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REVIEWSLE RECENSIONI
06/12/2024
Olden
La Fretta e la Pazienza
I sentimenti umani possono assumere molteplici declinazioni e nuove direzioni, e il nuovo album di Olden ne è la prova tangibile.

Dopo l’uscita di Prima che sia tardi (2020) e Cuore Nero (2021), è venuto alla luce La Fretta e la Pazienza, l’ottavo album del cantautore Olden, all’anagrafe Davide Sellari, perugino di nascita ma residente da anni a Barcellona. A differenza dei lavori precedenti, con La Fretta e la Pazienza ci troviamo al cospetto di un racconto del tutto privato, di un disco che non vuole essere lo specchio dei tempi, ma immagine di un processo personale che attraversa il dolore per poi cercare di superarlo.

Olden si muove con le mani di un artigiano che vuole solo essere se stesso e desidera esprimersi secondo la propria natura e il mondo interiore che, con le sue traversie, lo smuove dentro. Non a caso l’album (che vede come unico ospite Paolo Benvegnù nella title track) è caratterizzato da un arrangiamento minimale creato con pochi strumenti, per dare appositamente spazio ai silenzi, ai rumori e ai suoni imperfetti delle emozioni, lasciando infine alle parole il compito più difficile e importante: quello di essere libere di muoversi in una narrazione che si tramuterà poi in rimedio, una salvezza dopo tutto il dolore sopportato pazientemente e senza la frenesia, “la fretta” di liberarsene, alla fine del lungo viaggio.

 

Jung sosteneva che non ci si illumina immaginando la luce ma diventando consapevoli del buio; fretta e pazienza non sono poi così equidistanti l’una dall’altra, se e quando si ha il coraggio di vivere e comprendere davvero, nel mezzo della voragine emotiva, permettere che le due estremità si tendano la mano.

Cesare Pavese diceva: “Non so di preciso cosa sia la magia, ma so di preciso che inizia quando non te ne vuoi più andare dai luoghi, dai pensieri delle persone”, e in questo caso è piacevolmente doveroso aggiungere quanto sia difficile distaccarsi anche dalla raffinata e delicata bellezza e fragilità di un disco come questo, che apre il sipario con un brano come “Cinema”, dove ci appare in primo piano un uomo seduto in una sala cinematografica, alle prese con il racconto di un sentimento che ha lasciato un segno  indelebile in lui, una traccia che ora sta scorrendo davanti ai suoi occhi come un vecchio film. “Ho appena perso la mia anima in un cinema, era seduta accanto a me e non rideva già da un po’”.

“Fidati di me” è una lettera scritta di getto e mai spedita, un invito ad auscultarsi il cuore fin nelle sue profondità più recondite; “sei tu che mi hai toccato dove neanche mi conoscevo”, canta Olden, “sei tu l’improvviso che non mi aspettavo”. Come scrive Victor Hugo in queste brevi ma bellissime righe: “Che cosa vuoi che ti scriva? che cosa vuoi che ti dica? tu sei ovunque in me”.

 

“La fretta e la pazienza” respira la magica presenza di Paolo Benvegnù e racconta la troppa fretta che spesso si ha nel cancellare dal cuore un dolore scritto con l’inchiostro nero come la pece, quando invece si dovrebbe attendere che muti il suo stato e acquisti la forma e il colore a lui designato una volta elaborato. Un’emozione che talvolta diviene anche senso di smarrimento, la tenace sensazione di quel perdersi “come si perde la pazienza, un treno, un bottone senza sapere quando né dove”.

Il viaggio continua con “Gioia negli occhi” e “Il cuore sbaglia sempre”, fino a condurci a “La natura leggera delle cose”, un brano che rassicurerà l’anima in affanno cingendola a sé con l’aurea dorata della speme, assicurandole che prima o poi quella gioia che ora sembra smarrita per sempre tra le pieghe del tempo, un giorno ritornerà sottoforma di farfalla. “Verranno estati nuove, è la natura leggera delle cose”.

Questo disco riconduce alla parte più fragile e tremante del nostro essere “umani”, come creature esposte alle intemperie del vivere senza ombrello, e ci traghetterà verso un tempo nel quale ci rialzeremo e la leggiadra brezza dell’amore ritrovato accarezzerà dolcemente i nostri sensi.