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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
09/10/2018
Tongue
Keep On Truckin' with Tongue
I Tongue sono un misterioso quartetto del Wisconsin che rappresenta la quintessenza del sound on the road destinato a pub e roadhouse ai limiti del Gran Canyon.

I Tongue sono un misterioso quartetto del Wisconsin che rappresenta la quintessenza del sound on the road destinato a pub e roadhouse ai limiti del Gran Canyon. Eterna spalla della rockstar di turno, pubblicarono precocemente questo Keep On Truckin' (1969), che ancora risente assai di influenze tremendamente “sixties” ma che pur offre un bellissimo suono caldo di chitarra e Hammond, reminiscente di Steppenwolf, Iron Butterfly e nei passaggi blues perfino degli ultimi Doors: una sorta di piccoli Spooky Tooth made in U.S.A.

LP imponente, 12 pezzi (troppi!), quaranta minuti di musica, spazza tutto il repertorio che il gruppo aveva messo a fuoco nei primi due anni d’attività (rigorosamente dal vivo).

Si va dalle dodici battute di Homely Man Blues, che mischia Animals e Morrison Motel e si lascia docilmente dominare dall’organo di Mick Larson, ad una Get Your Shit Together palesemente derivata dal Doug Ingle del primo LP degli Iron Butterfly. Terza arriva la tirata più epica del disco, Earth Song, sette minuti belli pesanti, tra acido e metallo, senza tanta logica ma con qualche bel fuzz nel mezzo ed una lunga e sinistra coda sussurrata nella penombra delle tastiere. The Prophet continua su questa sponda simil-progressiva, ha tutta la maldestra magniloquenza dei Bloodrock di “2”, recupera l’intro di Babe I’m Gonna Leave You così come la interpretava Page, ma riesce ad affascinare grazie a quel sound sempre così vintage, come un velluto morbido e rovente allo stesso tempo. Sidewalk Celebration si abbandona, con qualche resistenza, al boogie-blues del primo John Kay, mentre la poco ispirata Every Time dispiega almeno un assolo di Rabbit alla ricerca di eroismi a buon mercato.

Non male l’hard-riff di Get Down, di nuovo in scia agli Iron Butterfly, inchiodata ad un basso che spinge forte e ai singhiozzi dell’hammond. Il secondo momento epico sono i setteminutiemezzo della celebre e abusata Morning Dew di Tim Rose, che dopo le cover di Jeff Beck e Jerry Garcia divenne una sorta di standard nei primi anni ’70. I Tongue scelgono la via zuccherosa del folk romantico, un po’ Youngbloods un po’ Thank You degli Zeppelin, se non fosse per la vocalità fin troppo impostata che degenera addirittura in parodia lirica; certo che sette minuti sono lunghi, c’è sempre il tempo di cambiare idea e grazie al cielo il gruppo si concede qualche piccolo dinamismo in crescendo, sufficiente almeno a non far sprofondare il pezzo nella Valle della Noia. Peccato, perché la strada giusta sarà quella dell’iper-boogie dei Nazareth, un paio d’anni dopo.

Superati di slancio i Canned Heat-ismi retrò di Jazz on the rag, ecco il brano manifesto del gruppo, Keep on Truckin’ che di lì a poco diventerà cavallo di battaglia di un appassionato antiquario come Jorma Kaukonen e che i Tongue rendono con simpatica semplicità country-blues. Chiudono i “4-secondi-4” di Hashish…mah…

La ristampa CD (Gear Fab GF-151, 2000) aggiunge due tracce: la bella Stained Glass Window, con chitarrismi distorti e organo alla Jon Lord, e l’hard rock motociclistico di Hey Hey Moma. Vinile di casa Hemisphere (etichetta nera a caratteri rossi) piuttosto raro, con volume di scambi ridottissimo in rete, ma prezzo non proibitivo: una buona copia si trova tra i 50 e i 60$, inutile spendere di più per un album che certo non è un capolavoro… Bella comunque la foto di copertina con capigliature afro allucinanti e jeans zebrati a zampa: veramente datati ma notevoli!

Bob Collins: bass, vocals

Mick Larson: organ, vocals

Paul Rabbit: guitars, vocals

Dick Weber: drums, vocals