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MAKING MOVIESAL CINEMA
La terra dell'abbastanza
Fabio e Damiano D'Innocenzo
2018  (Adler Entertainmanet )
NOIR DRAMMATICO
all MAKING MOVIES
09/09/2020
Fabio e Damiano D'Innocenzo
La terra dell'abbastanza
Quello che colpisce in questo film dei D'Innocenzo è la mancanza assoluta di caratura morale di questi giovani, un'incapacità di distinguere tra bene e male e di dare valore a un gesto, alla vite delle altre persone...

Dopo aver visto Favolacce dei fratelli D'Innocenzo ho voluto recuperare anche il loro esordio, La terra dell'abbastanza, film che ha fatto conoscere i due gemelli al Festival di Berlino e che valse loro diversi premi tra i quali il Nastro d'Argento come migliori registi emergenti. Anche il loro primo film si occupa di periferie e disagio sociale, lo sguardo è di profondo pessimismo, fa specie vedere come nei film di due autori così giovani sia bandita completamente la speranza. Rispetto al successivo Favolacce questo film, seppur molto duro, risulta più ricevibile in quanto sono qui assenti i più piccoli, lo sfacelo non lo vediamo arrampicarsi sulla pelle dei bambini e il contesto narrato, pur con delle interessanti differenze, l'abbiamo già visto rappresentato sugli schermi innumerevoli volte, i due registi tra l'altro sono anche sceneggiatori del cupo Dogman del loro mentore Garrone, altro film che ben si inserisce nel filone. Ancora una volta c'è un vuoto generazionale tra gli elementi cardine del film, quell'incapacità genitoriale non solo di prendersi cura in maniera dignitosa dei propri figli, qui potrebbero intervenire mille attenuanti sociali, lo sfascio è questione di Stato, ma quel vuoto educativo e d'amore è personale, un padre (un grande Max Tortora) sbagliato, una madre (Milena Mancini) incasinata e poco "figura materna", mettono l'ultimo chiodo sulla bara di due ragazzi traviati dal contesto locale e disumanizzati da una società tutta non più in grado di passare i giusti valori.

Mirko (Matteo Olivetti) e Manolo (Andrea Carpenzano) sono amici per la pelle, discutono insieme di quale sarà il loro futuro, cazzeggiano, scelgono l'indirizzo scolastico insieme per non separarsi, biascicano parole in una cadenza che a volte è tutta da decifrare (appunto mosso più volte per i due film dei D'Innocenzo, dialoghi e audio a volte difficoltosi da comprendere). Siamo in una periferia romana che offre poche opportunità, una sera i due ragazzi, durante un'uscita in auto, investono inavvertitamente un uomo uccidendolo, presi dal panico scappano senza prestargli soccorso e senza denunciare il fatto. Si rifugiano da Danilo (Max Tortora) padre di Manolo che consiglia ai ragazzi il totale silenzio. Il giorno dopo il padre di Manolo verrà a sapere che il morto è un traditore del clan locale nel quale lui stesso ha qualche conoscenza, l'uccisione dell'uomo sarà l'occasione per Manolo e suo padre di farsi belli agli occhi del piccolo boss Angelo (Luca Zingaretti) e di avere finalmente l'occasione per "svoltare". I nuovi fatti incrinano l'amicizia tra Manolo e Mirko a causa dell'esclusione di quest'ultimo dalle nuove dinamiche, ma nel giro della malavita (dis)organizzata c'è sempre bisogno di papponi e killer incoscienti.

Quello che colpisce in questo film dei D'Innocenzo è la mancanza assoluta di caratura morale di questi giovani, un'incapacità di distinguere tra bene e male e di dare valore a un gesto, alla vite delle altre persone; due ragazzi che in apertura di film ci sembrano tutto sommato ragazzi come tanti, si scoprono privi di una basilare scala di valori, dove a frenarne l'impeto in alcune situazioni sono solo l'inesperienza e la paura, mai una valutazione che dovrebbe esistere a priori della gravità di una scelta sbagliata o di una decisione immorale. A dare corpo a Mirko e Manolo due bei volti, Olivetti e Carpenzano hanno le facce e l'attitudine giusta, anche in questa occasione i registi si confermano ottimi direttori d'attori e registi capaci di un bello sguardo, caratteristica che si evolverà nel successivo Favolacce. Manca anche qui la speranza, come capita in altre storie criminali italiane che guardano alla realtà (qui si pensa a Roma Capitale, in Gomorra alla camorra e via discorrendo) mancano totalmente lo Stato e l'autorità, la deriva verso la perdizione assume un crudele tono di naturalezza, un'evolversi scontato delle cose che non dovrebbe esistere in un paese civile. La terra dell'abbastanza sembra quasi un grido d'aiuto da parte di due giovani che sappiamo bene rimarranno in questo inascoltati (il riferimento è ai registi che stanno inscenando un'importante denuncia sociale, e non ai protagonisti del film). Ottimo esordio, registi interessanti che speriamo possano trovare in futuro un briciolo di luce a illuminare la loro terza opera, una luce di qualità come quella usata per "illuminare" i loro film.


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