Rob Tyler, Wayne Kramer e Fred " Sonic " Smith sono tre ragazzini inquieti. E' il 1964, frequentano il liceo a Lincoln Park, ma la voglia di studiare è davvero poca. Preferiscono suonare il rock e stare sulle barricate di un attivismo politico connotato da idee rivoluzionarie e di sinistra. Passano i loro pomeriggi in garage a discutere di politica, a immaginare un mondo diverso e a scrivere le canzoni che hanno in testa. Sono musicalmente grezzi, le loro cognizioni tecniche sono poco più che rudimentali, eppure hanno le idee chiarissime: vogliono suonare un rock che vada oltre le convenzioni, che faccia del rumore, dei feedback e delle distorsioni il proprio marchio di fabbrica. In quel garage, dove i tre si ritrovano in compagnia di altri due amici, Michael Davis al basso e Dennis Thompson alla batteria, stanno nascendo gli MC5 (Motor City 5, in onore di Detroit, città dell'automobile), uno dei gruppi più seminali della storia, precursori del punk-rock e progenitori di band del calibro di Ramones e Rage Against The Machine. Anarchici, rivoluzionari, violenti, assolutamente ingestibili, gli Mc5 affidano il proprio destino a John Sinclair, uno degli intellettuali più radical del momento, oltre che fondatore delle White Panthers, gruppo estremista che si rifà agli ideali delle Black Panthers afroamericane. Sinclair, che diviene manager e mentore del gruppo, riesce a strappare un contratto alla Elektra Records (la stessa casa discografica che vanta nelle proprie scuderie i Doors di Jim Morrison), per la quale il gruppo incide, nel dicembre del 1968, un incendiario album live registrato al Grand Ballroom di Detroit. Un disco che, nelle intenzioni di Tyler e co., avesse la forza deflagratoria di una molotov e l'energia debordante di uno tsunami: sporco, ruvido, rumoroso e soprattutto politicamente scorretto. Anzi scorrettissimo. Gli MC5 infatti vogliono intitolarlo come il grido rabbioso che apre i loro concerti: Kick Out The Jams, Motherfuckers! (Niente più regole, figli di troia!). Apriti cielo. Jac Holzman, presidente dell'Elektra, si rifiuta categoricamente di stampare un vinile che abbia impresso in copertina la parola Motherfucker. Ritiene, non a torto, che i tempi non siano ancora maturi, che le radio boicotterebbero la messa in onda del disco e che i grandi magazzini, come Hudson's, si rifiuterebbero di mettere in vendita l'ellepi presso i propri negozi. Gli MC5 fanno buon viso a cattivo gioco, accettano e fanno pubblicare il vinile con il titolo accorciato a Kick Out The Jams. Ma poi, di nascosto da Holzman, comprano una pagina pubblicitaria di un quotidiano di Detroit, ci mettono in primo piano la faccia di Tyler, il marchio dell'Elektra e, a lettere cubitali, la frase FUCK HUDSON'S, che non può essere certo oggetto di fraintendimenti. Risultato: Hudson's ritira dai propri negozi ogni copia del vinile e gli MC5 vengono licenziati in tronco da Holzman. Nonostante il clamore suscitato dalla vicenda, Kick Out The Jams non ebbe un immediato riscontro commerciale e arrivò solo alla trentesima posizione nella classifica di Billboards. Tuttavia, gli MC5, che successivamente passarono a incidere per l'Atlantic Records, divennero uno dei gruppi di riferimento della scena protopunk statunitense e in seguito ottennero un meritato, seppur tardivo, successo di critica e pubblico. La canzone che dà il titolo all'album, seconda traccia della prima facciata, è oggi considerata la madre putativa del punk rock, tanto coverizzata (andate a riscoprire le interpretazioni che ne hanno fatto i Rage Against The Machine e Jeff Buckley) e famosa, da essere stata parafrasata nella loro Sowing The Seeds Of Love (1989), addirittura dai Tears For Fears, a proposito di una querelle, allora in atto, con gli Style Council di Paul Weller: "Kick Out The Styles, Bring Back The Jam!".