“È cattiva la gente che non ha provato il dolore” disse Mara.
“Perché quando si prova il dolore, non si può più voler male a nessuno.”
Quando ci si accinge a scrivere una recensione come questa, è quasi impossibile non provare un certo timore reverenziale, perché La ragazza di Bube non è semplicemente un libro. È “il libro”. È un romanzo fondamentale e imprescindibile per la formazione culturale, sentimentale, civile e morale di noi italiani. È il libro che ci mantiene in contatto profondo con un pezzo importantissimo della nostra storia e che ha unito, e continua a unire, come fosse un ponte, le generazioni del passato, quelle del presente e si spera, anche quelle del futuro se, come noi, avranno la fortuna di leggerlo ancora, cosa tutt’altro che scontata, ahimè.
La ragazza di Bube decretò il successo, anche internazionale, del suo autore, Carlo Cassola (Roma, 1917- Montecarlo di Lucca, 1987). Nel 1960 venne insignito del Premio Strega e, nel 1963, fu fonte d’ispirazione per Comencini che ne trasse l’omonimo e celebre film, interpretato da una splendida e giovanissima Claudia Cardinale e da George Chakiris.
Il romanzo è ambientato in Toscana, all’indomani della Liberazione dell’Italia dall’occupazione nazifascista. Anni molto difficili, sia prima che dopo, durante i quali il popolo italiano si è ritrovato a fare i conti non solo con il conflitto mondiale e le sue pesantissime conseguenze, ma anche con una crisi d’identità, sia politica che sociale, non indifferente: una scia di morti e distruzione alle spalle, un consistente incremento del divario tra nord e sud, già iniziato, peraltro, durante i primi anni del fascismo e la necessità di rimettere insieme i cocci, nonostante la popolazione fosse ancora carica d’odio e rancori, frammentata tra chi strizzava l’occhio alla monarchia e chi al fascismo, in contrapposizione agli antifascisti e ai partigiani, che si erano opposti con tenacia al regime, combattendo per la libertà di un’intera nazione. E stiamo parlando di decine di migliaia di uomini e donne, di ogni estrazione sociale, che hanno partecipato attivamente alla guerra di liberazione italiana, sacrificando la propria vita. Migliaia di caduti in combattimento o vittime di rappresaglie e stragi, mutilati, torturati e deportati nei lager nazisti.
Ed è proprio in questo contesto storico che si sviluppa la trama del romanzo. Mara Castellucci vive a Monteguidi con la sua famiglia, il papà, militante del partito comunista, la madre e un fratello. Ha appena 16 anni quando incontra per la prima volta Bube (Arturo Cappellini), che di anni ne ha 19, un giovane partigiano, considerato da molti un vero e proprio eroe, il “vendicatore”. Bube era “compagno del povero Sante”, il fratellastro di Mara caduto durante la Resistenza. Combattevano insieme, spalla a spalla, erano come fratelli, ed è per questo che sulla via del ritorno verso casa, a Volterra, decide di fermarsi a far visita alla famiglia dell’amico morto.
Tra Mara e Bube nasce fin da subito una certa simpatia. Mara, quasi completamente a digiuno delle cose che riguardano il cuore, si sente incuriosita e attratta da questo giovane sconosciuto che le sembra un uomo già fatto e finito. Forte e deciso. La fantasia prende il sopravvento, insieme al suo desiderio di sentirsi donna. Si scambiano diverse lettere. Bube va nuovamente a trovarla e in una di queste occasioni, andando contro il volere di Mara, che in fin dei conti lo conosceva appena e forse aveva solo voglia di giocare un po’ a farsi corteggiare, informa il padre della loro relazione. L’uomo accoglie la notizia con entusiasmo: “sono contento che mia figlia si sia fidanzata con un compagno e amico del povero Sante”. La madre di Mara, però, non è dello stresso avviso: “Sante, tu, non lo devi nemmeno nominare. Quella è figlia tua, può fidanzarsi anche col diavolo. Ma qui in casa no, non ce lo voglio.”
Passano i mesi e il rapporto tra i due continua, ma è soprattutto epistolare. Bube è sempre più coinvolto e le scrive che vorrebbe sposarla, mentre Mara, dal canto suo, pensa a lui sempre più raramente ed è totalmente immersa nella sua vita reale. Anzi, ha anche buttato via la sua foto e di impegnarsi seriamente con uno sconosciuto, non ne vuole sapere. Ciò che la intriga, infatti, non è la relazione in sé, ma più che altro l’idea di averne una. Le piace avere un ammiratore che le dedichi delle attenzioni e soprattutto la diverte il potersi atteggiare da donna con le sue amiche e vantarsi, davanti a loro, di avere un fidanzato forestiero.
Diversi mesi dopo, passato l’inverno, Bube si presenta nuovamente a casa di Mara e le comunica di dover ritornare a Volterra per nascondersi, in quanto è ricercato per omicidio. Mara, nonostante i molti dubbi, spinta da un desiderio di evasione e scoperta, visto il benestare del padre, decide di seguirlo in quello che lei pensava potesse essere un viaggio di svago e piacere. Ma così non è. Bube, infatti, per evitare di essere catturato, mentre è ancora con lei, è costretto a lasciarla da sola e fuggire. Vivrà per moltissimi anni in esilio in Francia e poi, una volta arrestato, verrà condannato a diversi anni di carcere e Mara si ritroverà a sacrificare gli anni più belli della sua giovinezza, imbrigliata, per devozione e pietà, in una storia d’amore bruscamente interrotta sul nascere dal corso degli eventi, cui era impossibile opporsi.
La figura centrale di questo romanzo è proprio quella di Mara, questa giovane donna che con immensa dedizione si farà carico non solo della propria vita e delle proprie speranze, ma anche di quelle di Bube. Gli resterà fedele sempre, anche quando si scoprirà innamorata di un altro uomo, con cui potrebbe, giustamente, cornare il desiderio di una vita “normale”, fatta di una quotidianità condivisa e piena. “Metti che domani torni e mi trovi fidanzata o magari sposata con un altro: come ci rimarrebbe?”
Mara è molto giovane, eppure, pagina dopo pagina, la vedremo crescere e maturare. Sempre idealmente accanto a un giovane uomo di cui non ricorda nemmeno più la faccia. “I lineamenti forse sì, ma non l’espressione”. Dimostrerà di essere forte e determinata e di avere una morale radicata, per certi versi infantile, tipica di quella fase della vita in cui si tende a idealizzare l’amore, in nome del quale si è disposti a compiere qualsiasi tipo di sacrificio. Compassione, rispetto, sensibilità e sensi di colpa saranno gli ingredienti del suo sacrificio personale, che la porteranno a giustificare, senza se e senza ma, le azioni commesse da Bube, da lei visto come la vittima di un “sistema guerra”, di una società e di un partito politico che prima lo hanno educato alla violenza - perché necessaria alla causa - sfruttato, e poi punito e abbandonato. “Capisce? Tutto quello che Bube ha fatto, anche l’uccisione del figliolo del maresciallo, è stato perché credeva che fosse suo dovere…”. Perché è innegabile che la guerra cambia da dentro, altera le percezioni e stravolge i valori. La guerra, per chi l’ha combattuta in prima persona, non finisce mai e soprattutto non smette mai di fare male.
Mara si ritroverà, suo malgrado, a dover imparare tante cose e ad affrontarne altrettante, come il dover testimoniare davanti ai carabinieri, il presenziare al processo a carico di Bube, a fargli visita in carcere e a sperare che un’amnistia possa cambiare il corso delle cose e naturalmente delle loro vite. Mara non cede di un millimetro, mai. “Io non ti abbandonerò mai, Bube, qualunque cosa succeda… a qualunque pena ti condannino.”
Una trama semplice e affascinate, immersa in un contesto sociale difficile, fanno di questo libro un vero e proprio capolavoro. La ragazza di Bube sembra un dipinto. Le parole di Cassola sono pennellate di colore piene e delicate. Il risultato è un quadro che ci restituisce un’immagine impeccabile di quegli anni. Una narrazione lineare e pulita, piena di descrizioni bellissime. Gli ideali, lo scorrere inesorabile del tempo, la vita che passa, le speranze che pian piano cedono il passo alla rassegnazione e il cuore che, nonostante tutto, non smette mai di battere e gli occhi che ritornano a brillare e a sperare nuovamente, non appena intravedono un raggio di sole, come quello che, nelle righe finali del romanzo, investe Mara mentre è sulla corriera, diretta a Colle. “Alla prima curva, si scoprì la Valdelsa. C’era un mare di nebbia, laggiù: da cui emergevano come isole le sommità delle collinette. Ma il sole, attraversando coi suoi raggi obliqui la nebbia, accendeva di luccichii il fondovalle. Mara non distoglieva un momento gli occhi dallo spettacolo della vallata che si andava svegliando nel fulgore nebbioso della mattina.”
Una piccola curiosità: Cassola, per la sua storia, si è ispirato a un fatto di cronaca realmente accaduto nel 1945. Una sparatoria avvenuta alla Madonna del Sasso, in seguito alla quale, esattamente come nel romanzo, morirono un partigiano, un maresciallo dei Carabinieri e il suo figlio diciassettenne. Dell’omicidio del carabiniere e di suo figlio fu accusato Renato Ciandri (Bube), che all’epoca era fidanzato con la giovanissima Nada Giorgi (Mara) che, nonostante la condanna di Renato a 19 anni di detenzione per duplice omicidio, non lo ha mai abbandonato, arrivando al punto di sposarlo mentre era in carcere. Qualche anno fa è anche stato pubblicato un libro dal titolo Nada, la ragazza di Bube, di Massimo Biagioni, che racconta, appunto, la storia vera che si cela dietro al romanzo.