È la seconda volta che Kevin Morby suona nei giardini della Triennale, la prima è stata nel 2018, ai tempi di City Music. Verso la metà del concerto non manca di elogiare la location, effettivamente uno dei posti migliori dove ascoltare musica dal vivo in città, e quando chiede chi c’era la volta scorsa, si alzano solo una dozzina di mani. Si tratta probabilmente di un semplice ricambio di pubblico, perché chi c’era mi ha detto che anche cinque anni fa l’affluenza era stata buona.
Giunti sul posto, con qualche timore per un cielo nuvoloso che non promette nulla di buono (alla fine per fortuna non pioverà), ci accoglie un palco già allestito, con un telone che porta ben evidente la scritta “This is a Photograph”, in una sorta di improbabile divertissement magrittiano.
L’ultimo disco del cantautore texano è stato elogiato da più parti come il capolavoro della maturità, ma a ben vedere l’ex Wood non ha mai davvero avuto cali d’ispirazione nel corso della sua già corposa carriera solista. Si tratta di un lavoro solido e coeso, come già lo era il precedente Sundowner, che prende lo spunto dal ricovero del padre per riflettere, attraverso le fotografie emerse dai cassetti, sul senso della vita, sull’avvicendarsi delle generazioni e su come pezzi di carta ingiallita possano trattenere per sempre la memoria di ciò che è stato.
Il giardino è pieno di gente, molti sono proprio fan dell’artista, poi c’è la solita quota di fighetti milanesi attirati dall’ambiente trendy e sono probabilmente loro a rendersi responsabili del continuo e fastidioso chiacchiericcio che è ormai una costante di quasi tutti i concerti, e che va a disturbare soprattutto il set di apertura di Macie Stewart. La giovane cantautrice di Chicago ha pubblicato a settembre 2021 il suo secondo disco, Mouth Full of Glass, e di fatto le canzoni che propone nella mezz’ora che ha disposizione, sono tratte per la maggior parte da questo lavoro.
Si presenta con in mano un violino, che la vedremo suonare anche dopo, nella band di Kevin Morby. Nel primo brano lo manda in loop, a fungere da arricchimento per le parti di chitarra. Simpatica e comunicativa, dotata di una voce notevole, potente ed espressiva (valorizzata soprattutto da una pregevole versione di “Moving” di Kate Bush, ribassata leggermente di tono ma eseguita in uno spirito molto vicino all’originale) ha dalla sua anche dei brani ben scritti e per nulla banali, nonostante l’Alt Folk in cui si muove non permetta chissà quali variazioni sul tema. Non la conoscevo ed è stata una piacevole scoperta, la seguirò senz’altro nei suoi passi futuri.
Kevin Morby arriva sul palco con una band di sei elementi (Eric Slick alla batteria, Cyrus Gengras alla chitarra, Dave “Moose” Sherman alle tastiere, Cochemea Gastelum a sassofono e flauto traverso, Liam Kazar al basso e ovviamente Macie Stewart al violino e alle seconde voci) ideale per dare forma alle visioni Rock, Country e Blues che da sempre ammantano il suo repertorio. L’inizio con “This is a Photograph” è potente e subito coinvolgente, quando spingono sull’acceleratore e riempiono il pezzo di elettricità sono veramente irresistibili, abbelliti dagli scambi chitarristici di Gengras e dello stesso Morby.
Molto bene anche quando i toni si smorzano e le atmosfere si fanno più soffuse e rarefatte, con il flauto di Gastelum che sale in cattedra ed il violino a riempire gli spazi. Da questo punto di vista, brani come “A Random Act of Kindness”, “A Coat of Butterflies” e “Bittersweet, Tennessee” (con una splendida Macie Stewart ad eseguire le parti che in studio erano di Erin Rae) sono veramente da manuale e, seppur in chiave maggiormente alternative, configurano il suo autore come uno dei più probabili continuatori dell’opera di Bob Dylan, se non altro di una sua rivisitazione in termini più attuali.
In ogni caso, il talento compositivo e comunicativo di Morby, unitamente alla bravura e all’affiatamento della band, garantiscono un concerto di livello, ed è un privilegio essere testimoni del divertimento di questi musicisti, dei sorrisi che si scambiano in continuazione, dell’evidente unità tra di loro, ingrediente indispensabile per donare ad ogni episodio la giusta quota di bellezza.
Scaletta incentrata, almeno nella prima parte, sull’ultimo album, di cui viene presa in considerazione anche l’appendice More Photographs (A Continuum), uscita a maggio e contenente rivisitazioni e brani inediti. Tra questi, l’ottima "Triumph" e "This is a Photograph II", elegante variazione sul tema, che ha chiuso il set regolare.
Tra gli episodi del passato risulta difficile elencarne uno piuttosto che un altro, anche se “Wander” e “Dorothy” si sono distinti tra quelli a più alta dose di elettricità, soprattutto per i loro finali all’insegna di lunghi soli chitarristici. Sempre efficace poi “City Music”, dedicata in questo caso a Milano (immagino sia un giochino che fa in ogni città) dove spicca la lunga introduzione strumentale che permette ancora una volta alla band di fare sfoggio di bravura.
E poi ancora il Folk rumoroso di “I Have Been to the Mountain”, la cadenzata oscurità di “No Halo”, le delicate pennellate di “Beautiful Strangers” (arricchita anche da ben riuscite armonie vocali) e, per chiudere in bellezza, le lunghe fughe in odore di psichedelia della vecchia “Harlem River”, col finale accelerato e rumoroso che permette a tutti di salire in cattedra.
Gli perdoniamo gli imbarazzanti glitter con cui si è decorato la faccia e ribadiamo l’eccellenza assoluta di un artista come Kevin Morby, grazie a cui un genere da più parti considerato “vecchio” come il buon vecchio Folk Rock americano potrebbe risultare nuovamente appetibile anche alle nuove generazioni.
Speriamo solo non passino altri cinque anni prima di poterlo rivedere dalle nostre parti.
Photo credits: Lino Brunetti