzle dei luoghi più caratteristici del mondo. Sono in molti a non saperlo, a conoscere solo Matera e Maratea, suggestive e particolari certamente, ma anche molto “turistiche” e (i lucani mi odieranno) sdoganate, diciamocelo francamente. Comunque, la bellezza della natura in Basilicata convive, fianco a fianco proprio, con i pozzi di petrolio! E quindi può capitare di vivere un’esperienza veramente singolare: passeggiare lungo le oasi di un parco naturale protetto, per esempio, e sentire l’odore dei pozzi di petrolio, alzare gli occhi e vedere le scie di fumo nero che appestano l’aria mentre sullo sfondo le pale eoliche attestano l’impegno della regione nell’impiego delle fonti energetiche pulite.

Infine (avrei molto altro da dire ma non voglio tediarvi) ci sono i lucani, popolo un tempo indomito, oggi molto più domo, la maggior parte dei quali vive fuori dalla Basilicata ma, come tutti, se la porta dietro, o dentro, o sulle spalle come un peso.

Pierpaolo Grezzi la Basilicata se la porta dentro, sicuramente, e in questi racconti si vede. In tutti e tre, infatti, si sente l’appartenenza a quei luoghi, al Lago Negro. Ed è per questo che, come dicevo, per capire i racconti bisogna essere stati in Basilicata, aver conosciuto luoghi e persone, assaporato cibi e profumi della cucina lucana, altrimenti si ha l’impressione di leggere racconti meramente minimalisti laddove quello di Grezzi è invece intimismo, è il dare parola a stati d’animo e ricordi reali, che, e questo lo si avverte, sono molto cari allo scrittore. Ci sono, per esempio, “tipi”, personaggi che, al lettore fortissimo che non conosce la Basilicata, possono sembrare stereotipati, appartenenti ormai ad un vissuto italiano provinciale che è superato da anni. E invece no: proprio per quella contraddizione fra passato e futuro, saltando a piè pari il presente, di cui parlavo prima, questi “tipi” in Basilicata ci sono. Esistono e resistono.

Il libro si potrebbe sintetizzare dicendo che in esso Grezzi cerca di dare una risposta (fra le tante possibili) alla domanda: cosa accade quando, nella vita di una comunità piccola come quella di un paese lucano, si manifesta l’insolito, l’imprevisto, l’“altro”? Nel dare la risposta, appunto, l’autore analizza le reazioni e le trasformazioni che si manifestano nell’intera comunità ma anche all’interno di una coppia, e soprattutto nell’animo dei singoli protagonisti. La cosa peculiare (e molto lucana, molto vera) è il fatto che tali reazioni non hanno l’andamento sensazionale e plateale cui una certa narrativa e fiction degli ultimi anni ci ha abituato, ma sono reali: producono piccoli fondamentali cambiamenti “interni” all’individuo, al singolo, ma sostanzialmente lasciano immutata la struttura profonda della comunità, o della coppia nel caso dell’ultimo racconto, senza produrre alcuna rivoluzione e alcuna presa di coscienza collettiva. C’è forse un certo pessimismo di fondo in questo? Forse. Ma non va dimenticato che Pierpaolo Grezzi, come ho detto all’inizio, è un filosofo-scrittore, e dunque la sua attenzione sembra concentrarsi sulle questioni esistenziali, sul “cielo stellato” sopra i suoi personaggi, per quanto essi possano essere ancorati comunque alla terra.

I protagonisti del racconto sono fermi ma dentro viaggiano, hanno viaggiato, viaggeranno ancora. E l’insolito con cui si misurano, e che li cambia, che li porta a viaggiare dentro, non è necessariamente un fatto straordinario: può essere anche semplicemente il ritorno di un vecchio amore, la scoperta di un segreto mai detto. In tal senso, la natura dell’evento scatenante non è importante e, in effetti, l’originalità non sta tanto nella trama, in qualche modo già sentita, ma nell’evoluzione intima dei personaggi, tant’è che, paradossalmente, il secondo racconto, quello meno originale nella trama, è il più riuscito.

Pierpaolo Grezzi ha messo molto se stesso in Lago Negro: ci sono i suoi interessi, la musica, la lettura, i viaggi, la tensione fra il “qui” e “l’oltre”. La sua scrittura è piacevole e, nel dare voce al filosofo, alle sue riflessioni e considerazioni cerebrali, non è scontata, anzi: è evocativa, invita alla riflessione profonda. D’altro canto, descrivere la normalità non è facile eppure Grezzi ci riesce molto bene.

Tuttavia, come ho detto, Grezzi la Basilicata se la porta dentro, nel cuore, e proprio quando dà spazio al cuore, purtroppo, cade negli stereotipi, nel già letto e sentito, e la scrittura perde forza, risulta scontata, soprattutto nelle descrizioni della natura, laddove il confine paesaggio esterno/interno all’individuo sembra fondersi. È un peccato proprio perché di fatto si sente che quei paesaggi lui li conosce bene e li ha vissuti e li vive nel profondo. Mentre nella descrizione dei personaggi, come si è accennato, lo sguardo è distaccato e la scrittura è lucida e convincente, quando si tratta della sua terra, le sue parole non sono incisive, non colpiscono, risultano vuote e retoriche.

Resta tuttavia la sensazione che questo bravo filosofo possa dare molto di più, come scrittore, e vale la pena seguirne la produzione futura, perché in fondo i racconti di Lago Negro hanno una certa forza nel porsi come una grande metafora della ricerca del proprio posto del mondo, ricerca cui nessun individuo, nel bene e nel male, può pensare di sottrarsi.