Cerca

logo
REVIEWSLE RECENSIONI
20/10/2017
Mauro Ermanno Giovanardi
La Mia Generazione
Bene, Giovanardi ce l'ha fatta e ha reso “La mia generazione” un lavoro straordinario, che brilla di luce propria anche alle orecchie di chi quel periodo l'ha vissuto e lo conosce alla perfezione.

Questo è il classico disco a cui non avrei dato una lira. Non solo perché provo ormai un senso di inesorabile fastidio verso chi si guarda indietro, ma anche perché guardare proprio a quel periodo, quello della scena rock italiana degli anni ’90, quello in cui per un momento è sembrato che una certa proposta, da sempre relegata ai margini, potesse ambire ad orizzonti più vasti… ecco, mi è parso un tentativo eccessivamente masochistico, oltre che apparentemente privo di senso.

Perché se davvero dobbiamo dirla tutta, questo “La mia generazione”, rischiava di celebrare una sconfitta e anche bella grossa. Sono andato a vedere la presentazione milanese di questo disco e Giovanardi ad un certo punto ha detto ad Ezio Guaitamacchi, che lo intervistava, che la sua generazione ha certamente vinto, se si osservano le cose con la prospettiva del presente.

Non sono d’accordo proprio per niente. Quella degli anni ’90 è stata una vicenda esaltante ma anche profondamente triste, per certi versi. Per dirla con le parole dell’ex La Crus, è stato un periodo di congiunture fortunate, in cui si sono incrociati sostanzialmente tre fattori: una serie di artisti che hanno avuto voglia di cimentarsi col cantato in italiano, dopo avere per tanti anni scimmiottato quello che arrivava dall’estero (era il periodo del Post Punk e della New Wave); un pubblico che aveva anch'esso voglia di artisti autoctoni, dopo avere rincorso in lungo e in largo la novità che arrivava da fuori; infine, le grandi case discografiche che, fiutato l’affare, si sono buttate a pesce su questi gruppi emergenti e hanno iniziato a far firmare contratti su contratti.

Ecco, appunto, il problema sta qui. Perché da noi, secondo me, è successo esattamente quel che è successo qualche anno prima in America col Grunge. E forse prima ancora in Inghilterra col Punk. Un certo sound risponde ad una certa urgenza comunicativa esistenziale; chi per lavoro monetizza questa urgenza la compra a un tot al chilo e la butta sul mercato. La gente, ovviamente, risponde: compra i dischi, va ai concerti, che diventano sempre più grandi e affollati. Ok, tutto bene anzi benissimo. Ma in realtà non è successo niente. Non è che improvvisamente il gusto della gente si sia sensibilizzato. Non è che la sedicente massa abbia finalmente imparato a perseguire e ad apprezzare la bellezza. No, è che, molto più banalmente, qualcuno con i mezzi per influenzare il mercato ha provato per un po' a scommettere su un certo fenomeno culturale, sonoro e di costume.

È tutto qui, temo. Il famoso primo posto in classifica di “Tabula Rasa Elettrificata” non ha avuto nessuna conseguenza di lunga durata. È tutto finito nel momento in cui quelle stesse case discografiche che ci avevano creduto hanno orientato le loro attenzioni da un’altra parte. La situazione magari è più complessa di così ma credo che, in definitiva, occorra rassegnarsi: “la musica che gira intorno”, per dirla con una canzone famosa, ha sempre per lo più fatto cagare. O comunque, se proprio proprio non vogliamo esagerare, non ha mai coinciso esattamente con le nostre passioni più grandi, con “le canzoni che ci hanno salvato la vita”, per dirla con un brano di un gruppo molto famoso.

Per cui, mi dicevo, cosa ci sarà mai da aspettarsi da “La mia generazione”? Un bel pippone nostalgico in stile Capanna su come fossero stati “formidabili quegli anni” e, nella migliore delle ipotesi, un paio di versioni discrete in mezzo ad un mare di mediocrità? Questo era quello che pensavo.

Perché è vero che Mauro Ermanno Giovanardi è stato ed è tuttora un cantante incredibile; ma è altrettanto vero che ha uno stile ed un timbro piuttosto definito, laddove la tracklist dell’album evidenziava una eterogeneità che in nessun modo, immaginavo, avrebbe mai potuto sostenere.

Bene, sono contento di annunciare a tutti che mi sono sbagliato. Sull’opportunità “politica” di un disco del genere, in un momento del genere, eviterei di pronunciarmi. Lui ha detto che è stato un omaggio sincero ed io ho scelto di fidarmi. Ma il valore musicale… ragazzi, qui siamo su livelli davvero altissimi.

Sarebbe facile dire che il merito sta innanzitutto nelle canzoni. Certo, se scegli cose come “Aspettando il sole” di Neffa, “Cieli neri” dei Bluvertigo, “Lieve” dei Marlene Kuntz, “Huomini” dei Ritmo Tribale e tutta un’altra serie di capolavori Made in Italy come mai più si sono visti in tale numero e concentrazione, è evidente che parti già una spanna avanti a tutti.

Ma tutto questo non basta. Quando lavori con brani famosi, generazionali, radicati nella memoria collettiva di una bella fetta di ascoltatori, non hai vita facile. Devi cercare di farli il più possibile distanti dalle versioni originali e nello stesso tempo di renderli sufficientemente interessanti da stimolare l’interesse di chi ha vissuto in prima persona quell’epoca d’oro.

Bene, Giovanardi ce l'ha fatta e ha reso “La mia generazione” un lavoro straordinario, che brilla di luce propria anche alle orecchie di chi quel periodo l'ha vissuto e lo conosce alla perfezione. C'è innanzitutto un lavoro di produzione e arrangiamento curatissimo, realizzato grazie ad un team affiatato che nelle intenzioni dello stesso cantante avrebbe dovuto comportarsi come una vera e propria band. E c'è poi una ricerca vocale maiuscola, che ha messo al servizio di brani completamente diversi l’uno dall’altro la sua timbrica così particolare, riuscendo davvero a trasformare ogni episodio in una potenziale sua canzone da solista. I featuring dei vari ospiti, da Emidio Clementi a Manuel Agnelli, da Samuel a Cristiano Godano, passando per Cristina Donà e Rachele Bastreghi, ha ulteriormente aumentato il valore dell’operazione, ma soprattutto perché il suo autore ha avuto l’idea geniale di impiegare i loro contributi al di fuori delle canzoni da loro originariamente interpretate. Troppo facile avere Manuel Agnelli in “Non è per sempre”! Molto meglio duettare con lui su “Huomini”, in modo da avere la sua timbrica aggressiva come un’elegante citazione di quella di Edda. Stessa operazione in “Forma e sostanza”, dove Clementi e Godano omaggiano il celebre cantato salmodiante di Ferretti.

Alcune riletture spiccano sulle altre: è il caso, per esempio, di “Corto Maltese” dei Mau Mau, un brano che in questa versione risulta molto più convincente (almeno per il sottoscritto) di quella originale, trasformato com’è in una ballata che gli stessi La Crus avrebbero potuto scrivere nei tempi d’oro.

Ancora meglio va per “L’ultimo dio”, traccia che inizialmente ho avuto davvero paura ad ascoltare, temendo uno scempio senza ritegno. Invece, se possibile, si tratta dell’episodio migliore del disco, proprio perché volutamente deprivata dei suoi due elementi più caratteristici: le trame chitarristiche di Egle Sommacal e il parlato di Emidio Clementi; Giovanardi stravolge tutto e inserisce addirittura una linea di cantato sorprendente.

Anche il legittimo omaggio ai La Crus non stona nel quadro originario: la nuova versione di “Nera signora” non esce distrutta dal confronto con l’originale (qui purtroppo assolutamente inevitabile) ma di sicuro non ce la sentiremmo di concordare col suo autore, sul fatto che sia molto meglio di quella di venti e passa anni fa.

A ben vedere, gli unici due episodi che non riescono a convincere fino in fondo e che risultano anzi un po' fuori luogo, sono “Non è per sempre” e “Forma e sostanza”: la prima non è già di suo così rappresentativa del repertorio degli Afterhours e il suo rifacimento nulla aggiunge e nulla toglie. La seconda vede un impiego poco incisivo dei guest e probabilmente il suo testo è troppo generazionale e fa strano risentire oggi le parole “Voglio ciò che mi spetta, lo voglio perché è mio, m’aspetta”. Cosa è successo alla generazione che cantava queste cose? È un discorso complesso ma ascoltandola oggi all’interno di questo lavoro, la sensazione non è stata molto positiva.

Tentiamo di tirare le somme: “La mia generazione”, se ascoltato come disco in sé è una grande vittoria del suo autore, nonché uno degli album italiani più belli usciti in questo 2017. Arriva da un artista che ha dato il meglio coi La Crus (che è una band che ci manca sempre tantissimo, per inciso) ma che anche ultimamente, pur tra altri e bassi, ha saputo fare cose egregie (l’ultimo “Il mio stile” è davvero un gran bel disco).

Ascoltatelo così, prescindendo dal contesto, e non ve ne pentirete, promesso.