L'ideatore Álex Pina e il suo team di sceneggiatori hanno studiato quali sono le corde che il pubblico vuole che vengano toccate, stimolate, mettendo insieme tutta una serie di caratteristiche che probabilmente nemmeno il famoso algoritmo sarebbe riuscito ad amalgamare così bene (da notare che la serie non nasce come produzione Netflix).
Eppure sul principio il successo in patria non è stato così eclatante, anche lo stesso Pina, come dichiarato in più interviste, non si aspettava il successo poi ottenuto con l'approdo sulla piattaforma o il prosieguo oltre la prima stagione (motivo per cui sono state prese alcune decisioni soprattutto per uno dei personaggi chiave della serie). Parliamo ora per "rapine" invece che di serie o stagioni.
Alla prima rapina, seppure imperfetta in alcuni particolari, si può davvero perdonare tutto, l'esperienza è appagante nella maniera più assoluta e totale, si fa davvero fatica a staccarsi dalla visione in quanto il meccanismo a orologeria messo in piedi dagli sceneggiatori, o dal Professore (Álvaro Morte) se preferite, sicuramente passibile di qualche obiezione qua e là, lascia sempre lo spettatore con il fiato sospeso e con quella sensazione che no, non è ancora il momento di andare a dormire, diventa vitale vedere almeno ancora una puntata, peccato poi che il momento di andare a dormire non arrivi mai se non con la conclusione della rapina alla zecca di Stato, il viaggio dura però ventidue episodi, diventa difficile fare una tirata unica, maledetto Pina!
La rapina alla zecca di Stato è un saliscendi emotivo continuo, dall'introduzione dei personaggi al momento in cui ci si affeziona profondamente a loro passa davvero poco, anche i più problematici hanno un fascino e un carisma magnetici (penso a Berlino in maniera particolare, interpretato dal magnifico Pedro Alonso), i rapporti interpersonali, seppur malvisti dal Professore, hanno un'importanza fondamentale nell'economia della storia eclissando (soprattutto durante la seconda rapina) anche i piani studiati fin nel minimo dettaglio dagli ideatori, il Professore ma poi anche Berlino e Palermo (Rodrigo de la Serna) per il colpo alla Banca di Spagna.
La tensione è costante, i cliffangher calibratissimi, i personaggi sono tratteggiati in maniera splendida, anche gli avversari, l'ispettore Raquel Murillo (Itziar Ituño) ma anche il direttivo dei Servizi con Prieto (Juan Fernandez) e Tamajo (Fernando Cayo), tutto funziona molto bene e alla fine ci si ritrova a voler sapere cosa ha ideato il Professore per quel tipo di situazione, come si uscirà da una crisi spinosa, cosa accadrà a questo o a quel personaggio e ci si ritrova a non volersi mai alzare da quella maledetta poltrona.
Tutto questo è condito da una simbologia iconica che ha catturato l'immaginario dei fan de La casa di carta fin da subito: la tuta rossa con la maschera di Dalì è divenuta un simbolo, un po' come accadde al Guy Fawkes di V for Vendetta per il movimento Occupy Wall Street, li accomuna un sentimento contrario al potere costituito che può essere tacciato di populismo quanto si vuole ma che parla alla pancia di una base stufa marcia di politicanti da quattro soldi che proprio in questi giorni tornano a mostrare la loro prepotenza e le loro inclinazioni dispotiche ma sempre protettrici di una casta odiosa e delle loro stesse persone, non per nulla gli avversari della banda, sia all'interno che all'esterno sono rappresentati come infidi vermi pronti a tutto (chi è che non avrebbe sparato volentieri un colpo a quel fascistone di Gandía?).
Il gioco mostra un poco la corda con la seconda rapina, lo schema si ripete con nuovi innesti che però non hanno il carisma del cast originale, il meccanismo a orologeria che caratterizzava la prima parte si perde con l'avanzare delle puntate per far spazio a un'inclinazione maggiormente action che sposta il focus dall'heist movie alla war zone, alcuni colpi di scena (importantissimi) sono telefonati a causa della struttura delle puntate e si avverte qua e là anche qualche momento di bonaccia, diciamo che la chiusura alla fine della rapina alla zecca di Stato sarebbe stata perfetta; il successo impone però di proseguire, il prodotto rimane pur sempre piacevolissimo ma la magia di quelle due prime stagioni rimane ineguagliata. A dicembre ci aspetta una conclusione definitiva, almeno così sembra, vada come vada Tokio (Úrsula Corberó), Rio (Miguel Herrán), Mosca (Paco Tous), Nairobi (Alba Flores), Denver (Jaime Lorente), Stoccolma (Esther Acebo), Helsinki (Darko Peri?) e tutti gli altri ci mancheranno molto.
PS: No Arturito, tu non mi mancherai per niente!