“Pensate prima di parlare. Leggete prima di pensare. Questo vi permetterà di riflettere su qualcosa che non è solo farina del vostro sacco: una scelta saggia a ogni età, ma in particolar modo a diciassette anni, quando si è più esposti al rischio di arrivare a conclusioni irritanti.”
Qualora vi stiate chiedendo chi diavolo sia Fran Lebowitz, vi rispondo subito e senza indugi, che è la più nota e irriverente umorista d’America. È nata in New Jersey nel 1950, ma nel 1969, all’età di soli 19 anni, con appena 200 dollari in tasca - che a lei, però, sembravano un piccolo patrimonio che le avrebbe consentito di vivere per sempre senza lavorare, perché lavorare, per sua stessa ammissione, è la cosa che più detesta - si è trasferita a New York e non l’ha mai più lasciata, perché per la Lebowitz, non ci sono cazzi, New York è New York. Punto.
I 200 dollari, però, sono finiti presto e si è dovuta rimboccare le maniche per mantenersi nella Grande Mela, dove la vita, si sa, non costa affatto poco. E così, nell’attesa di riuscire a coronare il suo sogno, che era, ed è, quello di scrivere, ha fatto pulizie negli appartamenti, guidato taxi e scritto racconti erotici, o meglio, pornografici. Ripete spesso che se avesse deciso di fare la cameriera in qualche tavola calda avrebbe guadagnato sicuramente di più, ma si è sempre rifiutata, perché sostiene che avere rapporti sessuali con il manager del locale fosse un prerequisito imprescindibile per l’assunzione, a cui lei, naturalmente, non era disposta a sottostare.
Agli inizi degli anni Settanta venne assunta come editorialista per la rivista “Interview” di Andy Warhol. Curava due rubriche, una sui film brutti e l’altra sulla mondanità newyorkese. All’età di 27 anni ha pubblicato il suo primo libro, “Metropolitan Life”, che ebbe un discreto successo, con ben ottantaseimila copie vendute e qualche anno dopo, nel 1981, ha pubblicato “Social Studies”. Dopo di allora, più niente. Orbene, possiamo sicuramente affermare che Fran Lebowitz sia una tra le più grandi non-scrittrici contemporanee, come lei stessa si definisce.
Fran è una vera e propria macchina da guerra, non molla un colpo, e soprattutto ha un’opinione su tutto. Ma tutto davvero! E sapete qual è il bello? Che la sua opinione, nemmeno a dirlo, è sempre quella giusta. È snob, certo, ma non di uno snobismo convenzionale, piuttosto del tipo: “Sei d’accordo con me, vero?”, e se non lo sei, beh, sono cavoli tuoi, perché in un modo o nell’altro, ci girerà talmente attorno che sarà quasi impossibile giungere a una conclusione diversa dalla sua. Solo che, alla fine di tutto, devi sperare di riuscire ancora a ricordarti quale fosse il punto di partenza della discussione…
La Lebowitz è misantropa, definisce le persone dozzinali, per lei sono quasi tutte uguali, e non si riferisce solo all’estetica, ovviamente, però le piacciono i bambini, al punto da ritenere la loro compagnia infinitamente preferibile a quella degli adulti, soprattutto perché fanno domande decisamente migliori e meno tendenziose.
È totalmente allergica alla tecnologia. Non possiede, per scelta, un cellulare e nemmeno un computer, e questo vuol dire che non ha un account Facebook, Instagram o Twitter. A lei piacciono i libri, che considera in assoluto la migliore forma di compagnia nella vita, tant’è che ne possiede un numero esorbitante, pare che siano all’incirca centomila.
Detesta la banalità e non fa mistero di quelli che sono i suoi limiti culturali che però, vista la sua sete di imparare, non ha mai smesso di colmare, seppur da autodidatta. Rimpiange il fatto di non aver ricevuto un’adeguata istruzione formale, e ancor di più il non aver frequentato una grammar school (scuola secondaria Cattolica). A suo avviso, infatti, gli unici che conoscono davvero la grammatica sono quelli che hanno frequentato quel tipo di scuola: “Tutti dovrebbero frequentare una grammar school cattolica, anche chi non è cattolico”, e Fran non lo è, visto che è un’ebrea americana di seconda generazione. Atea, però.
È nottambula, soffre di insonnia da anni, precisamente dal 1962, e così passa le sue nottate, ma anche le sue giornate, a leggere e ogni tanto, ma solo ogni tanto, a scrivere. Ma accade raramente, perché scrivere “è un lavoro intrinsecamente difficile. L’unico mestiere peggiore è il minatore” e lei è in preda a un blocco dello scrittore decennale e ci ride parecchio su questa cosa. Però è ottimista… È convinta che prima o poi, probabilmente entro questo secolo, riuscirà a portare a termine il suo romanzo, di cui pare abbia scritto, al momento, un solo capitolo.
Non è una donna avvenente, inutile girarci attorno, e veste sempre allo stesso modo, giacca maschile, camicia, jeans e stivali da cowboy, ma a lei non serve altro, perché ha fatto dell’intelligenza, della cultura, della sagacia, della personalità e soprattutto dell’umorismo, i suoi punti di forza. Fran Lebowitz è indubbiamente una donna estremamente affascinate e curiosa, di quelle che staresti ad ascoltare per ore, un po’ come ha fatto Martin Scorsese, che le ha dedicato il documentario “Public Speaking” e in seguito una Docuserie di sette puntate su Netflix, “Fran Lebowitz: Una vita a New York”, che vi consiglio vivamente di vedere, non solo perché è esilarante, ma anche e soprattutto perché è interessante. È a suo agio davanti alla telecamera, si vede che è abituata a parlare in pubblico, risulta spontanea e naturale, probabilmente perché ha le idee chiare su molte cose, sa sempre quel che dice e lo fa con grande convinzione. Ospite abituale del “Late Show”, ha recitato in “The Wolf of Wall Street” e nelle serie tv “Low & Order” e “Criminal Intent”.
In molti hanno definito la Lebowitz come politicamente scorretta, ma in verità è solo una persona che dice sempre ciò che pensa, senza peli sulla lingua, ed è fermamente convinta che “far ridere è come essere alti: una cosa che non si può imparare né insegnare. O fai ridere, o non fai ridere. Vedi le cose in modo comico oppure no.”
Non si fa scrupoli, ad esempio, nel definire Ronald Reagan come il primo idiota alla Casa Bianca, “il prototipo del presidente stupido”, dopo di lui George W. Bush e poi Trump. Chiosa affermando che “gli stupidi sono i più pericolosi di tutti”, e ha ragione, perché richiama un po’ quel modo di dire che recita “uno stupido ti fa ridere e uno stupido ti fa piangere”.
“La vita è qualcosa da fare quando non si riesce a dormire” è una lettura divertente e leggera, ma mai banale o superficiale. Le pagine scivolano via veloci, ed è quasi impossibile non chiedersi come faccia, questa benedetta donna, ad avere davvero un’opinione su tutto!
Parla di letteratura, poesia, musica, cucina, luoghi comuni, animali domestici e naturalmente dei loro padroni e del suo rapporto d’amore con le sigarette, il letto e i mobili di buona fattura. Lei, che dichiara di non aver quasi mai lavorato nella sua vita, propone test per valutare se siete tagliati o meno per svolgere le più disparate professioni; dispensa consigli sulle buone maniere; sviluppa una serie di “pro o contro” sull’avere figli; parla di scienza, di bambini, di adolescenti, delle persone in senso lato, di investimenti immobiliari, di vezzi e chi più ne ha, più ne metta. Giuro che potrei andare avanti per ore ad elencare l’infinità di argomenti su cui si è soffermata. Una delle pagine più esilaranti è quella intitolata “Scrivere: un ergastolo”.
Il libro, che è una raccolta di quasi tutti i suoi scritti, contiene anche interviste più o meno recenti e molti dei pezzi che aveva pubblicato in passato sulla rivista “Mademoiselle”, che ai tempi aveva ospitato tanti scrittori divenuti poi famosi.
Giudica, critica, dispensa consigli e ammette che le piacerebbe tanto diventare il sindaco di New York, quello della notte, però. Di quella notte che lei ama tanto, che conosce bene e che, praticamente da sempre, vive molto di più del giorno, perché “la vita è qualcosa da fare quando non si riesce a dormire. Pertanto, ciò che chiamiamo “civiltà”, sono solo i resti accumulati di un numero agghiacciante di nottatacce.”
Un’ultima cosa ve la voglio dire, se e quando andrò a New York, il mio desiderio più grande sarebbe quello di avere Fran Lebowitz a farmi da guida, perché la New York che voglio scoprire è proprio quella a cui lei è tanto legata, e che in pochi sanno raccontare così bene… L’altro che mi viene in mente è Woody Allen. E non ho altro da aggiungere.