Nel complesso (parere personale) La nube purpurea è il romanzo più noioso pubblicato nella collana Urania - 70 anni di futuro, almeno fino a questa undicesima uscita.
La collana che celebra(va) i 70 anni di Urania in realtà ha già concluso la sua corsa con la quarantacinquesima settimana, dati però i tempi di lettura di chi scrive e l'alternanza di questi volumi con romanzi di diversa natura, qui per forza di cose si arriva a parlare de La nube purpurea con un certo ritardo. Ancora non mi è possibile dire se ci saranno in futuro (o se ci sono state in passato se vogliamo abbandonarci al paradosso) all'interno della collana uscite più tediose di questa, ma per la mia traballante pazienza mi auguro vivamente di no.
Nel dire ciò non voglio fare torto oltre misura né a Matthew P. Shiel né tantomeno alla sua opera, a cui parziale discolpa si può argomentare dicendo che in fondo si tratta di un volume pubblicato la prima volta nel 1901, ben più di un secolo fa; la sensibilità dei lettori è molto mutata da allora, l'approccio alla scrittura anche, non di meno sappiamo tutti benissimo come alcuni classici facciano ancora impallidire romanzi moderni, indegni finanche di presenziare sugli stessi scaffali (e nelle stesse librerie) di alcuni dei loro illustri predecessori. Quindi sì, un occhio di riguardo ma nemmeno poi troppo.
Shiel, nato britannico ma geograficamente antillano (è stato anche incoronato re di un'isola deserta dei Caraibi), vede proprio La nube purpurea come sua opera più nota, considerato uno dei primi romanzi in assoluto di stampo apocalittico.
Siamo in un periodo storico in cui impazza la febbre per la corsa al Polo Nord, le spedizioni si susseguono ma finora nessuno è stato in grado di raggiungere l'ambita meta. Il medico londinese Adam Jeffson ha dei contatti tra l'equipaggio di una delle prossime spedizioni per il Polo e così il dottore inizia a interessarsi all'argomento.
Jeffson è fidanzato con la ricca e ancor più ambiziosa Clodagh, una nobile senza scrupoli molto interessata a ricchezze e posizione sociale. Ora capita che il riccastro Charles P. Stickney, eccentrico come nessuno, lasci nel suo testamento un'indicibile eredità che finirà nelle tasche del primo uomo, e si badi bene non della prima spedizione, a raggiungere il Polo.
La notizia farà da subito gola all'avida Clodagh che riuscirà a magheggiare affinché il suo Jeffson entri a far parte dell'equipaggio della Boreal, nave diretta proprio al Polo Nord. Nel frattempo si diffonde l'idea, perorata da alcuni predicatori, che se l'uomo ancora al Polo non ci è arrivato questo sia volere di Dio e il giungervi non potrebbe che portare distruzione e scempio all'umanità tutta. E alla fine così sarà. Mentre la Boreal arriva al Polo una nube violacea si diffonde per il mondo, lasciando una scia di morte ed estinguendo in breve la razza umana della quale unico esponente rimasto in vita sarà proprio Adam Jeffson, che dovrà affrontare un viaggio alla ricerca di residui di vita e un percorso molto tormentato per non cadere nella più totale follia.
Il romanzo di Shiel in realtà parte con il piede giusto. L'autore originario della città fantasma di Plymouth sull'isola di Montserrat usa un espediente molto in voga nei romanzi dell'epoca a tema fantastico (perché proprio fantascienza non la si può chiamare), ovvero quello dello scrittore, lo stesso Shiel, che riceve da un conoscente un manoscritto contenente la storia che si andrà a narrare nel romanzo.
Il prologo de La nube purpurea è invero parecchio affascinante, come così è tutta la prima parte che descrive la spedizione al Polo, ammantata da un senso di attesa che lascia presagire il meglio (o il peggio se preferite). Purtroppo, nel momento in cui gli eventi precipitano, inizia un peregrinare solitario del protagonista che non fa che esplorare luoghi e incontrare morte, incontrare morte ed esplorare luoghi senza soluzione di continuità.
Non si mette in dubbio l'efficacia di alcune descrizioni di Shiel, degli stati d'animo di un uomo in pena, in preda a sprazzi di lucida follia, dei luoghi in cui Jeffson si trova a transitare, delle situazioni spesso uguali a loro stesse, sembra però quasi impossibile tenere a distanzia il tedio nel mezzo di questo mondo desolato, dove non ci sono stimoli né eventi.
Il problema maggiore de La nube purpurea è che tutta questa parte centrale del romanzo è davvero troppo, troppo lunga, inutilmente dilatata, probabilmente uno degli effetti collaterali della nube tossica è quello di aumentarne ancora la percezione di interminabilità onestamente sfiancante. Sul finale si torna sui binari giusti grazie a un evento in particolare che dona di nuovo movimento al romanzo, a dimostrazione che sarebbe bastato poco di più per ottenere un risultato migliore. Come già detto, romanzo d'altri tempi, la noia però rischia di attanagliarci oggi, quindi uomo avvisato...