"Erbame dich, Mein Gott, um meiner Zahre willer! Scahue hier, Herz and Auge weint von dir Bitterlich"
"Abbi pietà di me Signore, per amore del mio pianto: guarda il mio cuore e gli occhi che piangono amaramente. Abbi pietà di me!"
(J.S. Bach, Passione di San Matteo – Il pianto di Pietro)
“Il violino solista entra introducendo in otto misure Erbame dich e approfondisce senza una parola l’immedesimazione con Pietro toccando con ineffabile tenerezza i nervi scoperti del dolore, della pena e del pentimento. [...] Bach ha trovato un simbolo musicale della fragilità umana, del fallimento, come quello di Pietro che, una volta accusato, cade davanti al primo ostacolo. [...] È questa cruda espressione dei fallimenti umani a rendere Erbarme dich così avvincente e straziante, il coraggio con cui la voce di un contralto (che parla in prima persona senza rivelarsi, rendendo comunque possibile identificarci con essa) tenta di emulare il violino e si unisce alla sua linea, eppure riesce ad affrontare solo alcuni segmenti della melodia (che va oltre l'estensione del contralto)".
(J. E. Gardiner, La musica nel castello del cielo. Un ritratto di Johan Sebastian Bach, Einaudi editore)
Per chi ama l’arte contemporanea suggerisco una visita alla Collezione Paolo VI a Concesio in quel di Brescia. Pochi difatti sanno che G.B. Montini era un grande appassionato d’arte e che, nel corso del suo incarico vescovile a Milano (e ancor più durante il suo pontificato romano) intrattenne rapporti con numerosi artisti come Matisse, Chagall, Magritte, Rouault, de Chirico, Morandi, Fontana, Hartung e tanti altri che, per tale motivo, gli fecero dono di molte opere, raccolte nel museo di arte contemporanea al medesimo intestato.
Una delle preoccupazioni di Montini era quella della perdita del legame tra la dimensione artistica contemporanea e gli spazi sacri, cosicché sollecitò sempre, ove possibile, la realizzazione di opere di artisti viventi a favore dell’abbellimento di edifici sacri. L’arte, per il pontefice bresciano, doveva rimanere un medium evocativo di immediata percezione per chi entrasse (quotidianamente o per la prima volta) in un luogo sacro.
Tale circostanza trova un'assonanza con la mai sopita diatriba relativa al rapporto tra musica contemporanea e pubblico. La materia è complessa e ricca di diverse implicazioni ma un dato penso possa essere tranquillamente affermato: lo iato creatosi tra l’arte contemporanea (sia essa figurativa, teatrale, o, per quanto ci interessa più nello specifico, musicale) e i suoi fruitori, è collegato indissolubilmente all’epoca della tecnica in cui ci tocca vivere.
Quanta della produzione artistica attuale viene definita talvolta, anche troppo pomposamente, concettuale? Quanta della musica contemporanea è cosiddetta a tema, ovvero, quanto si basa su speculazioni teoriche-musicali incomprensibili all’ascoltatore non avvezzo?
Negli ultimi anni, tuttavia, qualcosa nel mondo musicale della “classica” contemporanea è mutato, nel senso peraltro auspicato da Paolo VI; penso ad esempio alla scuola musicale polacca, da Gorecki, a Penderecki, per giungere all’estone Arvo Part, o anche all’opera musicale dell’inglese John Taverner. Musica “primitiva” che parla al cuore delle persone senza necessariamente avere bisogno di mediazione alcuna.
Ecco, tra le tanti opzioni possibili date dall’ascolto, penso che questa possa essere una delle chiavi di lettura di Lacinia di Stefano Pilia.
L’ascolto di brani come "Lacinia In Axis" e la successiva "Lacina Off Axis", "Eve (for strings orchestra)", nonché ovviamente "Ere", arricchito con un sample vocale della grande mezzosoprano tedesca Christa Ludwig (vedasi intervista in calce) pone l’ascoltatore davanti a una materia musicale contemporanea che, seppur meditata concettualmente, non risulta “astrusa” al fruitore della stessa.
Proprio in riferimento a quest'ultimo brano suggerisco di leggere con attenzione la risposta data da Stefano Pilia a una curiosità in merito all’utilizzo di un sample vocale della celebre cantante lirica Christa Ludwig.
Per Pilia il campionamento è la chiave del rebus relativo alla composizione in oggetto: ecco quindi come dalla risposta si svela l’ispirazione e l’origine di "Ere", quasi come il musicista getti un ponte temporale tra la musica del grande Kantor tedesco e la contemporaneità della sua musica, da qui mi perdonerete la lunga citazione iniziale.
"Il problema è come non essere assenti quando il tempo è presente" (A.J. Herschel)
"Che cos’è dunque il tempo? Se nessuno me lo chiede lo so; se volessi spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so" (Sant’Agostino, Confessioni)
L’altra opzione di lettura di Lacinia riguarda il tempo: il tempo della musica ma anche il tempo dell’ascoltatore. Memore della lezioni del minimalismo, le micro variazioni tonali pongono l’ascoltatore in una disposizione d'animo raccolta che rimanda a una dimensione a-temporale, nel senso che è musica del nostro tempo ma, al contempo, fuori dal tempo
La strumentazione utilizzata, per lo più archi, ma anche oscillatori, flauto, organo, trattamenti elettronici, creano un continuum sonoro, un percorso che si sviluppa per tappe, passaggi che si sviluppano con un ritmo “ancestrale”; ecco allora la bellezza della serie plectere, ovvero appunto l’intreccio tra "Cadux (plectere I)", "Maris Stella (plectere II)", "Arborea (plectere III)", "Sidereus (plectere IV)", "Veris (plectere V)", "Matrix (plectere VI)", "Maris Stella (Plectere VII)" che si conclude con un brano significativo anche solo nel titolo come "Cycle (Plectere VIII)".
Musica non per tutti? Certo, ma mi e vi domando: perché? Cadendo pochi giorni orsono il festival musical-nazionale-popolare per antonomasia, possiamo affermare anche che il singolo brano della anche più “becera” musica pop e/o commerciale sia per tutti?
L’interiorità possiede i suoi tempi che, ahimè per il mondo moderno, non hanno il parossistico sapore dell’epoca attuale, volta all’accrescimento materiale e/o all’accumulo di “esperienze” che, il più delle volte, ci lasciano più vuoti di prima.
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Un’opera come Lacinia richiedeva di scambiare due parole con l’autore: Stefano Pilia. Quello che porto a casa dal dialogo intessuto con Stefano, e che vi propongo, è un dato: la creazione artistica (letteraria, figurativa, musicale) è sì il portato dell’artista che la crea ma, come la stessa venga percepita, ascoltata, rievocata, è lasciato al cuore della singola persona che ne fruisce. In altre parole, esiste un rapporto unico e misterioso tra l’opera artistica e chi vi si approccia che, grazie a Dio, non è possibile preventivare prima e da cui si possono aprire scenari sempre diversi e nuovi.
Ciao Stefano e grazie per la disponibilità. Partirei dal titolo del nuovo album Lacinia, che, alla pari del precedente, Spiralis Aurea, è termine latino (utilizzato anche per le singole composizioni). Perché la scelta di una lingua “classica” e che risonanza crea in te tale parola?
Ciao Stefano, grazie a te. Perché è una lingua che è terreno comune di molte lingue europee e quindi di comuni radici semantiche. Inoltre, essendo una lingua non più consueta, il primo aspetto su cui sono portato a porgere la mia attenzione come lettore è innanzi tutto il suono della parola, da cui poi ne consegue la ricerca di significato. Quindi si enfatizza un’asse di senso percettivo che procede dal suono verso il segno e poi verso il significato.
Quel suono chiede di essere re-interrogato o ri-scoperto. Lacinia potrebbe essere tradotto come brandello, orlo, per estensione anche merletto, in inglese potrebbe essere lace (stessa radice) è una parola che ha diverse sfumature.
Quindi, meglio la versione latina rispetto alla riduzione di una possibile traduzione italiana o inglese. Il latino è anche una lingua che mi piace molto, così come il greco, che però conosco molto poco perché non ho avuto modo di studiarlo. Mi piace che poi “guardando verso la notte dei tempi” il tutto si ricolleghi ad altri ceppi linguistici e si possano individuare in senso ancora più generale aree del linguaggio che condividono le stesse radici semantiche e suoni comuni, fino ad arrivare forse ancor prima del linguaggio al suono delle vocali come primi traghettatori di una ricerca di senso pre-linguistica.
Veniamo ora ad analizzare nello specifico la struttura dei pezzi che compongono Lacinia. I brani sono concepiti per ensemble aperti, ad organico variabile. Questo approccio mi richiama alla mente un “fare antico” del metodo compositivo; penso all’Arte della Fuga, o anche all’Offerta Musicale di J.S. Bach, partiture scritte senza una specifica destinazione musicale, o, per venire ad un compositore contemporaneo (anche se la sua scrittura richiama molto la musica “primitiva”) come Arvo Part, ad esempio il brano "Spiegel Im spiegel". Quali sono le ragioni che ti hanno motivato in tale senso?
In questa modalità compositiva mi interessa soprattutto individuare l’architettura, la relazione, la mappa di relazione e i processi che costituiscono l’edificio formale: la forma in senso assoluto. L’urgenza è innanzitutto quella di individuare il principio potenziale che è prima di ciò che si potrà manifestare come possibilità, quel logos che poi animerà il suono, che lo incarnerà, prima di ogni possibile traduzione.
Questo lascia anche un grosso margine esplorativo e interpretativo sulla ricerca strumentale e timbrica e sulle molteplici possibilità realizzative. Aspetto che non reputo affatto secondario ma che intendo lasciare il più possibile aperto come campo di esplorazione e interpretazione. La forma della spirale aurea è osservabile nel guscio di un mollusco così come nella distribuzione della massa stellare attorno al centro di una galassia. Dimensioni e “incarnazioni” così lontane eppure così vicine, perché accomunate dal medesimo principio logico, principio con il quale anche noi come osservatori entriamo in stretta relazione attraverso il pensiero e la coscienza e probabilmente anche come estensione corporea della nostra intelligenza percettiva. Whitman in Foglie d’erba scrive “Laws of the earth and air! If I realize you I have satisfaction”.
Toglimi una curiosità, perché hai deciso di utilizzare nel brano "Ere" proprio un campionamento della grande mezzosoprano Christa Ludwig? C’è una ragione particolare?
Perché volevo inserire nel brano la chiave del rebus, per così dire. La struttura deriva dal Erbarme Dich Mein Gott del Vangelo secondo Matteo di Bach: il percorso armonico è stato simmetricamente invertito e modificato seconde delle alternative modalità di contrappunto. Ho scelto di usare dei campioni di Christa Ludwig perché mi piace molto la registrazione della sua voce in una versione di quel brano e ne dichiarava anche il luogo di provenienza.
Alla pari di Spiralis Aurea, anche in Lacinia noto una grande attenzione al concetto di tempo. Col passare del tempo, appunto, ci si rende conto che l’uomo è un essere temporale. Emmanuel Levinas nella sua opera Le Temps e l’Autre, afferma che “la vita quotidiana è una preoccupazione della salvezza”, tradotto, l’uomo vive il suo tempo (consapevolmente o, purtroppo, inconsapevolmente) con una domanda di senso. Mi pare che nella tua musica emerga una dimensione aperta a tale domanda. Convieni con me, oppure si tratta di una mia interpretazione che può non corrispondere alla tua?
Credo che il senso, se c’è, sia proprio nella ricerca del senso stesso. Riprendo e riporto interamente lo stesso passo di Whitman precedente perché trovo le sue parole in tal senso “luminose”:
“Oh my soul ! If I realize you I have satisfaction / Animals and vegetables! If I realize you I have satisfaction / Laws of the earth and air! / If I realize you I have satisfaction.
I cannot define my satisfaction, yet it is so / I cannot define my life… yet it is so
I swear I see now that everythings has an eternal soul / The three have rooted in the ground... / The weed of the sea have… the animals
I swear there is nothing but immortality! / That the exquisite scheme is for it / And the nebulous float is for it / And the cohering is for it / And all the preparation is for it / And identity is for it / And Life and Death are for it!".
Lacinia in quali formati sarà pubblicato? Anche in questo caso, come in quello di Spiralis Aurea, verrà data una particolare attenzione alla veste grafica soprattutto dell’edizione in vinile, cosicché il disco si configuri come un vero e proprio objet d’art?
In doppio vinile, in cd ed in digitale, Bruno Stucchi come per Spiralis Aurea e in continuità, ha realizzato anche qui una veste grafica stupenda che interpreta in modo appropriato il lavoro musicale. Riporto qui le sue parole “Il disegno di copertina è tratto dai progetti del 1598 di Jacques Foillet, incisore e tipografo umanista, sono degli studi di composizione basati sulle geometrie sacre di Luca Pacioli e i sistemi ricorsivi frattali, che fanno uso del “media” merletto come campo di sperimentazione teorica”, Bruno si è poi ispirato anche a certi mosaici romani e ad Albrecht Dürer.
L’ultima domanda riguarda i prossimi live. Tenuto conto di quanto indicato in merito alla possibilità di esecuzione dei brani con diversi strumenti acustici ed elettronici, dal vivo come pensi di presentare Lacinia?
Per ora in solo in una versione chitarra ed elettronica, in trio con i violoncellisti Mattia Cipolli e Giuseppe Franchellucci sempre sodali collaborati, con i vari gruppi Spiralis, assieme ad Alessandra Novaga e Adrian Utley. Magari in futuro anche con gruppi allargati, laddove ne accadrà mai la possibilità. Manuel Zurria ha eseguito dal vivo una bellissima versione di "Cadux / Plectere I" con il suo ensemble di flauti. Mi piacerebbe non dover essere per forza sempre o solo io a presentare o interpretare questa musica. Sentirla suonare e realizzare da altre/i musiciste/i è un dono di cui sono sempre grato.