Non è l’ultima data del tour ma ha comunque un sapore speciale quella che i La Crus hanno tenuto ieri sera al Castello Sforzesco: di nuovo nella loro Milano, in uno dei luoghi simbolo della città (più per la cultura che per la musica, anche se da tempo nel cortile dell’edificio viene ospitata la rassegna “Estate al Castello”), a quattro mesi di distanza dal sold out in Santeria, una nuova occasione per abbracciare il proprio pubblico e per suonare un disco, Proteggimi da ciò che voglio, che ne ha sancito il ritorno dopo tanti anni, senza peraltro snaturare quel livello qualitativo a cui ci hanno da sempre abituato.
È anche una serata di ricordi, per quanto la dimensione nostalgica non sia mai stata quella preferita dai nostri, che anche nel momento in cui hanno scelto di tornare, lo hanno fatto con del materiale inedito in tutto e per tutto al passo coi tempi. È però impossibile ignorare il ruolo che Milano ed etichette come la Vox Pop hanno giocato tra fine anni ’80 e inizio ’90 nella nascita di una scena Rock che fosse autenticamente originale, senza rincorrere le tendenze dell’estero come era avvenuto fino a quel momento.
La scelta degli ospiti, uno dei motivi per cui quello milanese può dirsi un concerto “speciale”, ha seguito proprio questo criterio: Giovanni Ferrario, che abbiamo visto di recente in azione con la band di Pj Harvey, lo hanno conosciuto proprio in quel periodo: suonava nei Views e la loro etichetta, la Crazy Mannequin, aveva sede in via Bergognone, proprio come la Vox Pop. Poi c’è Manuel Agnelli, che coi suoi Afterhours ha recitato una parte importante di questa storia e che con Giovanardi e Malfatti aveva già collaborato ai tempi di Dietro la curva del cuore (qualche tempo dopo i La Crus avrebbero restituito il favore registrando la sua Tutto fa un po’ male).
Vengono invitati entrambi per “Come ogni volta”, brano simbolo piazzato inaspettatamente presto in scaletta. Agnelli, a cui viene affidata una strofa, se la cava discretamente, anche se fa un effetto strano sentire questo pezzo dalla sua voce, così diversa per timbrica ed intenzioni da quella di Gio.
Ferrario, che ha impreziosito l’esecuzione con fraseggi interessanti, rimane sul palco per “Nera signora”, altro classico della prima ora, proveniente da un disco di debutto che in questo tour purtroppo non è stato per nulla valorizzato. A cantare arriva Edda, che coi suoi Ritmo Tribale è stato un’altra colonna portante della scena milanese. Al di là del solito siparietto nonsense con cui si presenta in scena (ma lui è così e lo amiamo anche per questo), la sua prova vocale è sicura e convincente, in linea con la crescita tecnica e artistica che ha avuto negli ultimi anni.
Ci sarebbe dovuta essere anche Rachele Bastreghi, nella probabile volontà di costruire un ponte con la generazione successiva di band nostrane, ma purtroppo, come Gio spiega, è a letto col Covid, ragion per cui la nuova “Discronia”, forse l’episodio più aperto e solare del disco, viene eseguita dalla sola band.
Già, la band. I La Crus per questo tour hanno fatto una scelta inedita, affidando alle tastiere di Chiara Castello (I’m Not a Blonde) il compito di riempire gli spazi sonori, con la musicista che fa anche un lavoro importante ai cori. Alla batteria c’è il collaboratore di sempre Leziero Rescigno, mentre al basso ritroviamo Marco Carusino, che aveva già suonato assieme al Giovanardi solista. Paolo Milanesi, lo storico trombettista, responsabile, col suo strumento, del tratto più distintivo nel suono della band, non ha preso parte al tour ma era presente in Santeria ed è qui anche adesso, regalando squarci di bellezza assoluta su diversi brani, tra cui “Natale a Milano”, “Dentro me” o “L’uomo che non hai”.
La scaletta è identica a quella di maggio, ed è un peccato perché di cose da ripescare ce ne sarebbero parecchie. Immagino però che il criterio seguito dal gruppo sia stato quello di evitare il più possibile la celebrazione del passato, dando parecchio spazio all’ultimo disco (eseguito per intero, tranne “Sono stato anch’io una stella", effettivamente poco adatta al contesto live), che si conferma ancora una volta solido ed ispirato; ma anche, scelta meno scontata ma in un certo modo vincente, ripescare canzoni più recenti, tratte da lavori meno noti ma comunque meritevoli di riscoperta: è il caso di “Mentimi” e di “Come una nube”, che anche ieri sera hanno goduto di un’esecuzione brillante, ma anche di “Io Confesso”, che Giovanardi portò nel 2011 a Sanremo, e che è stata ora riregistrata dalla band con la partecipazione di Carmen Consoli. Un brano veramente d’impatto, che all’epoca avrebbe senza dubbio meritato maggior fortuna.
Per il resto, è la solita performance impeccabile, con un filo di emozione in più data la situazione, e con quel valore aggiunto che la vista del castello illuminato offre a pubblico e musicisti. Ad un certo punto inizia anche a piovere ma non si muove nessuno, né per alzarsi dal posto e neppure per coprirsi: dura poco e non è niente di che, ma dice della particolare atmosfera che si è venuta a creare.
Si chiude, come da copione, con “Il vino”, che vede ancora una volta gli ospiti sul palco per cantare in coro il ritornello, e durante la quale fa capolino anche Alex Cremonesi, che al Santeria aveva eccezionalmente interpretato “Io non ho inventato la felicità” ma che qui probabilmente non se l’è sentita di replicare. C’è poi un piacevole momento inedito, vale a dire una intensa versione di “Ricordare”, il brano che Morricone ha composto per Una pura formalità di Giuseppe Tornatore. Gio duetta con Manuel Agnelli, mentre la chitarra di Giovanni Ferrario e la tromba di Paolo Milanesi impreziosiscono un’esecuzione che è stata tra le più belle della serata.
Dopo i saluti di rito sembra davvero finita ma, quando in molti stanno già per avviarsi verso l’uscita, Malfatti e Giovanardi ricompaiono per un’emozionante “L’illogica allegria”, col pubblico che si accalca in piedi sotto al palco.
Ci saranno ancora altre date, ma la speranza è che questa incarnazione dei La Crus possa andare avanti anche dopo la fine del tour. Ci hanno dimostrato di avere ancora cose da dire e di essere tutto tranne una band “storica”. Di gente che scrive e suona come loro c’è ancora tanto bisogno.