Nel frattempo sono cambiati i modi di fruizione, sono arrivate le piattaforme streaming, ha preso piede il binge watching e via di questo passo, il contesto è ora diverso, ma questo è un altro discorso. Perché proprio il 2004 allora? Perché in quell'anno sono arrivati diversi prodotti di qualità destinati a rivoluzionare l'idea del vecchio telefilm (cosa già fatta da altri prima, per carità) ma soprattutto capaci di fidelizzare milioni di spettatori nel corso degli anni in un momento storico in cui ancora si guardavano due puntate a settimana del nostro show preferito e poi si aspettava un'altra settimana in attesa dei nuovi sviluppi. Questa attesa spasmodica, questa sensazione, per me ha un solo nome: Lost. Sappiamo tutti cosa ha significato Lost per l'intrattenimento seriale, ma nel 2004 arrivarono almeno altri due show, con formule diverse dal primo, che incollarono gli spettatori alle loro poltrone: Desperate housewives e Dr. House.
Questi sono stati tra i primi prodotti a creare una fidelizzazione di massa in un momento in cui stava nascendo un fenomeno più ampio, uno spostamento generale verso una tv di forte qualità e di ancor più forte presa, in più quell'anno non dimentichiamo vide l'uscita di Deadwood, 4400, la nuova Battlestar Galactica, la Shameless inglese... Certo, prima c'erano state Twin Peaks (il mio serial preferito da sempre) e X-Files (ha retto al passare del tempo?), ma entrambi sono stati degli unicum nei loro anni, circondati da prodotti ben più tradizionali. Poi all'inizio dei 2000 c'era stato qualche ottimo tentativo, sicuramente apripista della nuova serialità, che ancora non era riuscito a scatenare quel coinvolgimento di massa (Six feet under per esempio, 2001) o addirittura era rimasto relegato in una piccola nicchia (Carnivale, 2002), J Abrams faceva le prove con l'accattivante Alias, Heroes ci provava solo per accartocciarsi presto su se stessa, The Shield e The Wire iniziavano a lasciare il segno, 24 sperimentava. I segnali c'erano tutti, però è dal 2004 a mio avviso che la serialità è definitivamente cambiata garantendoci negli anni successivi migliaia di ore di sano divertimento. Ma tutto questo cosa c'entra con Keen Eddie?
Beh, forse poco o niente, tutto questo era un preambolo per contestualizzare, per dire che facendo solo un piccolo passo indietro nel tempo (Keen Eddie è del 2003) possiamo recuperare prodotti divertenti e ben confezionati che sembrano però provenire da un'altra epoca, un'epoca in cui la trama orizzontale era labile o pressoché inesistente, dove solo una lieve traccia univa i vari episodi spostando di pochi millimetri vita e caratteri dei protagonisti, un'epoca dove vigeva ancora il tormentone che di puntata in puntata si riproponeva, rassicurante e spesso anche divertente. Keen Eddie nel 2003 sembrava un prodotto moderno, sicuramente derivativo ma al passo coi tempi, guardava dichiaratamente ai primi grandi esiti di un Guy Ritchie in splendida forma, a quei Lock & Stock e The snatch che tanto hanno caratterizzato il Cinema inglese di fine 90. La serie ideata da J. H. Wyman (Fringe, Almost human) è di produzione statunitense ma completamente girata e ambientata a Londra, lo stile applicato alla regia dei vari episodi così come il montaggio guardano ai film citati poc'anzi, scene velocizzate, stacchi di montaggio repentini, musica in gran parte elettronica con una colonna sonora che contribuisce a dettare un ritmo sostenuto, vivace, assecondando proprio una precisa scelta stilistica effettuata su immagini e scansione dei tempi (nel pilot compaiono anche le musiche degli Orbital). Quello che sembrava un serial all'avanguardia o quanto meno moderno nel 2003, pur rimanendo piacevole, può apparire oggi completamente sorpassato non potendo contare su quel legame stretto tra i vari episodi e su una trama complessiva capace di creare la "fame" da nuova puntata che i serial odierni sfruttano per aumentare i loro spettatori e non farli andar via. Eppure qualche anno fa Keen Eddie sembrava così cool...
Eddie Arlette (Mark Valley) è un poliziotto di New York che sta seguendo un caso e che a causa delle conseguenze dello stesso è costretto a trasferirsi a Londra e collaborare con Scotland Yard. Per una serie di vicissitudini l'agente si fermerà a Londra in forza alla squadra del sovrintendente Johnson (Colin Salmon) dove instaurerà un bel rapporto con il collega Monty Pippin (Julian Rhind-Tutt). Eddie condivide in maniera forzata un appartamento con la bella Fiona (Sienna Miller), figlia del proprietario, con la quale all'apparenza c'è un'idiosincrasia incolmabile, lei acidula, lui che non molla il colpo. A peggiorare le cose c'è Pete, il Bull Terrier di Eddie. Ogni episodio presenta il caso del giorno, vicende solitamente strampalate nelle quali la risoluzione degli enigmi non interessano minimamente o sono palesi fin da subito, quello che conta è la messa in scena di situazioni e personaggi sui generis, dementi o forzati, utile a creare momenti paradossali e divertenti. Di puntata in puntata si sviluppa il rapporto d'odio misto a un pizzico d'attrazione tra Fiona, una Miller giovane alle sue prime prove, ed Eddie, si gioca con il contrasto tra lo yankee più rozzo e i modi raffinati dei colleghi inglesi (ma solo all'apparenza, Pippin è tutt'altro che un tipino a modo) e sul tormentone legato al personaggio di Moneypenny (Rachael Buckley), la segretaria ammiccante di Johnson che riesce a scatenare in Eddie stordenti fantasie lussuriose.
Purtroppo il serial non andò bene e venne cancellato dopo la prima stagione, non abbiamo avuto così modo di vedere come si sarebbero evoluti i vari rapporti tra i personaggi, alcuni di questi (il fidanzato di Fiona ad esempio) si perdono completamente per strada, e quali novità c'erano in serbo per Eddie Arlette. Vidi la serie una prima volta l'anno di uscita e questa sembrava davvero un bel prodotto, abbastanza fresco e divertente, non è invecchiata benissimo forse e al pubblico di oggi potrebbe fare un effetto diverso, nonostante i miei ricordi piacevoli legati a Keen Eddie, rivedendolo ora ammetto di aver faticato un po' a guardare più di una puntata per volta. È possibile che una quindicina d'anni abbiano cambiato così tanto il nostro modo di percepire storie e televisione?