Qualche sera fa, chiacchierando con un’amica, è venuta fuori questa considerazione: durante il Lockdown mi sono concentrato quasi esclusivamente sulla Trap perché il fattore dei concerti era ovviamente in standby. Effettivamente prima ascoltavo prevalentemente Rap ma sempre con un occhio di riguardo verso tutto ciò che usciva, mentre il dato dei live a cui partecipavo era inversamente proporzionale: tanti live Pop e Indie ma pochi Trap. Questo per il semplice fatto che la Trap soffre di una forte mancanza qualitativa nei set rispetto agli altri generi (a parte rari casi) e questo è innegabile anche per un fan del genere come me.
Ricordo ancora quando a fine 2015 andai a sentire Sfera Ebbasta in un locale della mia zona insieme a non più di 150 persone e l’artista eseguì tutto il set con basi e voci pre-registrate (di fatto in playback), con la sua voce live e quella registrata che si univano permettendogli di staccare e interagire coi fan senza perdere il filo della canzone. Rimasi stupito ma soddisfatto. Era il primo in Italia a farlo e funzionava per due ragioni: innanzitutto si trattava dell’ennesima rottura rispetto ad un genere che stava invecchiando, e questo agli occhi di un quindicenne come ero io ai tempi, sembrava la cosa più rivoluzionaria del mondo. La seconda è che quel live non era confusionario ma voleva invece porsi come una festa più che come un live vero e proprio: come lo show up della star che si diverte.
In seguito i concerti iniziarono a essere organizzati in discoteche sempre più piccole, con sempre più gente e in maniera sempre più confusa. Dunque presi la decisione di non andare più a nessun evento che non fosse organizzato in maniera decente. Anche buona parte del pubblico, notata la stessa cosa, iniziò a richiedere un aumento della qualità e questo è pure uno dei pochi casi in cui il Bel Paese non può nemmeno guardare la situazione americana, dato che a parte poche stelle del genere che puntano tutto sui concerti (come Travis Scott), la situazione è ancora peggiore, basti vedere qualche set del Rolling Loud (il festival più importante del genere).
Tutto questo per dire che la Trap, nonostante sia il mio genere preferito, ha problemi coi live, e probabilmente è proprio per questo che durante la quarantena è stato forse l’unico genere a subire poche ripercussioni negative: per una volta, si direbbe, puntare quasi esclusivamente sul lavoro in studio ha favorito i protagonisti della scena. E così, perdendo un po’ di interesse verso gli altri generi e non potendo andare a nessun concerto, anche io mi sono concentrato quasi completamente sulla Trap, in particolare quella d’oltreoceano.
Ma i concerti possono scomparire completamente? Evidentemente no e infatti c’è chi ha fatto in modo di rispondere a questa esigenza organizzando dei live in streaming. Tra le varie proposte degli ultimi mesi, mi vorrei concentrare su due eventi che hanno mostrato due soluzioni opposte. Il primo, anche a livello temporale, è stato quello di Gunna, che per presentare il suo disco “Wunna”, uscito il 31 maggio, ha realizzato un concerto nel giardino di una villa a LA, trasmesso gratis su YouTube, in cui è stato accompagnato da chitarra, basso, batteria e tastiere. Per lui questo album era fondamentale: trattandosi del primo da vera star della scena e non più da semplice rookie, si trovava a dover dimostrare, in primis ai suoi fan, di non essere noioso e monoflow come gli era stato detto più volte, soprattutto dopo il precedente “Drip or down 2”. “Wunna” è stato accolto molto bene dal pubblico, è un progetto in cui si vede tutto il suo potenziale, a cui ha lavorato per molto tempo, in parti diverse del pianeta, ma sempre con lo stesso team di super producer alle spalle, tra i quali spicca Wheezy.
Il live è iniziato, come il disco, con “Argentina” e dopo un paio di brani è migliorato sensibilmente, lo stesso Gunna si è lasciato andare migliorando in corso d’opera anche i risultati vocali. La setlist era ben studiata, si è concentrata sull’ultimo disco, senza lasciare indietro le hit principali come “Outstanding” e “Drip too hard”, e hanno trovato spazio anche chicche da fan come “Top Off”. Ma soprattutto, si è trattato di un concerto in cui è risaltato il lavoro eseguito con la band, con ogni brano riarrangiato in maniera eccellente e un paio di momenti in cui sono state trovate soluzioni eccezionali, come la transizione tra “Sold out dates” e “Yosemite” o la chitarra elettrica particolarmente marcata in “Hot”. Un live fatto veramente bene, che si è concluso dopo un’ora abbondante col protagonista che se n’è andato sull’iconica “F*ck tha police” degli N.W.A. chiedendo giustizia per George Floyd, ucciso meno di una settimana prima e con vari link in cui sostenere il movimento Black Lives Matter.
Il secondo concerto a cui ho assistito è stato quello di Lil Uzi Vert, programmato per il 27 agosto, con un biglietto dal costo di 15$, realizzato a Philadelphia in collaborazione con Rock Nation e Tidal, tutti fattori che hanno contribuito ad alzare le aspettative. Questo concerto, a differenza del precedente, è stato eseguito al chiuso, in un locale vuoto, su un palco circolare pieno di schermi che trasmettevano immagini in loop. Anche per Uzi è stata la prima esibizione dopo l’uscita dell’ultimo disco “Eternal Atake”, un progetto che veniva rimandato da più di due anni e che alla fine ha preso luce a marzo in una forma molto estesa di doppio disco per un totale di 32 brani dalla durata di 1 ora e 45 minuti; si trattava forse dell’album più atteso dell’anno e il pubblico non è rimasto deluso, anche se neppure esaltato come ci si sarebbe aspettati. Sul live purtroppo c’è poco da dire: meno di tre quarti d’ora in cui si è data maggior importanza alla parte, a mio parere, meno interessante del disco, con lui accompagnato esclusivamente dal dj, le voci registrate in sottofondo e il volume del microfono bassissimo, per cui l’ottima voce di Uzi è uscita fuori solo in un paio di passaggi, tra i quali dei “Go, Go, Go” urlati dal cantante in un locale completamente vuoto che hanno fatto più o meno lo stesso effetto di quello che, qualche settimana fa, aveva provocato Kimberly (moglie di Donald Trump Jr.) che urlava slogan alla Convention repubblicana in una stanza vuota, ottenendo un effetto molto “weird”. Insomma, se non fossi stato con amici a vederlo, probabilmente avrei spento a metà perché in un live realizzato in streaming, il sopracitato effetto dello show up della star non funziona. La Trap è comunque un genere prevalentemente adolescenziale, in cui spesso al pubblico basta che il proprio idolo compaia davanti a loro e li gasi un po’, ma mi sembra evidente che in una situazione come questa ciò non possa funzionare.
Insomma, non so come si evolverà la situazione dei live in generale, e non so come saranno quelli Trap tra un paio di anni. Anche perché dai protocolli anti Covid di quest’estate (per lo meno in Italia) era possibile realizzare praticamente solo i set in discoteca, che rappresentano l’apice dello show up da star. Magari i live prenderanno la direzione opposta, quella anticipata da Gunna in questo caso, che personalmente è ciò che spero, o forse no e si continuerà così. Qui ci sarebbe da fare un altro ragionamento sui luoghi dove vengono realizzati i set e sui cachet percepiti dai trapper, ma direi che mi sono dilungato abbastanza. In conclusione, ho scritto tutto questo solo per dimostrare che anche con la musica Trap si possono fare degli ottimi live. Rimango tuttavia convinto che a volte siano proprio gli artisti stessi, in un genere in cui le personalità sono molto risaltate, che preferiscano far spiccare sé stessi più che la propria musica.