Volendo parlare di Gomorra - La serie ci si potrebbe concentrare sui personaggi, sulla loro evoluzione e sulle loro gesta criminali; potremmo parlare dei luoghi, dello sguardo sugli stessi e su come questi, seppur circoscritti (almeno nella prima strepitosa stagione), donino alla serie un respiro internazionale, segno di una visione d'insieme intelligente da parte dei realizzatori ricollegandoci ai quali potremmo parlare di regia, sceneggiatura, fotografia. Si potrebbe affrontare il discorso legato ai temi sociali, alle occasioni di denuncia che la serie potrebbe essere chiamata a testimoniare. Ancora si potrebbe soffermarsi su volti e recitazione. Ma, fermo restando la validità di tutte queste caratteristiche delle quali parleremo, il punto forte della serie rimane la semplice e pura narrazione, realizzata ad arte da un team che tiene saldo in ogni singolo momento il filo di una struttura corale e orizzontale, pur concedendo qualcosa alla verticalità di diversi episodi che si inseriscono al meglio in un contesto continuativo e più ampio, in un'epoca in cui la verticalità fine a se stessa ha perso d'attrattiva (fatto salvo per gli antologici) e fatica a trovare il consenso del pubblico più giovane.
Gomorra vive di intrighi, tradimenti, giochi di potere, violenze e tensione, è un ordigno a orologeria perfetto (che forse diventa un po' schema a un certo punto) e che trova un'esplosione già sul finale della prima stagione, finale aperto che costringe lo spettatore all'attesa spasmodica della seconda annata che non delude (il primo vero calo arriva con la quarta e finora ultima stagione), in più la capacità di scrittura e di messa in scena della squadra che sta dietro alla serie, che vede coinvolti sia Roberto Saviano che registi e sceneggiatori tra i quali Stefano Sollima, la Comencini e Cupellini, rende il prodotto appetibile a ogni latitudine seguendo la recente inclinazione a portare la nostra serialità fuori da un provincialismo che sinceramente non ci meritiamo più, a parere di chi scrive, giusto per fare un esempio, sul piano della scrittura almeno la prima stagione di Gomorra (ma anche gran parte delle due successive) risulta superiore a quasi tutto ciò che è stato scritto per l'osannato Il trono di spade (che comunque ha degli ottimi momenti qua e là). Altro aspetto che non era facile da gestire era quello della resa di personaggi criminali e spietati, calati in un contesto estrapolato da una realtà nostrana molto delicata, uomini che non andavano mitizzati e non avrebbero dovuto diventare idoli per lo spettatore, onde evitare di andare a ferire chi quel tipo di realtà la vive sul serio e ne è vittima. Anche in questo Gomorra è perfetta, i protagonisti sono tutti respingenti, non si può empatizzare con nessuno, all'interno di un cast di attori capaci tutti sono alle prese con la personificazione del male, con l'interpretazione dei peggiori elementi che una fetta disadattata della nostra realtà è riuscita a produrre. Si è lavorato magnificamente sull'evoluzione degli stessi, in particolar modo nella prima stagione sullo sviluppo di Genny Savastano (Salvatore Esposito) che da figlio di papà potenziale erede di un impero criminale, un ragazzone che non ha mai sparato e ancora cerca l'abbraccio della mamma, diventa una spietata macchina di morte a capo della nuova generazione in ascesa nella scalata al potere. Delineati in maniera perfetta i protagonisti, su tutti Ciro l'immortale (Marco D'Amore) che crescerà invece fino a fine terza serie, Don Pietro Savastano (Fortunato Cerlino) e la consorte Donna Imma (Maria Pia Calzone) fino ad arrivare a tutta quella serie di coprotagonisti che in qualche modo, più o meno continuativo, si avvicenderanno nel malaffare fino a fine della quarta stagione: Sangueblù (Arturo Moselli), Scianel (Cristina Donadio), 'o Diplomato (Andrea Di Maria) Don Salvatore Conte (Marco Palvetti), Patrizia (Cristiana Dell'Anna), etc. Ferale la messa in scena di una Scampia e di un hinterland napoletano vero e proprio ostaggio della criminalità, quasi a metafora della realtà, nella serie le forze dell'ordine raramente compaiono, in un territorio dove notoriamente lo Stato è per scelta assente.
A fronte di una prima stagione inattaccabile, seguono altre due ottime annate che continuano a puntare sul coinvolgimento dello spettatore che impara presto a non affezionarsi troppo ai protagonisti, calati in un contesto dove "oggi ci sei, domani non ci sei più", nonostante un'apertura nei luoghi è fuor di dubbio come con l'andare degli episodi si evinca un poco di schematismo nella costruzione degli stessi, sappiamo che ci aspetterà un'ascesa, un nuovo status quo, un personaggio emergente, un tradimento, un morto ammazzato. Gli ingredienti si ripetono ma i cuochi sono in grado di gestirli al meglio, almeno fino alla quarta stagione che accusa una caduta di tono evidente, paga probabilmente la partenza per lidi cinematografici di Ciro Di Marzio, detestabile personaggio dal carisma però ineguagliabile, e anche qualche ingenuità nella tessitura delle trame.
Gomorra è uno dei prodotti seriali italiani più avvincenti di sempre, resta da capire e valutare quanto quello che nella serialità italiana è divenuto ormai un filone, legato alla narrazione della criminalità più o meno organizzata che con Gomorra, Romanzo Criminale e Suburra (ma anche 1992 scava nel nostro marcio) ha già detto molto sull'argomento, possa ancora essere sfruttato, quanto possa produrre ancora prodotti di qualità che abbiano qualcosa da aggiungere sull'argomento. Gomorra ha significato tanto e si è ritagliata il suo spazio nella storia della nostra televisione, tenendo però conto dell'ultima stagione e della mole di serialità affine, si appresta probabilmente l'ora di trovare un'altra strada, di cercare altri luoghi, meno devastati e vili, dove traghettare il nostro narrare.