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La luna allo zoo
Roberto Addeo
2018  (Il Seme Bianco)
LIBRI E ALTRE STORIE
all THE BOOKSTORE
05/07/2018
Roberto Addeo
La luna allo zoo
Intervista a Roberto Addeo: "“Avevo il sogno di una scrittura amica capace di rivolgersi a tutti”
di Veronica Otranto Godano

Nel 2008 qualcuno decise di aprire partita iva, qualcun altro varcò la soglia di un’aula universitaria sperando che il futuro, grazie a questa scelta, potesse rivelarsi foriero di successi e i più autentici non ebbero il tempo di capire a pieno cosa comportasse, in realtà, l’inizio di una crisi mondiale. Autentico è il personaggio di Roberto Addeo, alle prese con lo stallo economico iniziato un decennio fa e senza un nome preciso, affinché qualsivoglia lettore sia in grado d’immedesimarsi. Un romanzo filo realista e a tratti post romantico in cui il dolore diventa poesia e la poesia si trasforma in un desiderio struggente di riscatto sociale. La Luna allo zoo è la visione ambivalente dell’esistenza, in cui da un lato abbiamo gli esseri umani incastrati in una vita che non combacia con le loro aspettative e dall’altra la luna, che - sebbene rappresenti un inizio passivo perché non avendo luce propria, riflette la luce del sole – incarna l’idea di rinascita.

“La vita può essere orribile, ma va sempre e comunque avanti, mentre attende speranzosa almeno una giusta cosa: una giusta fine”. La frase conclusiva del tuo libro racchiude un po’ una visione fatalista dell’esistenza. C’è un messaggio di speranza sottointeso in questa tua affermazione finale?  

Il mio libro è una metafora della depressione di questi tempi. Si tratta di una satira in cui sono messi alla berlina tutti i vizi. Ciò nonostante, per il giovane protagonista, la speranza rimane un appiglio, qualcosa cui aggrapparsi. Lui è una vittima del sistema, diviso tra lavoretti, le donne con cui fa fatica a instaurare un rapporto basato sulla progettualità e una convivenza forzata ed edulcorata i cui soggetti sono gli archetipi dei coinquilini di oggi. E’ come se il personaggio volesse dire al mondo che non esistono persone buone ma persone piene di cattiveria; non esistono persone cattive, ma persone prive di buonismi. La vita termina, certo, ma tocca a noi conferirle un senso attraverso i nostri errori e le persone incontrate le quali, a prescindere dal bene o dal male, arricchiscono il nostro bagaglio di  esperienze.

Pensi che, così come avviene per il protagonista, la scrittura ti abbia salvato?

La mia opera è al 70% autobiografica e al 30% di fantasia. Ho scritto quello che ho visto e di sicuro, attenersi alla realtà, è indice di un’ispirazione salvifica.

Spesso è lo stesso protagonista del libro a cercare il buio, come se fosse una zona di comfort. Cos’è che spinge secondo te le persone a spegnersi, perché scelgono per assurdo una situazione di disagio piuttosto che trovare una via d’uscita? Questo avviene perché, sovente, non si riesce a trovare il fondo delle cose ossia la base ansiosa che sorregge le nostre paure e, quindi, si rischia di perdersi in esse. La gente si trova schiacciata da deliri comunicativi, quando sarebbe più semplice andare dritto al punto e chiamare le cose con il loro nome.

Bologna, città universitaria per eccellenza, nonché sfondo di vita del protagonista. Cosa l’ha cambiata nel tempo?

La città petroniana, oggi, non ha nulla dei fasti del passato. Sono scomparse, ahimè, le locande in cui si giocava a carte e si beveva insieme cantando Guccini. E di questo cambiamento ne è consapevole il lui del racconto che, alla convivialità della Bologna di un tempo, preferisce il vino in solitudine o una damigiana di 5 litri cui aspirare senza particolari pretese. Bologna è oramai il simbolo del cinismo e tende a omologare le persone in unico modello sociale dominante.

Nel libro citi un sogno curioso in cui al centro ci sono le zie le quali durante la cena di Natale non fanno altro che guardare il protagonista con fare lussurioso…

Questo sogno riflette il quadro psicologico del protagonista. Nella seconda parte del libro le donne lo abbandonano, l’alcool aumenta il suo potere attrattivo e lui rasenta quasi la pazzia. Si tratta di una dimensione onirica non comune che vuole riflettere anche i rapporti malandati con la famiglia d’origine. Un omaggio a Pasolini lo definirei.

Anche nel primo libro, Perdute Sinfonie (Edizioni Anordest), raccontavi i drammi e le illusioni di una generazione persa tra il fumo, l’alcool e il sesso. Che cosa è cambiato tra le 2 pubblicazioni?

In primis, sono cambiato io. Anche in Perdute Sinfonie è raccontata la quotidianità di soggetti agli antipodi, ma si tratta di una produzione che integra poesia e prosa. Il secondo, invece, è un romanzo.

Dopo un periodo girovago, ora vivi a Porto Torres in Sardegna. Che cosa fai da quelle parti e quali sono i tuoi progetti?

Va dove ti porta il cuore e, in questo caso, a Porto Torres. Qui, a breve, inaugurerò un’attività enogastronomica. Continuerò a scrivere. Ho già alcune idee che spero si concretizzino tra il 2019 e il 2020. Mi piacerebbe raccontare la storia di una famiglia attraverso uno sguardo femminile questa volta. Da poco ho anche pubblicato Globuli (Editore Ensemble), una raccolta di brevi poesie che possono essere lette separatamente oppure sotto forma di unico poema.