Devo ammettere di non conoscere il cinema di Eli Roth, regista ricordato principalmente, almeno nella fase iniziale della sua carriera, per i primi due capitoli della saga Hostel e per The green Inferno. Non essendo amante dell'horror più estremo ed essendosi il regista creato presto la fama di autore dedito a un horror molto truce e sanguinolento (torture porn?) avevo finora sempre evitato il confronto con i suoi lavori.
Giunto il Nostro a esiti più normalizzati e accomodanti, arriva anche per me il tempo di un confronto con un cineasta che, comunque, negli ultimi anni (decenni ormai) è riuscito a crearsi un nome attorno al quale sono nate anche delle aspettative, confermate o disattese lascio ad altri deciderlo.
Diciamo subito, sgombrando il campo da ogni dubbio, che con questo Knock knock l'horror non c'entra proprio nulla, siamo di fronte a un thriller abbastanza addomesticato e risaputo, che gioca su un twist di genere (inteso come maschile/femminile e non cinematografico) che dona giusto un pizzico di variazione a quello che è lo schema da home invasion che abbiamo già visto al cinema e in televisione più e più volte.
Nessun trauma né grossi disturbi da parte di quest'opera di Eli Roth, che probabilmente non è una delle più riuscite della sua filmografia, ma che se presa per il giusto verso, ovvero come un'opera di intrattenimento senza troppe pretese, la si può guardare anche con un certo gusto, consapevoli che né il messaggio moralizzante da quattro soldi del film né il finale vagamente ironico (che in realtà un paio di sorrisi li strappa) lasceranno un segno profondo nello spettatore, ma alla fine di questo poco ci importa.
I Webber sono una famiglia felice che vive in maniera agiata in una bella casa di lusso. Papà Evan (Keanu Reeves) è un architetto ed ex dj mentre sua moglie Karen (Ignacia Allamand) è un'artista di successo in procinto di partecipare a un'esposizione personale delle sue opere. Insieme ai loro due bambini la coppia si sta godendo la festa del papà, ultima giornata in famiglia prima che Karen e i bimbi partano per qualche giorno alla volta della sede della mostra che ospiterà le opere di Karen.
Evan ha in programma un week end tranquillo per rimettersi in pari con il lavoro arretrato, senonché la sera della partenza di moglie e figli alla sua porta si presenta una coppia di giovani e belle ragazze. Bel (Ana de Armas) e Genesis (Lorenza Izzo) si sono perse mentre andavano a una festa, hanno sbagliato indirizzo e ora si ritrovano bagnate marce, sotto un diluvio e incapaci di capire dove debbano recarsi per partecipare alla festa alla quale sono state invitate. Chiedono così aiuto a Evan, la possibilità di stare qualche minuto all'asciutto, fare una telefonata, usare il bagno, darsi una sistemata.
Evan dal principio è titubante, in fondo per un uomo sposato, vada come vada, può sembrare compromettente far entrare in casa due giovani ragazze zuppe e infreddolite proprio nel momento in cui moglie e figli sono assenti. Certo, anche rifiutare un aiuto a due ragazze in quelle condizioni potrebbe essere visto come un atto di estrema scortesia. Evan così fa entrare in casa le due ragazze che pian piano si dimostrano sempre più audaci e disinibite fino a rivelarsi col tempo due pazze scatenate pronte a tutto per rovinare la vita felice del caro Evan che, a dirla tutta, non riuscirà a resistere all'avvenenza delle due giovani.
Knock knock è il remake di un film del 1977 di Peter S. Traynor che vedeva protagoniste Sondra Locke, attrice per diverso tempo legata sentimentalmente a Clint Eastwood e produttrice di questo remake, e Colleen Camp che in questo Knock knock Eli Roth ha voluto in un ruolo minore; il film si intitolava Death game. Nulla di nuovo quindi come è facile desumere; anche nelle dinamiche dello sviluppo la sceneggiatura del regista e del sodale Nicolás López non presenta grosse sorprese, chi ha masticato in vita sua un po' di cinema può immaginare più o meno come procederà e come andrà a finire il film che poggia la sua riuscita molto sulla presenza di due fanciulle deliziose come la de Armas (qui al suo esordio internazionale) e la Izzo, all'epoca sposata proprio con il regista Eli Roth.
Il lato sensuale del racconto, mixato a quello sadico che rivelerà le due ragazze come squilibrati angeli vendicatori di tutti i soprusi perpetrati da maschi incapaci di resistere alle tentazioni da loro stesse messe in campo, tengono in vita il prodotto che, pur senza spiccare per doti particolari, si rivela piacevole e intrattiene a dovere, a patto di scordarsi chiavi di lettura sinceramente banali e buttate sul tavolo alla meno peggio.
La tensione che si avverte per il destino futuro della vita perfetta di un Evan Webber che avevamo da subito bollato come figura positiva tiene viva la curiosità per l'intera durata, insieme a quella di capire quali sadiche torture (psicologiche più che fisiche) le due donzelle riusciranno a mettere in atto ai danni del povero Keanu. Confezione pulita e ben articolata per un film che sfoggia una certa eleganza di realizzazione, che non colpisce troppo in profondità ma diverte e che si chiude con una vena ironica che, apprezzata o meno, alla fine inquadra bene la caratura dell'operazione tutta. Nulla di fondamentale ma alla fine non male.