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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
15/04/2022
Live Report
King Hannah, 12/04/2022, Circolo Arci Bellezza, Milano
Si presentano in sordina, prendono possesso dello stage in modo quasi timido, poi attaccano “A Well-Made Woman” e sul Bellezza cala un silenzio irreale. I King Hannah di dimostrano magnetici, intensi e carismatici e hanno realizzato quello che probabilmente è uno dei più bei concerti del 2022.

Il primo dato significativo è che il concerto, inizialmente previsto in Palestra Visconti, la sala al piano inferiore dell’Arci Bellezza, è stato all’ultimo momento spostato nella venue principale, dato il successo delle prevendite. Una notizia confortante, in un periodo in cui il ritorno della musica dal vivo sembrava procedere a rilento. È ancora più sorprendente se si pensa che i King Hannah sono una band giovane, che ha esordito poco meno di due anni fa e che siamo pur sempre in un paese poco curioso in generale, ancora di più rispetto a ciò che viene da fuori. Quindi è una grande notizia che il Bellezza sia così pieno di gente entusiasta, è stata la cornice ideale per quello che, almeno per me, era uno dei concerti più attesi dell’anno.

Il secondo dato è che il duo di Liverpool ha dimostrato di essere uno di quei gruppi che va inquadrato davvero soprattutto a partire da quel che combina sul palco. Sono giovani e non era scontato, ma quando si pensa a come hanno iniziato, al fatto che Hannah Merrick era solita esibirsi nei pub ed è stato proprio così che Craig Whittle l’ha scoperta e le ha proposto di mettere su una band assieme, si capiscono tante cose. I due sembrano nati per suonare dal vivo. Si presentano in sordina, prendono possesso dello stage in modo quasi timido, poi attaccano “A Well-Made Woman” e sul Bellezza cala un silenzio irreale. Le atmosfere fumose che ammantano l’ultimo disco I’m Not Sorry, I War Just Being Me ci sono tutte ma l’intensità è più che raddoppiata. Hannah è magnetica, la sua voce, che in studio si perdeva un po’ nell’insieme, qui risalta in pieno per espressività e carisma, pur mantenendosi sempre molto discreta e al servizio dei brani, si capisce che in un modo o nell’altro tutto ruota attorno a lei. Craig, dal canto suo, è dotato di un suono di chitarra pauroso e la bellezza dello show sta proprio nella combinazione tra la voce soffusa e crepuscolare della cantante, con le sue pennate distorte. A metà tra dei Sonic Youth meno irruenti e dei Crazy Horse un po’ più Bluesy, i King Hannah si muovono nei brani con navigata bravura, costruendo gradualmente il loro Wall of Sound, facendo crescere i brani a poco a poco, con la voce della Merrick a dettare i tempi e a disegnare le linee del paesaggio, e la chitarra di Whittle a completarlo, facendolo esplodere con le distorsioni e dilatando ogni finale con assoli e code strumentali di grande effetto.

È proprio questo a colpire maggiormente: dal vivo i pezzi si trasformano, vengono inserite improvvisazioni nelle parti finali e qualche arrangiamento viene cambiato, sia nelle linee vocali sia nelle intenzioni generali del brano. E quando una band fa questo (e per giunta con disinvoltura) significa che è già in possesso di quella maturità necessaria per ambire a grandi traguardi.

Non dimentichiamoci comunque degli altri due: il batterista Jake Lipiec (che ha suonato anche sul disco) e il bassista Del Paxton formano una sezione ritmica precisa e potente, indispensabili soprattutto quando il ritmo si fa più cadenzato, quasi sulfureo e possono dare il meglio nell’impostare la dinamica. Quest’estate hanno girato in cinque, mi hanno raccontato dopo, ma il tastierista adesso aveva degli impegni e hanno deciso che, anche per problemi di budget, sarebbe stato meglio affrontare il nuovo tour come un quartetto. Una scelta che ha pagato: l’intensità e lo spessore del suono sono notevoli anche così, davvero non manca nulla.

Anche la scaletta è costruita in modo tale da gestire l’altalenarsi delle emozioni: si comincia in punta di piedi, anche se una pazzesca versione di “State Trooper” in seconda posizione fa capire che non si sta scherzando per niente; notturna, sospesa, con un suono di chitarra che penetra direttamente nelle ossa. Dire che sia superiore all’originale è probabilmente una bestemmia ma è senza dubbio una delle più belle cover che mi sia capitato di ascoltare negli ultimi anni.

In successione arriva una ballata delicata come “The Sea Has Stretch Marks”, subito seguita da “Foolius Caesar”, con le sue distorsioni dal retrogusto psichedelico. La breve strumentale “Berenson” è poi utile a preparare il terreno per le due bordate di “Go-Kart Kid (Hell No!) e “Big Big Baby”, dove si vede la maestria con cui il gruppo gestisce i pieni e i vuoti, la voce ad incantare nella parte iniziale, la chitarra di Craig che ruggisce i suoi finali alternando soli a code sature degne dei migliori Crazy Horse.

È però “The Moods That I Get In” a rappresentare il vero fulcro del concerto, composizione lunga ed epica che in versione live amplifica tutte le sue componenti e si dimostra vera e propria summa di quello che questi quattro ragazzi riescono a sprigionare quando viaggiano con questa intesa.

Applausi a scena aperta anche per “Crème Brûlée”, il singolo che li ha fatti conoscere al mondo nel settembre 2020: lenta, crepuscolare, Hannah ancora una volta sugli scudi, un finale dilatato ma meno aggressivo, il pubblico che esplode in ovazioni entusiaste.

I ringraziamenti che seguono sono sinceri, un affetto del genere davvero non lo danno per scontato e si capisce che ne sono colpiti. I bis riflettono questo senso di gratitudine e questa intesa tra pubblico e band che si è creata pian piano nel corso della serata: “Meal Deal”, il secondo singolo uscito, è cupo, tenebroso, magnifico, la chitarra di Craig raggiunge l’apice della solennità; il commiato è poi affidato a “It’s Me and You, Kid”, che chiude anche il nuovo disco. Qui, davvero, si superano: la iniziano come se volessero attenersi alla versione in studio, che è tutto sommato una ballata acustica, poi chitarre e sezione ritmica ci danno dentro e mettono su un muro di suono che mi ha ricordato un po’ i Low dell’ultima fase, quelli della distorsione in primo piano e delle canzoni destrutturate.

Tra i concerti più belli dell’anno e sono abbastanza sicuro che la penserò così anche a dicembre. Se riusciranno a mantenere il repertorio al livello qualitativo che hanno ora e se sapranno introdurre qualche elemento di variazione in più nella loro scrittura, potrebbero seriamente diventare enormi. Staremo a vedere.

 

Photo courtesy: Lino Brunetti